L’incidente nucleare in Giappone fa tremare gli Usa

NEW YORK, 16 marzo 2011 (IPS) – Mentre il Giappone combatte contro la minaccia nucleare, parlamentari, attivisti e rappresentanti dell’industria atomica statunitense discutono del futuro del loro paese.

L'impianto nucleare di Sequoyah, vicino a Chattanooga, Tennessee. Photorush/creative commons license

L’impianto nucleare di Sequoyah, vicino a Chattanooga, Tennessee.
Photorush/creative commons license

La polemica ruota intorno alla capacità di Washington di evitare una possibile crisi come quella che sta affrontando la prefettura giapponese di Fukushima dopo lo tsunami di venerdì scorso.

In tutti gli Stati Uniti ci sono 104 reattori nucleari, di cui 35 utilizzano sistemi simili a quelli dei reattori giapponesi danneggiati. Parlamentari come Edward Markey, del partito democratico al governo, sollevano dubbi sulla sua sicurezza.

In una lettera alla Commissione per la normativa nucleare (CNR) datata 11 marzo, Markey aveva espresso preoccupazione per la capacità di resistenza delle centrali nucleari del paese, di cui molte collocate sopra o vicino a faglie geologiche.

Particolarmente preoccupante, segnala, è un piano di reattore prodotto da Westinghouse e che è attualmente in fase revisione dalla NRC, che ha fallito i test di impatto sismico.

Secondo Markey, un ingegnere della NRC ha assicurato che la struttura di contenimento interna del reattore AP1000 era così fragile “che avrebbe potuto frantumarsi come vetro” di fronte alle pressioni causate dal terremoto.

Il politico si è anche detto preoccupato per la capacità di Washington di risposta ai disastri, dopo recenti rivelazioni sul fatto che l’Agenzia per la tutela ambientale, la NRC e l’Agenzia federale per la gestione delle emergenze non sarebbero riuscite a mettersi d’accordo su chi guiderebbe gli interventi in caso di una catastrofe simile a quella del Giappone.

Markey ha sollecitato un’indagine completa sulle normative di sicurezza alla luce della tragedia in corso nel complesso nucleare giapponese di Fukushima, e i rischi delle conseguenti fughe radioattive.

Adesso il governo giapponese ha ordinato l'evacuazione nella zona di sicurezza intorno al complesso per un raggio di 20 chilometri, anche se in un primo momento aveva minimizzato la minaccia, nonostante già due giorni fa avesse chiesto urgente aiuto alla NRC e all’Agenzia internazionale dell’energia atomica.

Da parte sua, l’amministrazione di Barack Obama ha insistito sul fatto che le centrali nucleari negli Stati Uniti sono sicure, respingendo gli appelli per una moratoria dei piani di sviluppo nucleare. Anche l’Istituto indipendente per l’energia nucleare ha tentato di placare i timori, e in una dichiarazione sul suo sito web definisce eccessivamente “prematuro” tracciare parallelismi tra i programmi nucleari giapponesi e americani.

“Il Giappone affronta quello che letteralmente può essere considerato ‘il caso peggiore’. Anche così, anche il più danneggiato dei suoi 54 reattori non ha rilasciato radiazioni a livelli che possano danneggiare la popolazione”, ha segnalato l’istituto, oltre a sottolineare i progressi raggiunti dal settore del nucleare negli ultimi anni.

“Anche se non capiamo chiaramente quello che è avvenuto nelle centrali nucleari di Fukushima e le sue conseguenze, è difficile fare previsioni sull’impatto a lungo termine nel programma di energia nucleare Usa”, ha aggiunto.

Linda Gunter, del gruppo Beyond Nuclear, ha però richiamato l’attenzione su una maggiore trasparenza del governo giapponese e delle autorità per il nucleare.

Gunter ha detto all’IPS che lo scioglimento dei reattori Fukushima dovrebbe servire da segnale d’allarme per chi difende l’uso dell’energia nucleare.

“Anche mettendo da parte il tema della sicurezza, che adesso ovviamente è in primo piano per i fatti che scuotono il Giappone, se cerchiamo una soluzione al cambiamento climatico, per generare energia atomica ci vuole molto tempo, i reattori impiegano anni per entrare in funzione, e sono molto cari”, ha detto.

“La maggior parte dei costi ricade sui contribuenti americani. Perciò, perché seguire questo cammino?”, ha aggiunto.

Per di più, “l’affidabilità dell’energia nucleare è praticamente nulla in caso di emergenza, quando c’è una simile confluenza di disastri naturali”.

In Giappone, dove si calcolano più di 10mila morti nello tsunami di venerdì scorso, la popolazione teme ciò che viene considerato il maggiore disastro nucleare dalla Seconda guerra mondiale.

Alla luce di questi fatti, Beyond Nuclear e altre organizzazioni chiedono una completa e graduale eliminazione degli impianti atomici e maggiori investimenti in energie verdi. “Adesso abbiamo la tecnologia per usare energie al 100 percento rinnovabili ed efficaci”, ha detto Harvey Wasserman, editor del sito web Nukefree.org.

“Ma le grandi imprese hanno grossi investimenti che sarebbero minacciati se si rinunciasse al carbone, al petrolio, al gas e all’energia nucleare”, ha detto all’IPS.

“Temono inoltre l’installazione di un sistema energetico che possa essere controllato dalla popolazione, invece di poter essere monopolizzato dal mondo delle imprese. Perciò, in ultima analisi, è una battaglia fra ricchi e poveri, imprese e comunità, fra la tecnologia della morte e chi invece cerca la sopravvivenza”, ha proseguito.

Altri esperti hanno segnalato il pericoloso legame tra l’energia atomica e la proliferazione di armi nucleari.

“La ‘rinascita nucleare’ tanto propagandata si è definitivamente conclusa”, ha detto John Burroughs, direttore esecutivo della Commissione dei giuristi sulle politiche nucleari e direttore dell’ufficio Usa della Associazione internazionale giuristi contro le armi nucleari.

“Ogni reattore nucleare produce combustibile contenendo plutonio, che può essere usato nelle armi”, ha detto all’IPS. “Proprio per questa connessione tra arsenali e energia atomica, serve una revisione del settore”, ha aggiunto.

“Senza dubbio, la catastrofe (giapponese) provocherà una rinnovata domanda di trasparenza per l’industria del nucleare e chi è responsabile della sua regolamentazione. La stessa domanda deve valere anche per i responsabili delle armi nucleari nei nove paesi che le detengono”, ha detto.

Le cinque potenze nucleari “dichiarate” sono Cina, Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna e Russia, mentre le quattro nazioni “non dichiarate” sono Corea del Nord, India, Israele e Pakistan. @IPS

* Con il contributo di Kanya D’Almeida.