AMBIENTE: RDC, una boccata d’ossigeno per i pigmei?

BOLENGE, Repubblica Democratica del Congo, 22 aprile 2011 (IPS) – “Quasi tutte le case dei nostri villaggi sono capanne costruite con rami o foglie raccolti nella foresta, mentre il nostro legname e le nostre piante officinali ci vengono portate via da persone che si arricchiscono lontano da qui”, spiega Ampiobo Amuri, capo di un villaggio pigmeo.

Ngala Killian Chimtom/IPS Ngala Killian Chimtom/IPS

Ngala Killian Chimtom/IPS
Ngala Killian Chimtom/IPS

“Sono diverse settimane che ho smesso di ascoltare le richieste di questa gente che viene e ci porta cose da bere, abiti usati, a volte anche del sale, in cambio dei nostri prodotti”, dice.

“Voglio che i nostri figli possano studiare”, dice Antoinette Ambulampo. “Si sono presi i nostri animali e i nostri alberi… Quando veniamo a lavorare nella foresta e vediamo che qualcuno ha tagliato gli alberi, ci infuriamo. Lavoriamo tantissimo per questa gente che viene qui a corteggiarci”.

Abbiamo incontrato Amuri e Ambulampo nel villaggio di Bolenge, nella provincia equatoriale della Repubblica Democratica del Congo (RDC).

Una minoranza emarginata

Sono circa 200mila i pigmei che vivono nelle foreste della Repubblica del Congo, Camerun, Gabon, Repubblica Centroafricana e Repubblica Democratica del Congo – con qualche gruppo minore in Ruanda e Burundi, secondo gli etnologi Serge Bahuchet e Guy Philipart de Foy.

Nel Bacino del Congo, i popoli indigeni sono una minoranza emarginata. Spesso forniscono la manodopera per il lavoro sui campi di altri, sono sfruttati e alle volte vengono pagati in natura o con buoni di nessun valore.

Al secondo Forum internazionale dei popoli indigeni (16-18 marzo) a Ifondo, nella Repubblica del Congo, Henri Djombo, ministro delle foreste e dello sviluppo sostenibile, ha riconosciuto la difficile situazione dei popoli indigeni.

“Dobbiamo trovare risposte adeguate ai problemi dei popoli indigeni, per la loro sopravvivenza, perché devono far fronte a tantissimi ostacoli, in particolare l’accesso alle risorse, che deve essere maggiormente monitorato. È un aspetto fondamentale per lo sviluppo di attività alternative che consentano a queste popolazioni di vivere meglio”, ha dichiarato.

Esistono anche esempi di successo nella difesa dei diritti dei popoli indigeni, unita alla conservazione della foresta, da cui tradizionalmente dipende la loro sussistenza.

L’organizzazione internazionale non-profit The Forest Trust (TFT), con sede a Ginevra, è parte di un più ampio gruppo che lavora per la tutela dei diritti dei pigmei, e che Amuri giudica favorevolmente. La TFT ha annunciato la certificazione delle pratiche umanitarie e ambientali sostenibili su altri 571mila ettari di foresta, gestiti dalla Congolaise Industrielle des Bois (CIB), un’azienda di legname che opera nel bacino del Congo.

Per la TFT, questo porterebbe l’area complessiva di foresta tropicale gestita in modo sostenibile nel Bacino del Congo a più di 5,3 milioni di ettari.

Con la certificazione delle concessioni di Loundoungou e Toukoulaka, spiega la TFT, l’intera area di foresta gestita dalla CIB è certificata dallo stesso ente indipendente di definizione degli standard, il Forest Stewardship Council (FSC), una pietra miliare nella protezione sia del fragile patrimonio forestale che della sussistenza delle comunità locali, in particolare quella dei pigmei semi-nomadi.

Ma le certificazioni non bastano

La scarsa domanda di legname e di prodotti in legno sostenibile (che costano di più rispetto agli altri legnami) rischia però di vanificare la risposta positiva dell’industria alle pressioni degli ambientalisti europei e americani, dice il direttore esecutivo della TFT Scott Poynton.

“Mancano i consumatori e le Ong non spingono per la vendita del legno certificato. E senza ritorno economico, le imprese non possono mantenere queste pratiche”, aggiunge.

Robert Hunink della CIB conferma che mancano ancora le occasioni sul mercato. “Ma lo staff e la direzione della CIB sostengono il processo della FSC”, dice. “I compratori cominceranno a premiare le imprese che hanno risposto positivamente alle certificazioni”.

Jerome Bokele, il primo pigmeo ad essere stato eletto nell’organo legislativo della provincia equatoriale, nel nord-ovest della RDS, ha affermato: “La certificazione di 571mila ettari da parte della FSC è una cosa positiva. Ma è solo un annuncio. Migliaia di tronchi vengono gettati nel fiume Congo – e spesso provengono dallo sfruttamento delle foreste tropicali. Più del 70 percento dei popoli indigeni in Africa sono intrappolati nella morsa della povertà estrema…”.

Odon Munsadi, un ambientalista della RDC, sottolinea: “Le pratiche di tutela dell’ambiente in questo caso implicano l’uso razionale delle foreste per la loro esistenza futura. Le cattive pratiche portano al riscaldamento globale e a un habitat costituito da pianure erbose”.

“Le certificazioni possono dare una boccata d’ossigeno ai popoli indigeni se c’è un monitoraggio rigoroso e se gli permettono di svilupparsi e di farsi valere. Altrimenti, resteranno pura teoria”, avverte. © IPS