BRASILE: Orti urbani nelle favelas

RÍO DE JANEIRO, ott 2012 (IPS) – Per praticare l'orticoltura non serve vivere in campagna. Lo sanno bene le centinaia di migliaia di persone, da l’Avana a Buenos Aires, che si dedicano all'agricoltura urbana. Ora la nuova tendenza conquista le favelas di Rio de Janeiro.

Fabíola Ortiz/IPS Fabíola Ortiz/IPS

Fabíola Ortiz/IPS
Fabíola Ortiz/IPS

L’orto può prosperare anche nel centro della città, nei giardini, terreni rialzati, tetti, balconi e terrazze delle abitazioni nelle comunità povere del Brasile, le favelas.

Un'iniziativa pionieristica ha preso piede in due di questi quartieri, Babilônia e Chapéu Mangueira, nella zona di Leme, a sud di Rio de Janeiro.

Gli orti urbani fanno parte del programma Rio Ciudad Sustentable, realizzato dal Consiglio imprenditoriale brasiliano per lo sviluppo sostenibile (CEBDS), e ad oggi già 16 abitanti si sono offerti volontari per apprendere, nel corso di cinque mesi, le tecniche di coltivazione di un appezzamento di terra ad uso domestico.

L'agricoltura biologica fa tendenza nelle grandi città, ha affermato Marina Grossi, presidente del CEBDS. “Non solo per la ricerca di un'alimentazione biologica, ma anche perché si accorciano le distanze e si generano entrate”.

Cuba ha un’esperienza ventennale in questo campo e i successi sono eccezionali. Lo scorso anno, il suo raccolto di ortaggi ed erbe aromatiche ha superato il milione di tonnellate, mentre il totale nazionale della produzione orticola è stato di 2,2 milioni di tonnellate.

Il settore impiega circa 300mila persone, e i prodotti vengono venduti senza intermediari. Si pratica anche l’allevamento di animali e volatili da cortile e la formazione prevede miglioramento del suolo, gestione delle risorse idriche e gestione agro-ecologica dei parassiti.

Dal 2007, il governo cubano ha deciso di estendere la produzione ad aree periferiche, soprattutto in piccole aziende agricole organizzate in cooperative.

Il Brasile, con 192 milioni di abitanti, è una potenza agricola e zootecnica mondiale, soprattutto per la sua dinamica esportazione agroalimentare. Ma ci sono appena 120mila agricoltori urbani, di cui poco più della metà riceve un appoggio dal governo per sostenere i campi, soddisfare il proprio consumo e rifornire i mercati locali.

“Abbiamo fatto un’indagine per capire cosa mangiano gli abitanti di Babilônia e Chapéu Mangueira, e abbiamo deciso di adottare un sistema di produzione continua in agroecologia”, senza fertilizzanti né pesticidi chimici, ha spiegato Suyá Presta, coordinatore del corso di agricoltura biologica.

In uno stesso campo si ottiene la maggiore diversificazione possibile. “Ogni settimana vengono collocate diverse piantine affinché la produzione non sia mai carente”, ha detto Presta.

Luiz Alberto de Jesus, 52 anni, abitante di Babilônia, è uno degli allievi del corso. Ha un balcone al secondo piano di un edificio, dove condivide lo spazio coltivato con altri quattro vicini.

“Quando sentivo parlare di alimentazione biologica, non sapevo cosa fosse. Ma è una produzione che non ha misteri, si può ricavare un orto anche in una superficie minima. Pensavo che servisse un terreno ampio per coltivare…” ha spiegato.

Nel loro orto coltivano lattuga, rucola, songino, pepe, rosmarino, menta e pomodorini. Il primo raccolto sarà a febbraio, e gli apprendisti agricoltori lo attendono con ansia.

“Voglio sensibilizzare le persone sull’uso dei prodotti organici, e vorrei trasmettere queste informazioni anche ai giovani e ai bambini”, ha detto.

Nel 1990, l’Argentina ha inaugurato il fortunato programma Pro-Huerta, che si occupava di agricoltura biologica urbana e rurale. Nel 2005, l’esperienza è stata introdotta ad Haiti e, grazie ad essa, alcune famiglie sono sfuggite alla fame quando il terremoto del 2010 ha demolito la capitale e altre città.

Tra le strategie di sovranità alimentare del Venezuela, grande importatore di alimenti, l’esperimento ha avuto inizio nel 2004.

Non ci sono dati certi sul volume di alimenti delle unità di produzione agricola (UPA) urbana e peri-urbana, né sul numero dei consumatori e delle persone che vi lavorano.

Ma in base ai volumi nazionali di produzione orticola su un mercato di 29 milioni di abitanti è possibile stimare che l’agricoltura urbana non basta per rifornire migliaia o anche decine di migliaia di famiglie.

Diversi dati ufficiali segnalano circa 20mila UPA urbane registrate, di cui 2.400 consolidate e altre 4mila in fase di assestamento. Nel 2011, il governo ha investito in questo settore 2,5 milioni di dollari, secondo il Ministero dell’Agricoltura.

A Caracas e in altri otto stati, soprattutto del nord, vengono piantati ortaggi, erbe aromatiche e medicinali, mentre alcuni si dedicano anche ad alberi da frutta – banane, papaia, arance, mandarini – e alla preparazione del compost biologico.

Ma nella sfida venezuelana sono in gioco altri fattori. La Banca dello Sviluppo della Donna in Venezuela (Banmujer) ha deciso di finanziare questo tipo di sforzi per combattere la femminilizzazione della povertà e la perdita delle radici agrarie delle popolazioni povere che si trasferiscono dalla campagna a paesi e città.

Nel 2010, il 47 per cento del microcredito nel paese era destinato al settore agrario, e “in gran parte urbano e peri-urbano”, ha detto la presidente, Nora Castañeda. “Abbiamo già produttori che lo fanno per lavoro, e con una grande forza”, ha aggiunto.

“Una di loro, una coltivatrice che per oltre 20 anni aveva subito violenze dal marito, è venuta per impartire un corso su come produrre humus”, ha raccontato.

“Per lei, la cosa più importante non è essere la produttrice che è oggi”, ma aver “superato la situazione di violenza, grazie ad una base economica che l’ha resa forte e l’ha valorizzata, di fronte agli altri e ai suoi stessi occhi”.

Il tema dell’autostima è stato messo in risalto anche dalla carioca Reina Maria Pereira da Silva, 58 anni, che è stata incoraggiata dal corso del CEBDS e adesso sta pensando di creare un orto nella propria casa.

“È un insegnamento nuovo. Non è mai tardi e anche questo aumenta la mia autostima; mi sento più capace. È un piacere raccogliere alimenti sani che io stessa ho coltivato”, ha detto con entusiasmo.

“Mi è sempre piaciuto coltivare, però non sapevo come fare. Esistono delle tecniche precise e si pianifica persino l’ora in cui raccogliere, in estate e in inverno. Il raccolto è destinato solo al proprio consumo e ad essere donato alle scuole”, ha spiegato.

Entro il 2050, il 90 per cento della popolazione dell’America Latina vivrà nelle città. Oggi, 111 milioni di persone della regione vivono in quartieri affollati come le favelas, segnala l’Onu. La domanda di alimenti aumenterà e ci saranno meno persone a produrli nelle zone rurali.

Perciò, l’orto cittadino è “una strategia di emancipazione, e incide sulla curva sociale” nel migliorare la qualità di vita delle città, ha affermato Hélio Tomaz Rocha, coordinatore dell’agricoltura urbana e peri-urbana della Segreteria Nazionale per la Sicurezza Alimentare e Nutrizionale del Brasile.

Secondo il funzionario, bisogna coltivare nei terreni inattivi delle aree metropolitane che, quando non sono utilizzati, finiscono per accumulare detriti, immondizia ed ospitare insediamenti illegali, o diventano oggetto di speculazione immobiliare.

Rocha ammette tuttavia che l’agricoltura urbana non si è consolidata come politica pubblica. “Sappiamo che funziona, c’è lo spazio nelle città, però non è formalizzata. Seppure segua il cammino della sostenibilità, serve una spinta iniziale”, fa notare.

Lo Stato ha cominciato a finanziare questi progetti nel 2003, e molti dei beneficiari sono inclusi nel programma di aiuti alla famiglia “Beca Familia”.

Fino al 2010 erano stati investiti quasi 20 milioni di dollari, attraverso accordi con comuni e governi statali, di cui hanno beneficiato 74mila persone che lavoravano negli orti urbani.

Il 38 per cento dei progetti è concentrato negli Stati sudorientali del paese, il 30 per cento nel sud, e il resto è diviso tra le altre regioni, tranne nord e nordest.

Quest’anno verranno investiti quasi cinque milioni di dollari, in 42 iniziative selezionate con un concorso annuale. La maggior parte sarà destinata al nordest, dove si sono registrati 17 municipi. © IPS

*Con il contributo di Humberto Márquez, Estrella Gutiérrez (Caracas) e Patricia Grogg (L’Avana). L’articolo è stato pubblicato in esclusiva sui quotidiani della rete latinoamericana di Tierramérica.