Il Consenso di Brasilia, un modello per l’America Latina

CARACAS, ott 2012 (IPS) – Dopo l’estremo neoliberismo del Consenso di Washington, che determinò un decennio perduto in termini sociali, l’America Latina sta sperimentando con maggiore successo la propria ricetta: il Consenso di Brasilia, che unisce economia di mercato e inclusione sociale.

Roussef e Lula Wilson Dias/ABR

Roussef e Lula
Wilson Dias/ABR

Il termine, coniato dal presidente della commissione di esperti dell’Inter-American Dialogue di Washington Michael Shifter, in contrapposizione col Consenso di Washington, è anche noto come “lulaismo”, dal nome dell’ex presidente del Brasile Luiz Inácio Lula da Silva, o “modello brasiliano”, e sta avendo un seguito crescente tra i governi latino-americani sia di sinistra sia di destra.

“Il modello brasiliano ha avuto un impatto molto positivo come esempio di come le cose possono essere fatte diversamente, promuovendo la crescita senza rinunciare all’equità sociale”, ha spiegato José Rivera, direttore generale del Sistema Economico Latinoamericano e dei Caraibi (SELA).

America Latina e Caraibi “dovrebbero entrambi aspirare a un’integrazione a livello locale ed essere uniti dall’obiettivo comune di ridurre le asimmetrie e di andare avanti nel pagamento dei maggiori debiti sociali rimasti insoluti”, ha affermato Rivera.

Secondo Rivera esistono “esempi positivi – in particolare quelli nati all’interno del Paese – di governi che affrontano con efficienza il problema dei debiti sociali insoluti in regioni in cui un latinoamericano su tre vive nella povertà e 90 milioni di persone sopravvivono con meno di un dollaro al giorno”.

Intervistato dall’IPS, Shifter ha detto che le caratteristiche del Consenso di Brasilia “rimangono invariate e valide”, sebbene Lula abbia lasciato la carica di presidente nel gennaio 2011 e il contesto internazionale e locale sia peggiorato.

“Il modello non è cambiato, né i suoi tre concetti chiave: crescita economica, equità sociale e governo democratico”, ha aggiunto.

La validità del Consenso è confermata dalla sua diffusione come guida per la governance in molti paesi dell’America Latina, indipendentemente dall’ideologia politica dei rispettivi presidenti. Ciò contrasta col declino di altre proposte più radicali avanzate dal presidente del Venezuela Hugo Chávez nel primo decennio del secolo.

Il modello brasiliano presenta idee opposte a quelle del pacchetto di misure imposto (dagli istituti finanziari internazionali di Washington e da politici molto influenti) all’America Latina durante la crisi del debito estero scoppiata all’inizio degli anni ’80 e protrattasi nel decennio successivo.

I dieci punti del Consenso di Washington, che riassumono l’ideologia neoliberista, imponevano severi aggiustamenti per eliminare il disavanzo fiscale, tra cui il dirottamento della spesa pubblica, la liberalizzazione finanziaria e monetaria, l’aumento delle tasse, l’apertura dei mercati e degli investimenti e la privatizzazione massiccia, col fine di ripagare il debito e di creare una nuova base per la crescita economica.

Nella pratica, lungi dal generare una crescita, le riforme favorirono la deindustrializzazione regionale e fecero scendere il PIL per quasi un decennio, caratterizzato da crisi economiche, molte delle quali di livello mondiale.

Ma l’aspetto peggiore fu il suo impatto sulla popolazione. Durante il cosiddetto “decennio perduto” fu tagliata ogni spesa sociale, soprattutto nell’istruzione, sanità, alloggi e assistenza per i settori più vulnerabili, mentre anche le condizioni di lavoro peggioravano.

La conseguenza fu l’aumento della povertà e dell’indigenza, la formazione di nuove baraccopoli nelle città e la diffusione di economia e lavoro informali, oltre ad altri aspetti negativi.

Durante i suoi otto anni di presidenza (2003-2011), Lula istituì un modello diverso, basato sulla stabilità macroeconomica e fiscale, su un’autorità monetaria autonoma e su tassi di cambio liberi, oltre ad aggressive politiche di produzione industriale e domestica.

Un’altra priorità del modello brasiliano è l’inclusione sociale, con l’aumento dei salari, la creazione di occupazione formale e forti investimenti nelle politiche volte a debellare la fame, ridurre la povertà, migliorare l’istruzione e la salute, e a ridistribuire il reddito nella società.

Il principio guida è la democrazia, insieme all’estensione dei diritti umani, gli incentivi per la partecipazione dei cittadini e per un’organizzazione che parta dal popolo.

Shifter ha affermato che il successore di Lula, la presidente Dilma Rousseff, “ha deciso di tenere un profilo più basso rispetto a quello di Lula, ma il modello del Consenso di Brasilia non ne ha risentito”; ha “uno stile di gestione diverso e altre priorità”.

Rousseff ha applicato politiche diverse per favorire l’economia e per limitare l’effetto della recessione nei paesi del Nord industrializzato, in particolare l’Europa, ed ha provveduto a rinforzare programmi sociali in questo nuovo scenario sfavorevole.

Una recente affermazione della Rousseff sottolinea la sua posizione: “Quello che voglio, e per cui combatto, è che il Brasile diventi la sesta potenza sociale”, ora che la sua nazione è diventata la sesta potenza economica al mondo e si prepara ad occupare il quinto posto.

Tra i paesi dell’America Latina i cui governi hanno adottato il Consenso di Brasilia tra le linee guida generali, seppure con delle varianti, Shifter ha citato Cile, Colombia, El Salvador e Uruguay. Altre amministrazioni prendono solo alcuni elementi, mentre Argentina e Paraguay – fino all’allontanamento del suo presidente Fernando Lugo a giugno – sarebbero degli “ibridi” tra lulaismo e chavismo, afferma l’esperto.

Nello specifico ha citato il caso del presidente del Perù Ollanta Humala, che ha scelto il lulaismo e non il modello “bolivariano di Chávez”, avviandone il declino nella regione. © IPS