Medioriente: L’aumento del prezzo dei beni alimentari

Equilibri.net, 8 ottobre 2010 (IPS) – Dal punto di vista agricolo l'estate 2010 è stata, a livello globale, un vero disastro. Incendi e alluvioni hanno creato enormi danni alla produzione alimentare mondiale e questo ha indotto un innalzamento dei prezzi, in particolar modo di cereali e carne. Se nel mondo sviluppato è stato possibile contenere i danni grazie alla sostituzione con altri prodotti e ad un più alto tenore di vita, gli effetti sulla popolazione mediorientale sono stati pesantissimi. Un incremento del prezzo del grano e degli altri cereali, su cui l'alimentazione mediorientale è principalmente fondata, ha imposto ulteriori privazioni ad un'economia già vessata da problemi locali contingenti (dipendenza totale dalle importazioni, recessione post-crisi, disastri naturali).

Il contesto socio-economico

Dall'Arab Human Development Report, redatto nel 2002 in ambito ONU, è emerso che il mondo musulmano avrebbe le potenzialità per uno sviluppo consistente, ma manca delle capacità di sfruttamento di queste sia per problemi strutturali che inducono bassi livelli salariali e nel potere d'acquisto sia perché deve far fronte a tassi di crescita demografica più alti rispetto al resto del mondo. Dal punto di vista demografico, entro il 2020, si prevede, infatti, che la popolazione araba aumenterà di circa 160 milioni di persone, passando dagli attuali 280 milioni ai futuri 450 milioni. Una crescita così intensa creerebbe a priori dei problemi di sicurezza alimentare che verranno ulteriormente accresciuti, secondo esperti delle Nazioni Unite, dalla volatilità dei prezzi del cibo.

All'ultima riunione dell'Agenzia dell'Onu per l'alimentazione e l'agricoltura (FAO), convocata in via straordinaria a Roma a fine settembre per valutare la situazione attuale, è stata descritta a questo proposito una fase critica, anche se non ancora disastrosa, della questione alimentare nel mondo.

Gli specialisti FAO hanno, infatti, concluso che una ripetizione della crisi alimentare del 2007-2008 non è imminente, ma che sono necessarie nuove misure di controllo delle fluttuazioni dei prezzi per scongiurare un ulteriore declino. Benché da Roma la FAO abbia negato che ci siano elementi che indichino una crisi alimentare incombente, il rappresentante speciale ONU per il cibo, Olivier De Schutter, durante un intervento ad una conferenza tenutasi a Londra, ha, invece, dichiarato che l'attuale instabilità del mercato alimentare, dovuta sia a disastri ambientali sia all'azione di speculatori, rischia, a suo parere, di innescare una nuova crisi alimentare. Questo sarebbe valido, a maggior ragione, per le zone del mondo in cui l'alimentazione dipende principalmente dai cereali come il Medio Oriente.

A questo proposito, l'UBS, società di servizi finanziari con sede in Svizzera, ha pubblicato a giugno di quest'anno la versione aggiornata del 14° rapporto triennale sui prezzi di beni e servizi (presentato nel 2009) sulle retribuzioni e sul tempo di lavoro in 73 città del mondo. Se prezzi e salari sono strettamente dipendenti dalla situazione locale e, per questo, sono difficilmente confrontabili a livello mondiale quando si tratta di paesi con gradi di sviluppo diversi, per quanto riguarda il potere d’acquisto, un confronto è possibile. Proprio quest'ultimo parametro è stato, dunque, utilizzato per cogliere le differenze tra le diverse parti del mondo.

In questo contesto, i valori mediorientali, sono risultati particolarmente eterogenei date le città prese in esame (Cairo, Doha, Dubai e Manama), e, nel caso del Cairo, hanno evidenziato un potere d'acquisto molto basso proprio a causa della stretta dipendenza dalle importazioni di beni con un prezzo crescente a livello internazionale. É importante sottolineare, inoltre, come le differenze di questo indicatore non dipendano solamente dal livello medio dei prezzi di beni e servizi e dal salario medio (anch'esso molto basso nel caso del Cairo), ma anche dalle retribuzioni nette a parità di tempo di lavoro. Se, a parità di retribuzione, il tempo di lavoro medio annuale è, a livello globale, di 1902 ore, in Medio Oriente si lavora 2063 ore, mentre “solo” 1745 in Europa occidentale e 1830 in Europa orientale.

Parallelamente se il tasso annuo di inflazione alimentare in Egitto ha raggiunto il 18,5% e, parlando dell'Arabia Saudita, John Sfakianakis, capo economista presso la Banque Saudi Fransi, ha dichiarato che l'aumento del prezzo degli alimenti è una delle cause principali della crescita dell'inflazione generale nel paese, anche nei ricchi Emirati Arabi Uniti (EAU) si è assistito ad un aumento dei prezzi al consumo.

La componente alimentare, che rappresenta il 14% del paniere degli EAU, ha avuto un incremento del 2% nell'ultimo mese. Benché l'inflazione sia stata vista come un segno di ricrescita dopo che gli effetti della crisi economica mondiale avevano, di fatto, bloccato l'economia degli EAU e, per quanto le stime del rapporto UBS pongano ancora Dubai in buona posizione per quanto riguarda il potere di acquisto interno, in assenza di controlli, una simile crescita rischia di provocare gravi effetti collaterali. La crescita economica trainata da un alto tasso di inflazione potrebbe, infatti, creare problemi di insufficienza energetica e indurre impennate dei prezzi dei generi alimentari, con pesanti ricadute sulla popolazione degli emirati.

Se nel caso degli EAU l'incremento dei prezzi sembra, però, aver avuto un effetto positivo e le cause dell'inflazione alimentare, comuni a quelle degli altri paesi mediorientali, sono state accentuate dalla ripresa dell'economia locale, la situazione siriana è sostanzialmente tragica. De Schutter, conclusa la sua missione in Siria il 7 settembre, ha svelato, infatti, che nel paese 1,3 milioni di persone sono state colpite dalla siccità che dura da quattro anni. Ad essere colpiti sono principalmente i piccoli agricoltori. La mancanza di piogge ha inciso in particolar modo sulla produzione di cereali, praticamente dimezzata, e sull'allevamento che ha visto una drastica riduzione dei capi di bestiame presenti sul territorio (in base a dati ONU si stima una perdita dell'80-85%). Nel caso siriano, dunque, le dinamiche regionali hanno aggiunto ulteriori disagi ad un'economia locale già debole che, avendo ancora una forte impronta agricola, soffre particolarmente delle fluttuazioni dei prezzi in questo settore.

I principali beni colpiti

CEREALI

A inizio settembre, un gruppo di analisti delle materie prime si è riunito a Washington al Dipartimento dell'Agricoltura statunitense (USDA) per produrre la stima mensile della produzione, del consumo e del commercio mondiale di grano. Le stime definite a seguito dell'incontro dicono che le scorte di grano degli Stati Uniti per il biennio 2010-2011 si prevedono inferiori a causa della crescente domanda mondiale di frumento statunitense con un incremento del prezzo dai 4,70/5,50 dollari per bushel (unità di misura di capacità che equivale a 27216 kg di grano) del mese di agosto ai 4,95/5,65 dollari per bushel di settembre.

La principale causa della riduzione delle scorte e dell'innalzamento dei prezzi viene trovata nella riduzione di 2,5 milioni di tonnellate nel raccolto russo a causa della siccità e di 2,4 milioni di tonnellate nel raccolto europeo soprattutto a causa delle forti piogge estive in Ungheria e Romania. La Russia, che ha vietato l'esportazione del proprio grano a seguito della siccità e degli incendi, ha, infatti, costretto gli importatori mediorientali e nordafricani, a cercare nuovi sbocchi in Europa e Stati Uniti. A tal proposito il presidente della Camera dei cereali egiziana, Ali Sharaf El Din, ha dichiarato che se ci saranno dei default sui carichi, l'Egitto ha scorte sufficienti per soli sei mesi e che, in seguito, dovrà cercare altri fornitori. L'Egitto, il maggior importatore mondiale di frumento, infatti, acquista da Mosca 4 dei 9 milioni di tonnellate di grano annuali di cui necessita ed ha, al momento, ordini in sospeso con la Russia per oltre mezzo milione di tonnellate.

In questo contesto la prospettiva più plausibile è che paesi che dipendono fortemente dal grano russo come l'Egitto o la Siria vedranno un drammatico aumento dei prezzi che potrebbe portare a disordini per le strade come quelli verificatisi due anni fa (rivolta del pane al Cairo del marzo 2008). Le difficili condizioni climatiche di quest'estate e il divieto di esportazione di grano imposto dalla Russia hanno, infatti, fatto salire i prezzi del cereale alle punte più alte degli ultimi due anni. I prezzi del frumento hanno registrato una crescita di quasi il 70% da gennaio, e gli analisti prevedono ulteriori aumenti con il perseverare della scelta russa e con le preoccupazioni sui danni del tempo ai campi dell’Australia.

Se De Schutter ha dichiarato che l'incremento ha riportato alla mente lo shock delle riserve alimentari del 2007-2008, il direttore generale della FAO, Jacques Diouf, ha dichiarato che le condizioni attuali sono molto differenti rispetto a quelle di due anni fa. Egli ha, infatti, dichiarato che le previsioni per la produzione mondiale e gli stock mondiali di cereali sono ben al di sopra del livello raggiunto nel 2007-2008. Per quanto la situazione sia da monitorare, secondo gli esperti FAO, non sarebbe così grave dato che i prezzi del frumento rimangono inferiori del 36% rispetto al picco raggiunto nel marzo di due anni fa.

Per quanto i membri FAO siano fiduciosi anche alla luce del fatto che il Food Price Index, riferito a un paniere di vari generi alimentari, per quanto ai massimi da due anni, resta inferiore del 38% rispetto ai picchi raggiunti in quel periodo, molte sono le voci preoccupate in merito all'argomento. Secondo Foreign Policy la crisi del grano sarebbe solo l'inizio della crisi alimentare. A breve la domanda per le altre colture alimentari essenziali come il riso aumenterà per effetto-sostituzione, facendone aumentare i costi per i consumatori. I dati FAO sottolineano, a tal proposito, che se il prezzo del riso è già incrementato del 7%, il mais ha avuto un incremento di circa il 40% rispetto ad agosto e l’orzo, superando quota 250 dollari a tonnellata, ha quasi raddoppiato il prezzo di vendita di un anno fa.

CARNE

A seguito dell'emergenza cereali, nel mondo in generale e nei paesi mediorientali in particolare, si è aperta la questione della carne. Il prezzo a livello mondiale di manzo, maiale, pollo e agnello è, infatti, aumentato in media del 16% rispetto a dodici mesi fa e la FAO segnala, in base all'indice globale dei prezzi delle carni, che in agosto è stato raggiunto un massimo ventennale. I costi sono lievitati sia per l’aumento della domanda di Asia e Medio Oriente, sia per la diminuzione sostanziale di animali da macello causata dall'aumento del prezzo dei mangimi (grano, orzo) e dalla siccità che ha colpito i grandi produttori di carne da esportazione (Australia, Stati Uniti e America Latina).

Dal punto di vista dell'incremento della domanda è comprovato che la popolazione mondiale cresce e che nei paesi emergenti un sempre maggior numero di individui conquista un miglior tenore di vita che sfocia nell'adozione di una dieta più variata e più ricca di proteine. La carne è, infatti, uno degli alimenti il cui consumo è maggiormente legato al livello di reddito e l'International Food Policy Research Insitute (IFPRI) stima che, entro il 2050, i paesi in via di sviluppo dovrebbero acquistare il 65% di carne in più. A questo proposito il mondo musulmano, dove è vietato il consumo di carne di maiale, è uno dei più grandi mercati per l'agnello e il montone, provenienti principalmente da Australia e Nuova Zelanda.

Se l'Egitto soffre per il crescente prezzo del grano, l'Arabia Saudita, il maggiore importatore mondiale di orzo, subisce gli effetti dell'incremento del costo di questo cereale. Gli allevatori del paese preferiscono, infatti, alimentare il loro bestiame (pecore, cammelli, capre) con questo cereale e il paese importa circa il 70% del suo fabbisogno di orzo dall'estero e, in particolare da Russia e Ucraina.

A seguito della siccità e degli incendi in questi due paesi il prezzo della carne rossa in Arabia Saudita ha subito un incremento del 12% in sei mesi. Allo stesso modo Alaa Radwan, presidente dell'associazione egiziana degli importatori di carne ha sottolineato come il costo della carne di manzo, agnello e montone sia salito di circa un terzo durante l'estate. Benché il rialzo dei prezzi della carne sia stato accentuato durante le celebrazioni del Ramadan, durante il quale la tradizione vuole che le famiglie si riuniscano per banchetti particolarmente ricchi per spezzare il digiuno diurno, i prezzi erano elevati già prima del mese sacro e hanno continuato a salire in seguito.

Conclusioni

La situazione alimentare mediorientale è al momento molto difficile. Per quanto la FAO dichiari che la situazione non stia raggiungendo i livelli del 2007-2008, sono stati registrati i picchi più alti degli ultimi due anni e cresce il timore di nuovi rialzi. Se nei Paesi del Golfo, nonostante i disagi, l'inflazione alimentare sembra essere percepita come sintomo di ripresa e di buon auspicio per il futuro, nel caso egiziano, la contemporanea instabilità politica potrebbe portare la popolazione a nuove sommosse come quelle del marzo 2008. Non il dato in sé (i prezzi sarebbero del 36% più bassi rispetto al 2008), ma la percezione che di questo dato ha la popolazione, potrebbe, infatti, produrre nuove proteste che il governo egiziano, in fase pre-elettorale, dovrebbe contenere rassicurando la popolazione circa il suo futuro. Ancor diversa è la situazione della Siria.

Nel caso siriano l'inflazione alimentare determinata da problematiche mondiali è andata ad incidere in un contesto di già grande difficoltà. Le prospettive future in questa situazione non sono positive e, se non dovesse essere trovata una soluzione a breve termine la crisi alimentare nel paese non potrà che peggiorare.Copyright Equilibri