DIRITTI-IRAN: C’era sangue ovunque, e odore di morte

BERKELEY, Stati Uniti, 18 luglio 2007 (IPS) – Dilagano le critiche al sistema giudiziario iraniano dopo la brutale esecuzione di un uomo condannato per adulterio più di dieci anni fa e lapidato a morte il 5 luglio scorso. Nonostante l’ordine ufficiale di sospendere l’esecuzione emesso un mese fa dall’Ayatollah Mahmoud Shahroudi, capo dell’ordinamento giudiziario, il giudice del caso ha insistito per lapidare a morte Jafar Kiani.

Shadi Sadr, avvocatessa e attivista per i diritti umani

Shadi Sadr, avvocatessa e attivista per i diritti umani

La lapidazione è la pena prevista per adulterio dalla legge islamica in Iran. Ma negli ultimi anni, alcuni ufficiali giudiziari hanno deciso di non applicarla, per le forti obiezioni a livello nazionale e internazionale dovute alla sua natura disumana. Secondo la sharia (legge islamica), l'uomo viene sotterrato fino alla cintola, mentre la donna fino al collo, e chi è incaricato di eseguire la sentenza lancia delle pietre contro il condannato fino a che non muore.

Circa un mese fa, la campagna sociale “Basta con le lapidazioni”, coordinata da alcune donne attiviste, avvertiva che Kiani e Mokarrameh Ebrahimi, una donna di 43 anni madre di tre figli, sarebbero stati lapidati a morte a Takistan, una città nella provincia di Ghazvin. Per fermare l’esecuzione, le attiviste hanno lanciato una campagna via Internet e contattato gli ufficiali giudiziari.

Sono riuscite a entrare in contatto con la parte del ramo giudiziario che si oppone alla pratica della lapidazione in casi simili, convincendo l’Ayatollah Mahmoud Shahroudi a ordinare la sospensione dell’esecuzione.

Dal momento che il governo iraniano controlla tutti i media principali, televisione, radio e giornali, Internet resta l’unico mezzo di comunicazione che gli attivisti possono usare per eludere la censura, i filtri e la soppressione della libertà di parola.

Il 10 luglio, il portavoce del giudiziario Alireza Jamshidi ha confermato che Jafar Kiani era già stato giustiziato per lapidazione cinque giorni prima, mentre nel caso della sua compagna Mokarrameh Ebrahimi, la sentenza non era ancora stata eseguita.

Jamshidi si è detto sorpreso della decisione a procedere presa del giudice locale: “Di recente è stata eseguita una condanna di lapidazione da un giudice di Takistan, ma le sentenze non dovevano essere eseguite in questo modo, secondo il ramo giudiziario, e l’ordine di divieto dovrebbe assicurare un’adeguata cautela da parte dei giudici nell’emettere ed eseguire simili sentenze”.

”Ma in questo caso, essendo stata confermata [dalla Corte suprema], la sentenza dell'uomo è stata eseguita, mentre quella della donna è stata sospesa”, ha aggiunto. ”La misura in cui l’ordine di divieto può privare il giudice della sua indipendenza è un discorso lungo, ma un giudice può agire in modo indipendente – anche se, con l’ordine del capo del giudiziario, è necessaria una maggiore cautela nell’emettere ed eseguire queste sentenze”, ha ripetuto.

Secondo diverse fonti, l’ufficio del giudice Ashabi, che ha attuato la sentenza, è chiuso, e l’uomo non è stato visto dopo l’esecuzione. Anche il capo del giudiziario della Provincia di Ghazvin ha detto che la sentenza è stata effettuata senza che lui ne fosse a conoscenza, e il giudice ha attuato la sentenza su iniziativa personale. Ci sono prove evidenti di lotte interne nell’ordinamento giudiziario su questo tema, tra islamici radicali e moderati.

Asieh Amini, una giornalista e attivista per i diritti delle donne che ha visitato Aghche-Kands, il villaggio vicino Takistan dove è avvenuta la lapidazione, ha detto all’IPS che nessuno degli abitanti locali con cui ha parlato sapeva che si fosse verificato un simile fatto.

”Da quanto ho scoperto, l’Ayatollah Shahroudi aveva solo sospeso la lapidazione ma senza cancellarla. Perciò, il giudice poteva attuare la sentenza legalmente secondo le leggi attualmente in vigore in Iran”, ha spiegato.

“Il giudice, con l’aiuto di alcuni agenti di polizia, ha prelevato il prigioniero dal centro di detenzione in un villaggio molto piccolo, insieme ad altri suoi colleghi dell’ufficio giudiziario della provincia di Ghazvin. Benché nessuno degli abitanti del villaggio fosse d’accordo sulla lapidazione, il giudice e i suoi complici lo hanno lapidato a morte”, ha detto Amini, in base alle osservazioni raccolte durante il suo viaggio nella zona.

La giornalista è riuscita a rintracciare una copia del rapporto del giudice, diretto all’ufficiale superiore. Sarebbe stato lo stesso giudice a dare il via all’esecuzione, lanciando la prima pietra.

”Sono stata lì; c’era sangue ovunque, e odore di morte. Uccidere un uomo lanciandogli delle pietre [è] un’azione a sangue freddo. Sembra sia un gioco politico e una lotta di potere tra radicali, tradizionalisti e moderati. Non credo che l’Ayatollah Shahroudi sia un sostenitore delle esecuzioni per lapidazione, ma trattandosi della legge islamica, non può opporsi ai fondamentalisti nell’ordinamento giudiziario, e rimane in silenzio di fronte all’applicazione di una sentenza tanto brutale”, ha aggiunto Amini.

Molti altri paesi e gruppi che si battono per i diritti umani hanno condannato duramente questa pena crudele. Appena qualche giorno fa, Human Rights Watch ha inviato una lettera all’Ayatollah Shahroudi, esortandolo ad eliminare questa pena dalla costituzione iraniana.

”Abbiamo scritto all’Ayatollah Shahroudi per diverse ragioni: primo, questa uccisione a sangue freddo è stata eseguita da ufficiali giudiziari provinciali che figurano sotto la sua supervisione, almeno nominalmente; secondo, aveva da poco ordinato in questo caso la sospensione dell’esecuzione – che le autorità provinciali hanno ignorato; terzo, aveva già emesso in precedenza una moratoria sulle esecuzioni per lapidazione”, ha spiegato all’IPS Joe Stork, capo della divisione Medio Oriente e Nord Africa di Human Rights Watch. “Sarebbe un passaggio logico, dopo la moratoria, eliminare dai libri qualsiasi norma che raccomandi o autorizzi le esecuzioni per lapidazione per qualsiasi reato”, ha aggiunto. “Il passo successivo, che non abbiamo specificato nella nostra lettera, dovrebbe essere vietare l’esecuzione per lapidazione, dichiarandola un reato penale”.

Secondo Shadi Sadr, nota avvocatessa e importante collaboratrice nella campagna “Basta con le lapidazioni”, c’è un evidente conflitto tra posizioni diverse all’interno dell’ordinamento giudiziario circa l’eliminazione delle leggi sulla lapidazione nella costituzione.

”Dando voce al radicalismo nei discorsi di stato, alcune fazioni del giudiziario che sostengono la lapidazione, in quanto prevista dalla legge islamica, e si oppongono alla sua eliminazione, sono diventati più forti delle altre fazioni che vorrebbero eliminarla dalla costituzione”; ha detto all’IPS Sadr, da Teheran.

”L’Ayatollah Shahroudi e i suoi sostenitori nel giudiziario non hanno l’autorità legale e politica per opporsi alla fazione islamica radicale”, ha aggiunto.

Nonostante le pressioni internazionali per fermare la lapidazione della compagna di Jafar Kiani, Mokarrameh Ebrahimi, Sadr si dice scettica sulla possibilità che persino il più alto ufficiale giudiziario del paese riesca più a sospendere tali sentenze, anche se secondo gli ufficiali il caso della donna sarebbe attualmente in riesame.

”Prima, le leggi sulla lapidazione esistevano, ma il potere politico dell’Ayatollah Shahroudi gli permetteva di sospendere un ordine di esecuzione. Adesso purtroppo, da quando i radicali hanno acquisito più potere nel governo, la sua autorità e volontà politica sono state fortemente minate”.

* Omid Memarian è un giornalista iraniano e attivista della società civile. Ha vinto diversi premi, tra cui il massimo riconoscimento di Human Rights Watch per i difensori dei diritti umani nel 2005