MEDIO ORIENTE: Blackout di notizie sul disastro umanitario

RAMALLAH, West Bank, 20 novembre 2008 (IPS) – Israele ha imposto un blackout virtuale sulle informazioni dalla striscia di Gaza. Negli ultimi dieci giorni, nessun giornalista straniero ha avuto accesso ai territori occupati per testimoniare l’aggravamento della crisi umanitaria provocato dal blocco totale da parte di Israele delle frontiere di Gaza.

Cherrie Heywood/IPS Cherrie Heywood/IPS

Cherrie Heywood/IPS
Cherrie Heywood/IPS

Steve Gutkin, responsabile dell’ufficio della Associated Press (AP) a Gaza e a capo dell’Associazione israeliana per la libertà di stampa, ha dichiarato che per quanto ne sappia “a nessun giornalista straniero è stato concesso di entrare a Gaza nell’ultima settimana”.

Gutkin ha dichiarato che “anche se in passato Israele aveva già impedito alla stampa estera di entrare nella striscia, la portata dell’attuale blocco ne fa un caso senza precedenti”; e ha aggiunto di non aver ricevuto nessuna spiegazione “plausibile o accettabile” per la decisione del governo israeliano.

L’AP si è affidata ai resoconti di due suoi giornalisti che erano riusciti ad entrare a Gaza qualche giorno prima della chiusura, e che adesso sono rimasti bloccati lì.

Anche una delegazione di parlamentari dell’Unione europea si è vista impedire l’accesso a Gaza per poter valutare la situazione sul campo, e parlare con i leader di Hamas. Il gruppo ha perciò deciso di rompere il blocco navale israeliano e di entrare nella striscia attraverso le acque territoriali costiere da Cipro, sfidando la marina militare di Israele.

Nei colloqui avuti con Hamas, i parlamentari europei hanno ottenuto un impegno storico dall’organizzazione islamica, che si è detta disposta a riconoscere il diritto di Israele ad esistere entro i confini garantiti a livello internazionale nel 1967. Hamas ha poi proposto un cessate il fuoco di lungo periodo in cambio della legittimazione da parte di Israele dei diritti dei palestinesi.

Giovedì scorso, Israele aveva negato a 20 consoli generali dell’Unione europea l’accesso a Gaza. Domenica, la polizia israeliana di frontiera ha vietato a 15 camion che trasportavano medicinali di entrare nella striscia.

Benita Ferrero-Waldner, commissario Ue per le relazioni esterne e la politica europea di vicinato, ha espresso forti riserve: “Sono estremamente preoccupata per le conseguenze sulla popolazione locale del blocco totale di tutte le frontiere della striscia per le consegne di carburante e l’assistenza umanitaria di base”, ha dichiarato.

Karen AbuZayd, a capo dell’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l' occupazione dei profughi palestinesi (UNRWA), ha aggiunto che è inusuale per Israele non lasciare entrare neanche viveri e medicine. “Questa situazione ci ha allarmato più del solito perché [il blocco] non era mai durato tanto né era mai stato tanto rigido, e non avevamo mai avuto una risposta così negativa ai nostri bisogni”, ha osservato.

Israele ha chiuso le frontiere dopo aver subito un fuoco di fila di razzi da parte dei combattenti della resistenza palestinese contro le città israeliane al confine con la striscia di Gaza.

Questa spirale di violenza occhio per occhio, è cominciata lo scorso 4 novembre, quando le Forze di difesa israeliane (IDF) hanno lanciato un raid oltreconfine contro Gaza, violando un fragile cessate il fuoco di cinque mesi con Hamas. Sembra che volessero distruggere un tunnel costruito dai palestinesi presumibilmente per far passare i soldati israeliani presi in ostaggio.

Negli attacchi israeliani sono rimasti uccisi più di 20 palestinesi, mentre nel successivo attacco missilistico sarebbero rimasti feriti due israeliani.

La tempestività degli israeliani nel violare il cessate il fuoco è quanto meno curiosa, visto che centinaia di questi tunnel segreti erano già stati costruiti dopo che Hamas aveva preso il controllo della striscia di Gaza, a giugno dell’anno scorso. Vengono usati per trasportare clandestinamente i beni di prima necessità ma anche le armi, visto che il territorio è stato completamente isolato da Israele.

John Ging, direttore dell’UNRWA a Gaza, che ha vissuto nella striscia negli ultimi tre anni, ha messo in dubbio le presunte ragioni di sicurezza addotte per giustificare il blocco. Sin dall’inizio del cessate il fuoco, quest’estate, spiega Ging, attraverso la frontiera sono passate meno forniture rispetto all’inizio del 2006, quando il Negev occidentale in Israele subì un lancio incessante di missili da parte di Gaza.

All’epoca, l’Autorità palestinese (PA), che gode dell’appoggio di Israele e della comunità internazionale, comandava Gaza con un governo di unità insieme ad Hamas.

”La scorsa settimana non abbiamo potuto sfamare 60mila profughi palestinesi tra i più bisognosi, perché nei nostri magazzini si erano esaurite le scorte. L’UNRWA rifornisce metà della popolazione di Gaza, che è di 1,5 milioni di persone, con razioni d’emergenza; e ogni giorno 20mila persone ricevono cibo, quando abbiamo forniture sufficienti”, ha segnalato Ging all’IPS.

Nel settanta per cento del territorio di Gaza si verificano continui blackout elettrici, da quando Israele ha imposto il blocco delle consegne di carburante diesel, costringendo alla chiusura le principali centrali elettriche della striscia.

”Prima del blocco, gli israeliani lasciavano entrare solo 2,2-2,5 milioni di litri di carburante a settimana, la quantità minima necessaria per far funzionare le centrali. Una centrale ha una capacità di 20 milioni di litri, che le permettono di operare per due mesi in circostanze normali e per sostenere i periodi di emergenza. Ma sono già esauriti”, ha lamentato Ging.

Kan'an Ubeid, vicepresidente dell’Autorità palestinese per l’Energia, ha dichiarato in una conferenza stampa a Gaza che oltre alla chiusura delle centrali diesel, la rete elettrica che porta la corrente da Israele è stata danneggiata, in sovraccarico per l’eccessiva tensione.

Gli abitanti di Gaza hanno esaurito anche il gas da cucina, mentre l’Autorità dell’Acqua di Gaza (Costal Municipality Water Utility, Cmwu) è stata costretta a scaricare tonnellate di liquami non trattati nell’oceano, a causa della carenza di carburante e della mancanza di parti di ricambio per gli impianti, che sono da ristrutturare.

Gran parte di questi liquami confluiranno nel livello freatico sotterraneo, ed è già grave la minaccia di contaminazione dell’acqua, che favorisce la diffusione delle malattie.

Intanto, il direttore generale dei servizi di pronto soccorso e di ambulanza Mu'awiyya Hassanein spiega che al ministero della Salute di Gaza mancano più di 300 tipi di medicinali indispensabili.

Sammy Hassan, portavoce dell’ospedale centrale di Gaza, lo Shifa, spiega che si può effettuare solo la chirurgia d’urgenza. “Abbiamo rimandato tutte le operazioni non urgenti, dato che il nostro piccolo generatore ha smesso di funzionare, e non possiamo importare pezzi di ricambio essenziali”.

“Ci sono rimasti meno di 30mila litri di carburante per far funzionare il generatore principale, che viene utilizzato durante i blackout. Normalmente, senza elettricità abbiamo bisogno di 10mila litri al giorno”, ha spiegato Hassan all’IPS.

Secondo Philip Luther, vicedirettore del programma per il Medio Oriente di Amnesty International, l’ultimo inasprimento del blocco da parte di Israele aveva “peggiorato ulteriormente una situazione umanitaria già terribile. Non è altro che una punizione collettiva per la popolazione civile di Gaza, e deve essere immediatamente fermata”.

Grazie alle pressioni internazionali e alle proteste dell’Unione europea, lunedì scorso Israele aveva concesso a 30 tir di aiuti umanitari di entrare nella striscia di Gaza. “Durerà solo qualche giorno”, aveva detto il portavoce dell’UNRWA Christopher Gunnes. “E poi?”.

Il portavoce di Oxfam a Gerusalemme Michael Bailey, coordinatore di alcuni programmi umanitari a Gaza, ha commentato che questa risposta è totalmente inadeguata.

”Trenta camion di aiuti dopo 10 giorni di blocco sono insufficienti. Ciò di cui abbiamo bisogno è una revisione completa dell’embargo contro Gaza. Il dialogo con i principali leader politici è l’unico modo per risolvere qualcosa”, ha detto all’IPS.

“Sia Israele che gli altri vicini di Gaza devono mettere al di sopra di ogni altra considerazione i diritti umani e i bisogni primari degli abitanti di Gaza, se vogliamo uscire da questo pantano”.