AMBIENTE: Popoli indigeni chiedono più voce in capitolo

ANCHORAGE, Alaska, 21 aprile 2009 (IPS) – Proprio mentre i popoli indigeni provenienti da tutto il mondo si ritrovano in questa città dell’Alaska per chiedere più voce in capitolo nei negoziati sul clima globale, il rapido riscaldamento dell’Artico sta costringendo alcuni villaggi Inuit a trasferirsi altrove.

Indigenous Summit Indigenous Summit

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“Abbiamo secoli di esperienza nell’adattamento al clima, e i nostri stili di vita ancestrali hanno una bassissima impronta al carbonio”, spiega Victoria Tauli-Corpuz, leader indigena delle Filippine e presidente del Forum permanente delle Nazioni Unite sulle questioni indigene.

I gas a base di carbonio sono la principale causa dell’effetto serra, che provoca i cambiamenti climatici. L’eccessivo rilascio di questi gas, come anidride carbonica e metano, viene dalle attività umane: combustione dei combustibili fossili nell’industria e nei trasporti, emissioni dalla produzione zootecnica e deforestazione.

Circa 400 popolazioni indigene, compreso il presidente boliviano Evo Morales, e osservatori da 80 nazioni, si sono riuniti ad Anchorage, Alaska (20-24 aprile) per partecipare al Summit globale dei popoli indigeni sui cambiamenti climatici, sponsorizzato dalle Nazioni Unite.

Verranno esaminati e discussi i modi in cui i saperi tradizionali possono essere utilizzati negli sforzi di adattamento e mitigazione dei cambiamenti climatici.

“Le popolazioni indigene hanno contribuito meno degli altri al problema globale del cambio climatico, ma certamente saranno loro a subire il peso maggiore del suo impatto”, spiega Patricia Cochran, presidente del Consiglio circumpolare articolo e del Summit di aprile.

I popoli indigeni, sostiene, sono i massimi esperti quando si parla di clima: qualsiasi dialogo o negoziato sarà molto più ricco e produttivo con la loro partecipazione.

Eppure, ha aggiunto, sono loro in prima linea quando si tratta degli impatti del cambiamento climatico.

Il villaggio di Newtok, circa 800 chilometri a est di Anchorage, è il primo di diversi villaggi che dovranno essere dislocati come conseguenza del cambiamento climatico. A causa dell’aumento delle temperature medie, l’intensificarsi del flusso dei fiumi e dello scioglimento del permafrost sta distruggendo case e infrastrutture, costringendo 320 residenti a trasferirsi verso un’area di maggiore altitudine 15 chilometri ad ovest, con un costo previsto di decine di migliaia di dollari.

Altri cinque insediamenti Inuit in Alaska dovranno essere urgentemente dislocati, come Shishmaref (popolazione 560) e Kivalina (377), dove il ghiaccio marino costiero non riesce più a contenere le onde delle tempeste autunnali, comportando una grave erosione costiera. Decine di altri insediamenti simili sono considerati a rischio.

Secondo il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (IPCC), le regioni più colpite – come Artico, Caraibi e Amazzonia – sono le aree del pianeta dove vive la maggior parte dei popoli indigeni, osserva Sam Johnston, dell’Università delle Nazioni Unite di Tokyo (UNU), co-sponsor del Summit.

Nel mondo, sono stati identificati almeno 5mila diversi gruppi indigeni in oltre 70 paesi, con una popolazione globale stimata tra 300 e 350 milioni di abitanti, che rappresenta circa il sei per cento degli abitanti dell’intero pianeta.

Proprio per il loro storico legame culturale e spirituale con la terra, gli oceani e il mondo animale, i popoli indigeni hanno molto da offrire, ha detto Johnston in un’intervista.

“Il mondo deve prestare più ascolto alle opinioni di queste comunità, e alla saggezza dei loro saperi ancestrali”, ha osservato.

Principale obiettivo del Summit, contribuire a rafforzare la partecipazione delle comunità indigene e esprimere messaggi e raccomandazioni alla Conferenza delle parti della Convenzione quadro dell’Onu sui cambiamenti climatici (UNFCC) del prossimo dicembre a Copenaghen.

Qui, i governi di tutto il mondo negozieranno un accordo post-Kyoto (che scade nel 2012) per la riduzione delle emissioni di anidride carbonica e per creare un fondo di adattamento di aiuto ai paesi poveri.

Il vertice indigeno si concluderà ad Anchorage venerdì, con una dichiarazione e un piano d’azione, e un appello ai governi del mondo perché includano a pieno titolo i popoli indigeni nel futuro regime sui cambiamenti climatici post-Kyoto adottato a Copenaghen.

Attualmente, le popolazioni indigene non hanno un ruolo formale nei colloqui sul clima, nonostante la partecipazione di alcuni loro rappresentanti nella delegazione boliviana in una serie di incontri preparatori all’inizio di questo mese a Bonn, Germania.

In teoria, questi popoli avrebbero un ruolo formale di consulenza, come hanno di fatto nella Convenzione Onu sulla biodiversità, ha spiegato Tauli-Corpuz.

”Purtroppo, nessun governo ha voluto fare pressioni in tal senso per la UNFCCC”, ha osservato.

La “Dichiarazione Anchorage” sarà firmata dal presidente Evo Morales, che è di origine Aymara; da Miguel d'Escoto Brockmann, presidente dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite; e dal parlamentare danese Juliane Henningsen, rappresentante della Groenlandia, ha segnalato Cochrane.

Questioni come ridurre la deforestazione e promuovere il rimboschimento massiccio possono avere un impatto decisivo sui popoli indigeni, ed è vitale che i loro diritti vengano riconosciuti e rispettati in qualsiasi accordo finale sul clima, afferma Tauli-Corpuz.

Ma le discussioni bilaterali, ha avvertito Johnston dell’UNU, soprattutto tra Cina e Stati Uniti, cominciano a surriscaldarsi in vista dell’incontro di Copenaghen, e questo rischia di compromettere la partecipazione dei popoli indigeni, che resterebbero confinati ai margini.

(*Articolo pubblicato sui quotidiani latinoamericani della rete di Tierramérica, servizio dell’IPS sponsorizzato dai Programmi Onu per lo sviluppo e per l’ambiente e dalla Banca mondiale).