Invitare gli africani al G8 serve solo a ‘salvare le apparenze’

CITTÀ DEL CAPO, 28 giugno 2010 (IPS) – La convocazione di sette paesi africani al prossimo G8 che si terrà in Canada, ci si chiede, riflette le preoccupazioni del Gruppo degli otto per la lunga serie di promesse non mantenute a Gleneagles nel 2005, oppure è solo un altro modo per “salvare le apparenze”?

Il primo ministro canadese Stephen Harper ha invitato sette paesi africani a partecipare al summit del G8 previsto per il 25 e 26 gennaio 2011 a Ontario. Si tratta di: Sudafrica, Malawi, Etiopia, Senegal, Nigeria, Algeria ed Egitto.

Francis Ikome, direttore del Programma africano e sudafricano presso l’Institute for Global Dialogue (IGD nell’acronimo inglese), ha delle perplessità al riguardo. “Da quando è nato il Nuovo partenariato per lo sviluppo dell’Africa (NEPAD), è diventata una moda tra i paesi industrializzati invitare gli stati africani a partecipare a vertici mondiali come il G8”.

“Alle tante promesse che si fanno di solito, seguono ben pochi fatti concreti. Il punto è capire se i paesi (africani) saranno in grado di fare proposte. Questo è un incontro di paesi occidentali e industrializzati. Io credo che gli stati africani siano stati invitati solo per salvare le apparenze”.

Il meeting prevede anche una “sessione esterna” alla quale, oltre ai sette stati africani, parteciperanno anche Giamaica, Haiti e Colombia, tre paesi invitati sulla base degli obiettivi per le Americhe della politica estera canadese.

Ikome avverte che “i leader africani si renderanno ridicoli se dialogheranno a latere degli incontri principali. Un leader non dovrebbe arrivare fino in Canada per parlare nei corridoi”. L’IGD è un istituto di ricerca per le relazioni internazionali con sede a Johannesburg, Sudafrica.

Ma Trudi Hartzenberg, direttore esecutivo del Centro di diritto commerciale (Tralac) per l’Africa meridionale, crede che i meeting secondari saranno comunque utili ai paesi africani. “Non dobbiamo dimenticare che le discussioni bilaterali più importanti spesso nascono al di fuori dei meeting formali. È proprio negli incontri informali che si raggiungono accordi importanti e si sollevano questioni che poi possono essere portate avanti”.

Il Tralac, con sede vicino a Città del Capo, Sudafrica, è un’organizzazione no profit che si propone di sviluppare capacità nel campo del diritto commerciale in Africa meridionale.

Anche Mzukisi Qobo, a capo del programma sulle sfide delle potenze emergenti e la leadership globale presso l’Istituto sudafricano per gli affari internazionali (Saiia), ha un atteggiamento più mite sull'argomento: “Il Canada teme che l’interesse per le questioni africane sollevate al summit scozzese di Gleneagles nel 2005 stia svanendo”.

“Dopo il summit di Gleneagles, dei 25 miliardi di dollari promessi all’Africa, se ne sono materializzati solo 13”, ha aggiunto. Il Saiia è un istituto di ricerca non governativo con sede a Johannesburg, Sudafrica.

Al summit del 2005, al quale avevano partecipato i leader di Algeria, Etiopia, Ghana, Nigeria, Senegal, Sudafrica e Tanzania, era stato promesso anche un maggior aiuto alle forze di pace per l’Africa e maggiori investimenti nell’educazione e per la lotta alle malattie mortali come Hiv e Aids, malaria e tubercolosi.

Era stata paventata anche l’ipotesi che “un giorno” si sarebbe messo fine alle pratiche commerciali protezionistiche dei paesi ricchi occidentali e che il debito di 40 miliardi di dollari dei paesi più poveri, anche africani, sarebbe stato cancellato. I membri europei del G8 si erano anche impegnati a destinare lo 0,56 percento del loro Pil agli aiuti esteri entro il 2010, e lo 0,7 percento entro il 2015.

“I sette stati africani invitati sono stati scelti con molta attenzione perché tutti hanno attualmente un grosso rilievo in Africa”, afferma Qobo.

Males Zenawi, il premier etiope, è da qualche tempo un pupillo del mondo occidentale, nonostante le “sfide” ai diritti umani che si verificano nel suo paese, sostiene Qobo. L’Etiopia è considerata uno dei maggiori alleati africani degli Stati Uniti, una relazione dovuta alla sua vicinanza geografica al Medio Oriente.

Algeria e Senegal sono paesi francofoni influenti mentre Nigeria ed Egitto sono potenze regionali importanti rispettivamente nell’occidente e nel nord dell’Africa.

Il Sudafrica è visto come la forza economica e politica di tutto il continente e come il motore del NEPAD, che è stato fondato proprio da Nigeria, Algeria, Egitto, Senegal e Sudafrica.

Il Malawi, il paese più piccolo e povero dei sette convocati, presiede attualmente l’Unione Africana.

“È in atto un processo nel ministero degli esteri canadese volto a sviluppare e a mantenere una strategia d’azione per l’Africa”, ha aggiunto Qobo. C’è preoccupazione anche per il coinvolgimento dei paesi africani con il BRIC (Brasile, Russia, India e Cina): l’Africa intrattiene relazioni importanti e consolidate con il gruppo, e questo legame fa paura ai paesi occidentali”.

“Il Canada vuole capire come impegnarsi in modo significativo con l’Africa per quanto riguarda la sicurezza, gli aiuti, il commercio e gli investimenti”.

Secondo Hartzenberg, è indicativo il fatto che l’invito sia stato rivolto a un gruppo così eterogeneo di paesi africani. “Spesso il Sudafrica viene visto come un ‘portavoce’ per l’intero continente, mentre l’Africa è un territorio multiforme”.

“Molti paesi più piccoli raramente hanno la possibilità di parlare su un palco internazionale. I bisogni di un paese piccolo come il Malawi, ad esempio, sono completamente diversi da quelli dell’Egitto, e ognuno deve presentare il proprio caso specifico”.

Per Hartzenberg, i paesi occidentali, che per la maggior parte hanno abbandonato gli impegni presi a Gleneagles, usano la recessione mondiale come un alibi per disattendere le loro promesse.

L’ultima critica di Ikome è che il G8 sta perdendo il suo valore sullo scenario globale: “Ormai è stato sostituito dal Gruppo dei 20 (G20). Sarebbe meglio se i paesi africani fossero rappresentati ai summit del G20”. © IPS