PENA DI MORTE – ARABIA SAUDITA: Assistenza legale per una giovane, a un passo dalla decapitazione

COLOMBO, 25 luglio 2007 (IPS) – La straordinaria sospensione, ottenuta dagli avvocati, della condanna di una collaboratrice domestica dello Sri Lanka, contro la scadenza della presentazione di appello entro il 16 luglio al tribunale dell’Arabia Saudita, ha acceso i riflettori internazionali su un sistema giudiziario chiuso che condanna a morte senza una rappresentanza legale nei processi.

Il 16 giugno Rizana Nafeek, lavoratrice migrante di 19 anni, è stata condannata a morte per presunto omicidio intenzionale causato da soffocamento di un bambino di quattro mesi, nel maggio 2005, mentre la ragazza gli stava dando il biberon. Nafeek aveva solo un mese di tempo per l’appello, altrimenti sarebbe stata decapitata con una spada e il suo corpo mostrato in pubblico per scoraggiare eventuali reati futuri.

Secondo Amnesty International (AI), questa decapitazione sarebbe stata una delle oltre 100 già eseguite quest’anno, in un paese dove gli omicidi sono in rapida ascesa. Molti dei giustiziati sono stranieri. L’Arabia Saudita ha una popolazione di 27 milioni, compresi 5,5 milioni di stranieri nazionalizzati. Secondo AI, lo scorso anno sono state eseguite 39 condanne capitali, 26 su detenuti stranieri.

La sospensione della pena di Nafeek all’ultimo minuto si deve alla Commissione asiatica per i diritti umani (AHRC) con sede a Hong Kong, che ha lanciato una campagna internazionale “in circostanze straordinarie”. La Commissione, con l’approvazione dell’ambasciata delllo Sri Lanka a Riyadh, è intervenuta per pagare le spese legali ad avvocati sauditi così da opporsi alla sentenza capitale davanti alla corte.

”Abbiamo presentato appello entro la data stabilita”, ha detto all’IPS a Colombo Hussain Bhaila, vice ministro degli esteri dello Sri Lanka, prima di volare in missione a Riyadh l’ultima settimana utile per la grazia. Con lui in volo c’erano i genitori di Nafeek e un leader islamico locale.

L’obiettivo della missione era contemplare un diverso approccio per salvare la donna, la quale ha ottenuto un rinvio dell’esecuzione. Speravano di incontrare i genitori del bambino morto, ed ottenerne il perdono attraverso vari intermediari, e speravano di visitare la ragazza in carcere.

”Non sarà facile incontrarli (i genitori)”, ha detto Bhaila, aggiungendo che avevano già rifiutato di incontrare l’ambasciatore dello Sri Lanka. Secondo la legge saudita, solo i genitori possono concedere il perdono, ma lo hanno negato da quando la sentenza di morte è stata emessa.

Le drammatiche difficoltà internazionali con cui si è tentato di salvare la vita di Nafeek dimostrano l’impossibilità di altri lavoratori migranti condannati ad assumere legali sauditi – anche quando sanno di avere questo diritto. Nafeek viene da una famiglia povera dello Sri Lanka e lavorava in quella famiglia dell’Arabia Saudita da sole due settimane prima del tragico incidente.

I costi legali dell’appello erano stati inizialmente fissati a 250.000 rial sauditi (circa 66.000 dollari Usa). L’ambasciata dello Sri Lanka ha successivamente negoziato una riduzione di 28.000 dollari.

Malgrado l’appello oggi possa andare avanti, gli avvocati stanno ancora aspettando dai funzionari sauditi l’invio di documenti fondamentali, compresa una copia della sentenza finale. Appena una settimana prima della scadenza per l’appello, l’ambasciata dello Sri Lanka aveva emesso una “richiesta urgente” per ottenere questo e altri documenti indispensabili ai legali. Con l’appello, per la prima volta dall’arresto Nafeek è stata rappresentata da un legale. Secondo l’AHRC, al processo non aveva avuto alcuna consulenza legale indipendente. Lo stesso era avvenuto nel processo a quattro migranti dello Sri Lanka giustiziati nel febbraio di quest’anno per rapina a mano armata, riferisce AI.

Il caso è simile da molti punti di vista, e potrebbe essere significativo per altri processi capitali contro lavoratori migranti in Arabia Saudita.

Nafeek è stata costretta sotto minaccia a firmare una dichiarazione di incriminazione usata poi per la condanna di soffocamento del bambino. “Alla stazione di polizia è stata trattata brutalmente, senza l’aiuto di un traduttore o di qualcuno cui spiegare l’accaduto. È stata costretta a firmare una confessione per poi portare in tribunale le accuse di omicidio per soffocamento”, riferisce l’AHRC.

I quattro uomini dello Sri Lanka decapitati, durante il processo avevano raccontato ai giudici di essere stati picchiati dalla polizia nel corso dell’interrogatorio. Uno dei quattro, Ranjith de Silva, in un’intervista telefonica rilasciata a Human Rights Watch una settimana prima della sua esecuzione, ha dichiarato che aveva capito, ma non pensava che quella confessione di incriminazione gli sarebbe costata la pena di morte.

De Silva aggiungeva che durante il processo il giudice non l’aveva informato sulla possibilità di fare appello, né di fornire copia del giudizio ai quatto imputati, sostiene Human Rights Watch. Secondo AI, pare che uno dei quattro pensasse di essere stato condannato a 15 anni di prigione.

La condotta dei giudici sauditi è sotto esame nel caso di Nafeek. Secondo AHRC, la ragazza avrebbe dichiarato al giudice di avere 17 anni al suo arrivo in Arabia Saudita, nel 2005, e non 23. La data di nascita sul passaporto era stata falsificata dall’agenzia di collocamento. Quindi avrebbe avuto 17 anni al momento della morte del bambino, ovvero, sarebbe stata minorenne.

Tuttavia, il giudice non avrebbe richiesto un esame medico di verifica, denunciano le organizzazioni per i diritti. L’ambasciata dello Sri Lanka, in una dichiarazione dell’8 luglio, ha confermato l’esistenza di una copia certificata dell’atto di nascita di Nafeek, confermando la data del 4 febbraio 1988.

Per l’Arabia Saudita l’età minima per lavorare è di 22 anni, sostiene Suraj Dandeniya, presidente della Association of Licensed Foreign Employment Agencies a Colombo.

La falsificazione dei documenti è una pratica molto diffusa. Secondo alcune statistiche, tra il 10 e il 25 per cento delle donne musulmane dello Sri Lanka che vanno a lavorare all’estero sono minorenni e riescono ad emigrare con documenti e passaporti falsi. In Arabia Saudita il numero di lavoratori migranti srilankesi è di circa 300.000, di cui un terzo sarebbero donne musulmane.

”Tutti i funzionari coinvolti in questo processo illegale sono colpevoli, non solo gli intermediari dell’assunzione”, ha dichiarato Dandeniya.

David Soysa, direttore del Centro dei lavoratori migranti, istituzione da tempo presente a Colombo per aiutare i lavoratori migranti, crede che il caso di Nafeek mostri quanto siano impreparati e scarsamente formati molti lavoratori migranti per le loro mansioni nelle famiglie mediorientali. L’Ufficio dello Sri Lanka per il lavoro all’estero, principale ente governativo che promuove l’occupazione all’estero, fornisce solo 12 giorni di formazione.

” La mancanza di formazione adeguata dei lavoratori migranti è un problema serio. La ragazza non sapeva far fare il ruttino al bambino in caso di soffocamento durante il pasto, evento piuttosto comune che avrebbe gestito facilmente se fosse stata preparata”, ha aggiunto Soysa.

Secondo il direttore del Centro, si tratta di un caso di traffico di minori. “Chi viola la legge dovrebbe essere punito”, ha detto.

L’Arabia Saudita è firmataria della Convenzione sui diritti dell’infanzia, che vieta ai suoi stati membri di giustiziare chiunque per un crimine commesso prima dei 18 anni di età.

Non si sa quando il caso di Nafeek arriverà davanti alla corte d’appello.