Cambogia: L’andamento dei lavori del Tribunale Speciale delle Nazioni Unite

Equilibri.net, 10 gennaio 2011 (Equilibri) (IPS) – Lo stato dell’arte del Tribunale Speciale della Cambogia per perseguire i crimini dei Khmer rossi. Qual è la situazione? Il tribunale procede nei suoi lavori? Quali risultati ha raggiunto dalla sua istituzione?

Circondato da un clima di diffidenza internazionale e ostacolato dalle critiche di quanti, tra cui il Primo ministro cambogiano Hun Sen, ne vedrebbero volentieri ridotto il mandato, il Tribunale Speciale della Cambogia, istituito, dopo undici tormentati anni di trattative diplomatiche, per perseguire i crimini commessi dai Khmer rossi nella Kampuchea Democratica, tra il 1975 e il 1979, continua tra alti e bassi la sua difficile missione giurisdizionale. Intralciata nei lavori da una serie di vincoli e limitazioni alla sua giurisdizione e rallentata dai ripetuti casi di corruzione oltreché dall’insufficienza di risorse finanziarie, la Corte Speciale cambogiana ha, nonostante tutto, finalmente pronunciato, nel luglio 2010, il primo, tanto atteso, verdetto di colpevolezza contro uno dei principali esponenti del regime di Pol Pot, Kaing Guek Eav, o meglio noto come compagno Duch. Altri quattro processi sono attesi per il prossimo anno: i capi d’accusa, tra cui crimini contro l’umanità, sterminio, tortura, persecuzione religiosa, sono molto gravi, così come le condizioni fisiche degli anziani imputati. Ciò che si teme è che, nelle more del dibattimento, rimangano senza voce i milioni di vittime del genocidio cambogiano.

Il regime di Pol Pot

Il movimento rivoluzionario dei Khmer rossi instauratosi in Cambogia nel 1975 sotto la guida di Pol Pot è responsabile di una delle peggiori tragedie umane dello scorso secolo. Si stima che in ossequio al piano di far rinascere la società cambogiana dall’anno zero, più di un milione e mezzo di persone (circa il 25% della popolazione) furono uccise da fame, lavori forzati o esecuzioni sommarie. La “rieducazione” del popolo si è tradotta nella deportazione in massa nelle campagne e nell’abolizione di ogni forma di proprietà privata, moneta e, persino, credo religioso. Secondo il preciso piano criminale ideato dall’Angkar, partito guida di ispirazione maoista, l’intera struttura sociale doveva essere ricostituita su base contadina e comunista.

In un simile contesto socio-politico, anche solo indossare occhiali da vista o parlare una lingua straniera era motivo più che sufficiente per essere ritenuti reazionari borghesi ed essere condannati, dunque, ai campi di lavoro (o meglio di morte). Ancora peggiore era la sorte dei cittadini istruiti, per i quali si prospettava, inesorabile, l’automatico internamento in apposite strutture di tortura: si pensi che solo nella famigerata Tuol Sleng, conosciuta anche con la sigla S21, prigione diretta proprio dal compagno Duch, più di 17.000 uomini, donne e bambini furono atrocemente seviziati e uccisi, e solo 12 persone riuscirono a sopravvivere. Chiuso e internazionalmente isolato, il regime dei Khmer rossi fu rovesciato dall’invasione vietnamita nel 1979, ma ci vollero altri dieci anni per far cessare definitivamente le azioni di guerriglia da parte delle forze rivoltose clandestinamente ritiratesi nelle campagne e aprire così la strada a un processo di democratizzazione in Cambogia, tuttavia ancora lontano.

Il Tribunale Speciale della Cambogia

La ferma condanna internazionale alla persecuzione attuata dal regime maoista di Pol Pot ha favorito un accordo tra Nazioni Unite e Cambogia circa la creazione di una Camera straordinaria, esclusivamente competente a giudicare i responsabili dei crimini contro l’umanità sistematicamente e brutalmente perpetrati a danno del popolo cambogiano tra il 17 aprile 1975 e il 6 gennaio 1979. Il tribunale che è risultato dal compromesso tra le resistenze ideologiche del governo cambogiano e la risolutezza dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite è una corte speciale, operante sotto l’egida dell’ONU, che si presenta tuttavia in una composizione mista, ovvero costituita da personale in parte locale e in parte straniero.

A differenza degli altri tribunali internazionali speciali, quali ad esempio quelli istituiti in Sierra Leone o a Timor Est, che costituiscono istanze giurisdizionali completamente disgiunte dal sistema giudiziario locale, la Corte in questione si è semplicemente affiancata all’apparato cambogiano, nelle cui leggi è perfettamente integrata. Tale circostanza ha di fatto esposto i membri del collegio giudicante, peraltro per metà Khmer, alla forte influenza del governo nazionale e, soprattutto, del Primo ministro Hun Sen, leader del Partito del Popolo, ed ex Khmer rosso.

Non ingiustificate sono, pertanto, le critiche di scarsa autorevolezza e affidabilità spesso rivolte dall’opinione pubblica alla Corte, soprattutto a fronte dei continui rinvii, rallentamenti dei processi in corso o lunghi periodi di stallo che hanno caratterizzato l’attività del tribunale sin dal suo primo insediamento. Ben più gravi (soprattutto perché mai ufficialmente smentite), sono le accuse di corruzione che in più occasioni hanno paralizzato il funzionamento della Camera straordinaria, già costata più di 170 milioni di dollari: imbarazzanti, in particolare, quelle indirizzate dalla Open Society Justice Initiative di New York nel 2007 e relative al cattivo utilizzo da parte cambogiana dei proventi del programma di sviluppo Onu (consistenti, in particolare, in un finanziamento triennale di 13,3 milioni di dollari).

Le gravi anomalie nella gestione del personale cambogiano, la frequente penuria di risorse economiche, nonché i limitati poteri di indagine del Tribunale speciale – che, è il caso di notare, è chiamato a giudicare solo i leader, ovvero i più alti di grado della gerarchia dei Khmer rossi – ha fatto sì che i primi anni della sua attività fossero sostanzialmente privi di risultati tangibili.

Segnali positivi

Solo trent’anni dopo il genocidio cambogiano, e al termine di un travagliato processo, sembra arrivato il momento per le vittime del disegno di Pol Pot di ottenere finalmente giustizia. Il procedimento a carico del compagno Duch, avviato il 17 febbraio 2009, ha segnato una netta inversione di rotta nell’andamento dei lavori della Corte: il 10 luglio 2010, è stata pronunciata la storica sentenza di condanna, a 30 anni di reclusione, a carico del primo Khmer rosso sul banco degli imputati. L’artefice dell’atroce sistema di torture messo in atto nella prigione di Tuol Seng, dopo undici anni di carcere e un’attiva collaborazione con le autorità cambogiane, ha ammesso la sua responsabilità. Kaing Guek Eav (è questo il suo vero nome), sotto i cui supplizi 17.000 persone morirono, è stato dichiarato colpevole di crimini di guerra e contro l’umanità con una sentenza che presenta al mondo intero gli orrori del regime di Pol Pot.

Il Tribunale speciale assicura che presto saranno penalmente perseguiti anche gli altri responsabili della politica di repressione praticata per quasi quattro anni dai Khmer rossi. Dopo il compagno Duch, toccherà all’ideologo Nuon Chea, secondo al comando, ovvero “fratello numero due”, e all’ex capo di Stato della Kampuchea Democratica, Khieu Samphan, i quali nonostante le ovvie prove a loro carico continuano a negare ogni implicazione nel massacro cambogiano. Stesse accuse pendono in capo al Ministro degli Esteri, Ieng Sary, “fratello numero tre” e a sua moglie Ieng Thirith, quest’ultima, Ministro degli Affari Sociali, membro fondatore del movimento rivoluzionario nonché una delle più potenti donne del regime (sua sorella era moglie dello stesso Pol Pot). I quattro incriminati, ormai detenuti da parecchi anni in una prigione attigua alla Corte, non hanno dimostrato finora alcuna disponibilità a collaborare. Si attende, dunque, lo svolgimento delle indagini affidate ai due giudici di istruzione, uno cambogiano e l’altro straniero.

Conclusioni

C’è da sperare che sul fronte legale si proceda con meno esitazioni e rallentamenti rispetto al passato, soprattutto considerato che gli imputati sono quasi tutti ultraottantenni, afflitti da gravi problemi di salute, e potrebbero quindi non arrivare al giorno del giudizio. Ad ogni modo il processo è atteso per il 2011: gli errori giudiziari e le lungaggini cui ci ha abituati la Camera straordinaria lasciano con il fiato sospeso un intero Paese ormai consapevole. Eppure, perennemente a corto di finanziamenti, con costi triplicati rispetto alle previsioni iniziali, il Tribunale non opera in condizioni di favore.

Le indagini risentono soprattutto della costante pressione esercitata dalle autorità cambogiane – che al loro interno vantano un nutrito gruppo di ex Khmer rossi, a partire proprio dal Primo ministro Hun Sen – di fatto poco disposte ad assecondare la volontà della Corte di rivangare il passato. Il desiderio di giustizia, ormai condiviso dall’opinione pubblica nazionale ed internazionale, è quindi ancora a rischio. D’altronde, qualsiasi sia l’esito dei processi in corso, il maggiore responsabile del genocidio cambogiano non dovrà mai rispondere dei crimini contro l’umanità di cui è stato ideatore e autore: il fondatore e leader supremo dei Khmer rossi, Pol Pot, è morto nella propria casa al confine con la Thailandia nel 1998. Così anche altre figure chiave nella gerarchia di partito, incluso Ta Mok – comandante dell’esercito nonché uno dei più feroci collaboratori del “fratello numero uno” -, non hanno dovuto affrontare le proprie responsabilità penali, ma solo il verdetto della storia, che poco ripaga i familiari degli innocenti uccisi. A questo punto, la credibilità del Tribunale Speciale della Cambogia sarà testata dall'andamento e dall'esito dei processi ai quattro imputati chiave.Copyright Equilibri