I crediti di carbonio non servono per raffreddare il pianeta

BONN, 20 giugno 2011 (IPS) – Dopo quasi 20 anni, da quando nacque l’idea di pagare per inquinare il clima mediante l’acquisto di crediti negoziabili, il mercato del carbonio non funziona per ridurre il riscaldamento globale, ed è oggetto di frodi e altri crimini finanziari.

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Al mercato del carbonio può avere facilmente accesso il crimine organizzato, avverte la Interpol.

All’inizio di quest’anno, 38 milioni di dollari in crediti di carbonio sono rimbalzati dalla Repubblica Ceca alla Polonia, Estonia e Liechtenstein, prima di volatilizzarsi per l’azione di pirati informatici. È stato il quarto scandalo di questo tipo nel mercato del carbonio dell’Unione europea (Ue).

“Un avvocato che ha partecipato agli scambi del carbonio mi ha detto che se questo mercato esisterà ancora tra 10 o 15 anni, l’ambiente avrà gravi problemi”, ha detto l’analista Steve Suppan, dell’Istituto per le politiche agricole e commerciali.

“Il mercato del carbonio è esposto a frodi, speculazioni e campagne ingannevoli”, ha commentato Suppan in un’intervista durante i negoziati della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico (Bonn, 6-17 giugno).

Questi sistemi contano su un forte sostegno governativo, ma non riescono ancora a ridurre di fatto le emissioni di gas a effetto serra, ha detto Suppan, la cui organizzazione si occupa di questioni commerciali, agricole e ambientali.

Il cambiamento climatico è causato dall’inquinamento atmosferico di gas a effetto serra, come il biossido di carbonio, che brucia i combustibili fossili.

Ci sono due modi per far fronte al problema o per “mitigarlo”, in gergo tecnico: ridurre l’inquinamento climatico là dove viene generato, rilasciando una minore quantità di biossido di carbonio nell’atmosfera, oppure assorbire (sequestrare) questo gas attraverso la vegetazione, gli alberi e il suolo. La seconda opzione implica abbattimento della deforestazione, riforestazione e applicazione di pratiche agricole e di pastorizia sostenibili per mantenere il carbonio o favorire il suo assorbimento.

Per molti, i meccanismi del mercato sarebbero l’unico modo efficace per mobilitare un capitale privato sufficiente a ridurre le emissioni, ma questo non è vero, sostiene Jutta Kill, dell’organizzazione non governativa SinksWatch, con sede in Gran Bretagna, che studia e controlla i progetti di sequestro del carbonio.

“Esiste la presunzione che in nessun altro modo potremmo ottenere i fondi necessari a mitigare il riscaldamento del pianeta. E l’altra presunzione è che il denaro sia la risposta”, ha detto Kill a Bonn.

All’inizio degli anni ’90, quando nei negoziati della Convenzione quadro si discuteva il Protocollo di Kyoto, nessuno voleva che il mercato entrasse in un accordo climatico, tranne gli Stati Uniti, ha osservato Payal Parekh, scienziata e esperta di energia residente in Svizzera.

Ma alla fine l’Europa e altri paesi “hanno fatto un patto col diavolo”, e nel 2007 è stato firmato il Protocollo, “che obbliga i paesi industrializzati a ridurre del 5,2 percento le loro emissioni tra il 2008 e il 2012”, ha proseguito Parekh.

Sebbene gli Stati Uniti si siano rifiutati di ratificarlo, in una plateale marcia indietro, i meccanismi del mercato erano già stati incorporati, e lì sono rimasti.

Si tratta in realtà di flessibilità che permettono ai paesi industrializzati costretti a ridurre l’inquinamento di investire in “progetti di risparmio delle emissioni” nel mondo in via di sviluppo, come un sistema per compensare i gas che continuano a rilasciare nel loro paese.

Il principale mercato di compensazione delle emissioni è il Meccanismo di sviluppo pulito (CDM, nell’acronimo inglese). Finora, esistono quasi 3.200 progetti registrati in Africa, Asia Pacifico, Europa orientale e America Latina e Caraibi.

Per ridurre davvero le emissioni di gas serra, il denaro del Nord deve essere investito in progetti puliti che non verrebbero portati a termine senza queste risorse.

Questo richiede un sistema di monitoraggio indipendente e di alto livello tecnico, e una “sfera di cristallo” per sapere se si sarebbe potuto o meno costruire un parco eolico in Cina senza il sostegno del CDM, ha detto Parekh.

“Le prove che non ha funzionato sono evidenti”, ha commentato. Diversi studi stimano che tra il 20 e il 90 percento dei progetti registrati nel CDM non danno come risultato una effettiva riduzione delle emissioni.

“I paesi industrializzati avrebbero potuto adempiere agli impegni assunti a Kyoto senza un mercato” di questo tipo, secondo l’esperta.

Il principale mercato del carbonio è il Sistema europeo di scambio delle emissioni (ETS, nella sigla inglese), responsabile del 95 percento delle transazioni mondiali, che nel 2010 hanno raggiunto i 144 miliardi di dollari.

L’ETS non solo è stato oggetto di frodi – più di 100 persone di diversi paesi sono state processate per questo l’anno scorso – ma di fatto non assegna grandi risorse per abbattere davvero l’inquinamento. Solo una minima parte di questo mercato si traduce in risultati, ha detto Kill.

L’ETS è stato mal concepito, e ha avuto tantissimi problemi, come speculazioni e frodi, hanno concordato Parekh e Suppan. “Diversi studi mostrano che non è stato il principale motore delle riduzioni delle emissioni in Europa”, ha detto Suppan.

“Esistono delle alternative, come ad esempio l’imposta sulla transazioni finanziarie”, ha detto Parekh.

Un gruppo di organizzazioni sindacali, ambientaliste e per lo sviluppo hanno chiesto ai negoziatori a Bonn di prendere in considerazione l’applicazione di una tassa di meno di un centesimo di dollaro su ogni transazione finanziaria.

Si potrebbero raccogliere in questo modo tra i 200 e i 600 miliardi di dollari all’anno, e si scoraggerebbe la speculazione, ha detto Robert Baugh, rappresentante della Federazione statunitense per il lavoro – Congresso delle organizzazioni industriali (AFL-CIO, dall’acronimo inglese).

“Tutti parlano della necessità di un Fondo Verde per il clima (per aiutare i paesi in via di sviluppo a far fronte al cambiamento climatico), ma nessuno vuole parlare di come pagarlo”, ha commentato Baugh in conferenza stampa.

La Francia e la Germania, e persino il Fondo monetario internazionale, sono convinti che una tassa sulle transazioni finanziarie sarebbe una buona idea, ha detto. “È ora che il settore finanziario faccia la cosa giusta”, ha concluso Baugh. @ IPS