PMS: Istanbul, missione fallita

ISTANBUL, 16 maggio 2011 (IPS) – Missione fallita. Questa, in due parole, è la conclusione cui sono giunti di fatto gli oltre 200 illustri relatori e conferenzieri provenienti da oltre 70 paesi presenti alla IV Conferenza Onu dei Paesi meno sviluppati (PMS/LDC) conclusa la settimana scorsa a Istanbul.

Il vertice “Onu-LDC IV” ha visto confluire ben 11mila persone – una cifra senza precedenti per una conferenza sullo sviluppo, tra capi di stato, politici, diplomatici, tecnocrati, dirigenti d'azienda e giornalisti – nella capitale economica della Turchia, secondo il presidente turco Abdullah Gul, che ha inaugurato l'incontro.

Sebbene l'evento sia stato giudicato un grande successo dai partecipanti alla cerimonia di chiusura, per molti l’esito finale non è stato all’altezza delle aspettative.

Le caratteristiche comuni dei 48 PMS sono i più bassi redditi pro-capite al mondo (meno di 745 dollari a persona all’anno) e i più alti tassi di crescita della popolazione (2,8 per cento). Cifre lontanissime da tutti gli obiettivi di sviluppo concordati a livello internazionale, inclusi i Millennium Development Goals, e agli ultimi posti nella lista dell’Human Development Index. La mancanza di una buona governance, di istituzioni adeguate, e la corruzione endemica sembrano formare un denominatore comune per la maggior parte dei paesi meno sviluppati.

Nonostante il forte impegno finanziario, la comunità internazionale, rappresentata dai governi dei paesi sviluppati e in via di sviluppo, o “partner di sviluppo” nel linguaggio delle Nazioni Unite, non ha prodotto i risultati sperati, secondo le valutazioni basate sui dati.

In seguito alle risoluzioni adottate nell’ultimo incontro dei PMS a Bruxelles dieci anni fa, gli aiuti stanziati nel 2001 per i paesi meno sviluppati di 14 miliardi di dollari sono aumentati nel 2009 a 39,9 miliardi di dollari l'anno, e nel 2010 saranno di circa 43 miliardi di dollari, secondo le stime Onu.

Il rientro degli investimenti è stato tuttavia deludente. Nonostante l'obiettivo generale del Piano d'azione di Bruxelles (BPoA), di “realizzare progressi sostanziali verso una riduzione del 50 percento del numero di persone in condizioni di povertà estrema e che soffrono la fame entro il 2015”, il numero dei PMS è praticamente raddoppiato nel periodo di attuazione del BPoA, da 27 a 48 paesi: più di 21 paesi sono diventati più poveri rispetto al decennio precedente.

La povertà è determinata dalla percentuale di popolazione che vive al di sotto di 1,25 dollari al giorno in base alla parità di potere d'acquisto (PPA), che si traduce nell'indice di diffusione della povertà. Capo Verde e le Maldive sono uscite dall’elenco dei PMS rispettivamente nel 2007 e 2011. Solo Gambia e Mauritania hanno mostrato progressi sufficienti per raggiungere l’obiettivo di dimezzare il tasso di povertà entro il 2015.

Nell’aprile 2010, un totale di dieci paesi meno sviluppati erano in una situazione di debito in sofferenza, ossia di insolvenza a tutti gli effetti, e altri dieci erano ad alto rischio di debito in sofferenza, secondo il rapporto sui PMS della Conferenza sul Commercio e lo Sviluppo (UNCTD) 2010.

Durante gli incontri intergovernativi di Istanbul e i dibattiti a latere tra organizzazioni non governative (Ong), Forum degli intellettuali e Consigli Accademici, le frecciate volavano in tutte le direzioni.

I paesi sviluppati sono finiti sotto accusa per il loro cambiamento di posizione rispetto alle promesse di garantire maggiori fondi in favore dei paesi meno sviluppati. La loro solidarietà sembra sia notevolmente mutata rispetto al BPoA, dopo i timori per gli attentati terroristici dell'11 settembre, la guerra in Iraq, la crisi finanziaria del 2008, e il successivo malcontento sociale a livello nazionale.

Chiedevano una migliore governance e maggiori responsabilità nell'utilizzo dei fondi erogati ai paesi meno sviluppati. La tendenza, nell’incontro di Istanbul, è stata quella di passare il comando al settore privato. Il modello PPI (iniziativa pubblico-privata), maggiori scambi commerciali con i PMS, la regionalizzazione dell’impegno per lo sviluppo attraverso relazioni Sud-Sud, investimenti esteri diretti e commercio equo e solidale sono stati presentati come alternative, o integrazioni, al finanziamento di programmi da parte dei partner di sviluppo statali.

Le Ong si sono opposte al passaggio di responsabilità dallo Stato alle imprese, che considerano un atto di liberismo estremo e uno sfruttamento delle risorse naturali e umane dei paesi meno sviluppati. A loro volta, le organizzazioni non governative sono state accusate di mancanze nella gestione razionale e nel controllo degli aiuti da loro raccolti e distribuiti.

I paesi meno sviluppati sono stati giudicati vittime, ma anche colpevoli. Molti PMS hanno registrato forti progressi economici a partire dal 2001, con una media annua del prodotto interno lordo (PIL) del 7 per cento. L'Afghanistan, per esempio, ha ottenuto un buon 18,79 per cento di crescita reale del PIL, ma non è riuscito ad uscire dal gruppo dei PMS. E nel 2008, il paese ha ricevuto il maggiore contributo in aiuti pubblici allo sviluppo (APS), con 4,9 miliardi di dollari.

La Tanzania riceve più di un miliardo di dollari all'anno dal 2001, ma nel 2008, l'89 per cento dei suoi 42 milioni di abitanti viveva con meno di 1,25 dollari al giorno (PPP).

I paesi africani meno sviluppati hanno ricevuto la fetta più grossa degli investimenti esteri diretti: 22 miliardi di dollari su un totale di 27 miliardi in dieci anni. I progressi delle condizioni di vita in Africa, ciononostante, sono stati marginali, con percentuali di denutrizione della popolazione di due, tre volte superiore a quelle dei paesi meno sviluppati dell'Asia.

Un altro punto debole nell'impegno dei PMS per uscire dalla condizione di paria è stato la mancanza di adempimento degli obblighi assunti verso la comunità internazionale. Su 48, solo 35 stati hanno presentato all'Onu un rapporto sui progressi compiuti rispetto ai requisiti di conformità al BPoA.

I donatori occidentali hanno chiesto dove vanno a finire i soldi degli APS? L'Afghanistan si trova nel gruppo più in basso nell'indice di corruzione 2010 pubblicato da Transparency International (TI). La Tanzania è appena sopra. Quasi tutti i paesi meno sviluppati si trovano negli ultimi due gruppi della classifica TI.

La corruzione e la cleptocrazia sembrano essere, per la maggior parte dei partner di sviluppo, i mali che tengono i PMS lontani dallo sviluppo. L'Onu, però, sembra guardare soprattutto al lato positivo delle cifre: in un rapporto dello scorso anno ha citato lo Yemen tra i PMS che hanno mostrato progressi nella governance, grazie alle elezioni presidenziali del 2006.

I sostenitori del programma d'azione di Istanbul chiedono di affrontare questo male con metodi drastici. Ad una prima lettura però, la bozza finale approvata dalla IV Conferenza Onu dei PMS non convince in tal senso: non propone misure sostanziali per affrontare il problema, ma solo raccomandazioni morbide volte ad una migliore condotta. E solo 6 dei 48 paesi meno sviluppati hanno firmato la Convenzione Onu contro la Corruzione. © IPS