MESSICO: Le vittime delle violenze reclamano verità e giustizia

CITTÀ DEL MESSICO, 21 settembre 2011 (IPS) – La Carovana di Pace guidata dal poeta Javier Sicilia ha da poco terminato il suo percorso nel sud del Messico con un forte appello per la costituzione di una commissione della verità, che possa distinguere gli omicidi di mafia da quelli perpetrati dalle forze dello Stato.

Celia Guerrero/IPS Celia Guerrero/IPS

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Celia Guerrero/IPS

La “Carovana per la Pace con giustizia e dignità”, composta dalle famiglie delle vittime dell’ondata di violenze che sta colpendo il Messico, ha percorso quest’anno più di 7mila chilometri, in tre tappe: una prima marcia di quattro giorni, una carovana verso il nord del paese e questa seconda carovana verso sud.

Il movimento ha documentato 521 casi di violenza, che per la maggior parte vedono coinvolte le autorità.

Nella Carovana di pace terminata ieri nel Zócalo, la piazza principale di Città del Messico, gli attivisti hanno attraversato otto stati e hanno avuto incontri con organizzazioni di migranti centroamericani e membri dell’Esercito zapatista di liberazione nazionale (EZLN).

“È molto grave quello che sta accadendo. Non siamo più in grado di capire dove finisce lo Stato e inizia la delinquenza”, ha dichiarato Sicilia nella tappa di Xalapa, capitale dello stato di Veracruz.

Le strade di Xalapa erano gremite da una densa folla accorsa per affiancare la carovana e denunciare sparizioni e omicidi. I familiari di Joaquín Figueroa Vásquez, un operaio dell’impresa Río Seco, hanno denunciato che lo scorso 17 giugno l’uomo, insieme a due colleghi di lavoro, sono stati fermati dalla polizia, torturati e giustiziati, presumibilmente per farli apparire come sicari di cartelli della droga.

Janet Figueroa, figlia dell’operaio, ha accusato pubblicamente l’esercito e la polizia statale e federale di giustiziare civili innocenti per farli passare come una vittoria della guerra che il governo del conservatore Felipe Calderón ha intrapreso contro i gruppi criminali dall’inizio del suo mandato, a dicembre 2006.

“Quando abbiamo chiesto giustizia ci hanno ignorato perché siamo poveri, ci vogliono comprare per farci stare zitti, ma noi non lo faremo: vogliamo che si sappia che mio padre non era un sicario. Joaquín Figueroa era un uomo onesto”, ha affermato la giovane.

La strategia del governo contro la criminalità ha provocato più di 40mila morti sin dal suo avvio ad opera di Calderón, secondo le cifre ufficiali, che coincidono con i dati delle organizzazioni civili.

Il presidente Calderón ha assicurato ad aprile che solo l’un per cento di questi omicidi costituiscono “perdite di civili”, mentre i dati in possesso del movimento delle vittime della violenza in Messico, guidato da Sicilia da quando il figlio Juan Francisco fu ucciso, il 28 marzo, dimostrerebbero il contrario.

Il movimento ha registrato 221 casi di vittime per mano delle forze statali, tra cui 116 sparizioni forzate. Gli stati che hanno raccolto più denunce sono Guerrero, Chiapas e Veracruz.

A Xalapa, Sicilia ha usato la metafora del “fango formato dall’acqua che si mescola alla terra”, per spiegare la confusione intorno alle responsabilità dell’ondata di violenza che sta colpendo il Messico.

“Non sappiamo se esistono “falsi positivi” (persone sequestrate dalle autorità e fatte passare come membri della guerriglia morti durante gli scontri), come in Colombia, non sappiamo chi fa sparire chi”, ha detto.

Di fronte all’”emergenza nazionale” di un paese che, oltre ai morti, conta 10mila persone scomparse, 700mila sfollati e un numero indefinibile di persone ferite, mutilate, di vedove e orfani, “la verità deve essere visibile a tutti perché possa esserci giustizia”, ha aggiunto.

“Per questo ci appelliamo al governo perché cambi il suo atteggiamento, visto che l’unico modo in cui sembra voler combattere il problema, purtroppo, è la militarizzazione del paese”, ha ribadito il poeta.

In un’intervista a IPS, l’accademico Pietro Ameglio, dell’organizzazione umanitaria Servicio de Paz y Justicia (Serpaj), ha posto la necessità di tornare all’indignazione iniziale del movimento, che negli ultimi mesi ha perso l’appoggio dei gruppi che rifiutano il dialogo con i poteri pubblici.

“Deve essere chiaro che questo è un movimento di vittime, e che sono loro che danno il ritmo”, ha sottolineato.

A differenza della carovana precedente, che da Città del Messico si era diretta verso nord, in questa occasione, adesso la copertura dei media è stata sensibilmente più scarsa. I mezzi di comunicazione nazionali si sono concentrati più sulle primarie dei candidati alle presidenziali del 2012 che su questa mobilitazione.

Per di più, in questa occasione si sono registrati diversi incidenti al passaggio della carovana negli stati di Tabasco e Veracruz, tra cui una minaccia di imboscata al veicolo su cui viaggiava Sicilia e il fermo del sacerdote cattolico Tomás González.

González, che riceve continue minacce di morte per il suo lavoro con i migranti dell’America Centrale , aveva denunciato la corruzione dell’Istituto nazionale di migrazione poco prima di essere trattenuto per diverse ore da alcuni membri dell’esercito.

Il movimento per la pace dovrà definire nei prossimi giorni la posizione che intende assumere nel secondo incontro con Calderón, che si sarebbe dovuto tenere questa settimana ma è stato spostato al 30 settembre.

Per adesso, il movimento soffre della mancanza di una struttura interna, ha un debito con il servizio di trasporti che ha accompagnato la Carovana verso sud, e problemi di coordinamento con le diverse organizzazioni regionali.

Ma Sicilia gode dell’appoggio incondizionato di almeno una ventina di vittime delle violenze che in questi mesi hanno scelto di diventare attivisti per la pace insieme a lui. Uno di loro è Julián Le Barón, dello stato di Chihuahua: il fratello Benjamín, leader di una comunità di mormoni che si era opposta ai sequestri, era stato assassinato a luglio 2009.

“A volte è difficile. Non vedo la mia famiglia da un mese, ma adesso (dopo la carovana) sono convinto di sapere come si possono risolvere i problemi del paese”, ha detto Le Barón.

“Prima non ero sicuro, ma Acteal me lo ha confermato, e penso di non avere il diritto di zoppicare, perché l’apatia è la peggiore forma di mancanza di dignità”, ha detto.

Si riferiva al villaggio dello stato meridionale messicano del Chiapas, dove lui e altri membri della Carovana di pace si sono riuniti il fine settimana per incontrare un gruppo di sopravvissuti, parenti e amici delle vittime del massacro di un gruppo di 45 indigeni tzotzil avvenuto ad Acteal il 22 dicembre 1997.

“Il viaggio a nord ci aveva permesso di vedere il dolore che affligge il paese, ma il sud ci ha mostrato la dignità che esiste. E abbiamo bisogno di vedere entrambe le cose”, ha confessato a un gruppo di giornalisti durante il viaggio.

All’arrivo nella piazza principale della capitale messicana, davanti al Palazzo Nazionale del governo federale, dove la carovana è stata ricevuta da membri dei sindacati e appartenenti al movimento cittadino, Sicilia ha chiesto al governo Calderón di adottare i sei punti dell’Accordo con i cittadini presentato dal movimento nella stessa piazza l’8 maggio scorso. Tra i sei punti, la richiesta che l’esercito, dispiegato da Calderón per combattere i cartelli della droga, venga rimandato nelle caserme.

Sicilia ha poi ribadito la richiesta di approvazione della “Legge delle vittime” proposta il 10 giugno, quando la prima carovana aveva raggiunto Ciudad Juárez (città alla frontiera con gli Stati Uniti considerata tra le più violente al mondo), e il rifiuto del progetto della Legge sulla sicurezza nazionale, attualmente in discussione alla Camera, che punta a dare maggiore autonomia all’esecutivo sull’utilizzo delle forze armate.

“Abbiamo visto che la ferita aperta a Ciudad Juárez, dovuta al fallimento della strategia del presidente Calderón, si è estesa come una cancrena verso il sud del paese, convergendo con i dolori ancestrali che vivono i popoli indigeni e le comunità del sud”, ha detto il poeta, per il quale le due manifestazioni di violenza hanno la stessa origine: il sistema economico.

“Oggi Guerrero e Veracruz sono diventate repliche delle aree (devastate dalle violenze) di Città Juárez, Monterrey e Tamaulipas ”, ha lamentato. © IPS