MEDIORIENTE: Lo scambio di prigionieri cambia le regole del conflitto

GERUSALEMME, 18 ottobre 2011 (IPS) – L’autorità carceraria israeliana ha iniziato oggi a processare le prime liberazioni di detenuti palestinesi in cambio della libertà del soldato israeliano Gilad Shalit, ostaggio delle milizie di Hamas da più di 5 anni.

In totale, Israele rilascerà 1.027 palestinesi. Tra questi, 27 donne fanno parte del primo gruppo di 450 palestinesi che hanno appoggiato o preso parte in alcuni degli attacchi terroristici contro gli israeliani; una parte, 202 persone, verranno mandate in esilio in Egitto, Turchia e Qatar.

Israele e Hamas hanno cambiato la loro posizione iniziale. Fino a poco tempo fa, Hamas aveva affermato di voler mandare solo un piccolo gruppo di prigionieri in paesi terzi. Da parte sua, Israele rilascerà 280 detenuti che erano stati condannati all’ergastolo.

Ma perché solo adesso, dopo più di 5 anni di controversi negoziati?

Il Primo Ministro Benjamin Netanyahu, all’apertura della seduta straordinaria del governo per l’approvazione dell’accordo, aveva detto con franchezza: “Abbiamo raggiunto il miglior accordo possibile per il momento, mentre la tempesta dilaga in Medio Oriente. Non so se nell’immediato futuro saremmo stati in grado di raggiungere un accordo migliore, o se non ne avremmo concluso nessuno. È assai probabile che il nuovo spiraglio che si è aperto per determinate circostanze, si richiuderà per un periodo indefinito”.

Si pensa che mentre l’Egitto si sta preparando alle elezioni legislative previste per novembre, il Consiglio Militare Supremo guidato dal generale Muhammad Hussein Tantawi sarà impegnato ad occuparsi degli affari interni.

Da febbraio, l’impegno del governo di transizione subentrato al presidente uscente Hosni Mubarak ha contribuito a distendere i rapporti con Hamas. A maggio, l’Egitto ha svolto un ruolo decisivo nell’accordo di riconciliazione tra il movimento islamico e l’Autorità Palestinese (AP) guidata da Fatah, sotto il presidente Abu Mazen; ha anche deciso l’apertura del valico di Rafah, tra l’Egitto e Gaza.

Gaza è sotto il potere di Hamas, mentre Fatah esercita un controllo parziale sui territori occupati in Cisgiordania. Il blocco di Gaza è stato imposto da Israele in seguito alla cattura di Shalit nel 2006 in un attacco oltreconfine, e inasprito dall’Egitto quando, nel 2007, Hamas ha preso il controllo della Striscia.

Il nuovo atteggiamento dell’Egitto nei confronti di Hamas ha cambiato le regole del conflitto israelo-palestinese, spianando la strada alla ripresa dei colloqui indiretti tra Israele e Hamas, con la mediazione egiziana, finalizzati all’accordo sui prigionieri.

Un’altra “circostanza” (di cui Netanyhau non ha voluto parlare apertamente) che ha spinto Hamas all’accordo sono stati i disordini in Siria. Di fronte al sostegno del popolo palestinese nei confronti della “primavera araba”, l’organizzazione temeva di essere considerata solidale con un regime che uccide i propri cittadini. La sede politica di Hamas si trova ancora a Damasco.

Per di più, potrebbe aver sentito la necessità di bilanciare la crescente popolarità della campagna condotta da Abu Mazen per il riconoscimento dello stato palestinese da parte dell’Onu con una conquista politica interna. Il destino dei prigionieri è un tema molto sentito in Palestina.

E poi, c’è lo stesso Netanyahu: l’accordo su Shalit è stato definito “la decisione più importante in assoluto” del suo mandato, soprattutto perché, riguardo alla questione palestinese, è la sola decisione netta che abbia preso.

E cosa accadrà dopo?

Yoram Cohen, a capo del Shin Beth (nome ebraico del servizio di sicurezza interna israeliano), è stato fermo nel dichiarare al quotidiano liberale Haaretz, “Questo accordo non gioverà alla sicurezza, potrebbe addirittura avere effetti negativi. L’esperienza ci ha insegnato che il 60 per cento dei detenuti rilasciati tornano ad occuparsi di attività terroristiche”.

Cohen si riferiva al famoso scambio di prigionieri noto come “l’accordo Jibril”, dal nome del comandante Ahmad Jibril, guida del Fronte popolare per la liberazione della Palestina – Comando Generale. Nel 1985, Israele ha rilasciato 1.150 militanti palestinesi in cambio di 3 soldati israeliani catturati durante la prima guerra del Libano.

Molti di quei palestinesi costituivano la struttura portante della prima Infitada, l’insurrezione che scoppiò meno di tre anni dopo l’accordo.

Eppure, ammette Cohen, il fatto che molti di loro siano stati mandati in esilio forzato, diminuirà il rischio che la storia si ripeta. “Possiamo gestire i restanti 96”, afferma. Inoltre, al momento il livello di collaborazione per la sicurezza tra Israele e l’AP può ritenersi soddisfacente.

Quanto al rafforzamento di Hamas in seguito alla liberazione dei suoi militanti, Cohen afferma: “La sua ala militare è composta da 20mila membri. Se dovessero aggiungersene altri 200 non sarebbe la fine del mondo”.

L’AP ha accettato l’accordo, anche se lamentando il fatto che molti prigionieri palestinesi sono rimasti esclusi. Secondo l’accordo attuale, circa 6-8mila detenuti palestinesi rimarranno nelle carceri israeliane e, fra questi, il leader di Fatah Marwan Barghouti, potenziale successore di Abu Mazen.

Le critiche velate sono che mentre Abu Mazen è impegnato in una campagna internazionale per ottenere il riconoscimento dello stato della Palestina, Hamas manterrebbe un atteggiamento conciliante con Israele.

Lo stesso dirigente di Hamas Mahmoud al-Zahar ha dichiarato: “Sono mille anni che Abu Mazen (Mahmoud Abbas) cerca di negoziare con Israele, ma non ha mai raggiunto un accordo come questo”.

“È una conquista nazionale di cui dobbiamo essere orgogliosi”, ha dichiarato Khaled Meshaal, a capo del politburo di Hamas, con toni degni di uno statista.

Citando alcuni alti funzionari egiziani, il quotidiano con sede a Londra Al-Hayaat scriveva sabato che Israele potrebbe ridurre le pressioni sulla striscia di Gaza, come conseguenza dello scambio di prigionieri.

Paradossalmente, l’accordo potrebbe condurre a un riavvicinamento di qualche tipo tra Israele e Hamas, anche solo per mettere in difficoltà Abu Mazen e la sua richiesta di riconoscimento, e per creare ulteriori divisioni nell’organizzazione politica palestinese. Israele si oppone fermamente alla riconciliazione tra Hamas e l’AP.

Ma questo sembra non aver fermato Netanyahu dal consentire ai “colloqui di prossimità” del Cairo con i leader più ricercati dell’ala militare di Hamas per garantire il rilascio di Shalit, mentre i colloqui di pace con l’AP erano in standby da oltre un anno. © IPS