Darsi fuoco in segno di protesta

Il CAIRO, 24 gennaio 2011 (IPS) – Il ristoratore egiziano Abdou Abdel Moneim, stufo di una politica che gli impediva di acquistare alimenti sovvenzionati, è andato al Cairo per chiedere aiuto al Parlamento. Fermato dagli uomini della sicurezza mentre tentava di esporre le sue proteste ai parlamentari fuori dal palazzo, il 49enne si è cosparso di benzina, maledicendo il regime egiziano mentre scompariva in una palla di fuoco.

Abdel Moneim è sopravvissuto con diverse bruciature alle braccia e sul viso, ma nello stesso giorno episodi analoghi si sono verificati in altri tre paesi nordafricani. La scorsa settimana, si è data notizia nel mondo arabo di oltre venti tentativi di darsi fuoco, di cui tre mortali.

Questi sconvolgenti episodi di tentato suicidio in pubblico riecheggiano il gesto simbolico di Mohamed Bouazizi, il tunisino 26enne che si è dato fuoco a metà dicembre dopo che la polizia gli aveva confiscato il banchetto di frutta abusivo che gli permetteva di vivere. Bouazizi è morto qualche settimana dopo a seguito delle ustioni, ma il suo atto disperato ha scatenato le proteste che hanno costretto il presidente tunisino Zine Al-Abdine Ben Ali a fuggire dal paese nordafricano dopo averlo governato per 23 anni con il pugno di ferro.

Secondo gli analisti, la rivolta tunisina riflette in realtà la frustrazione di milioni di arabi che vivono sotto regimi repressivi, per le difficili condizioni economiche cui sono costretti e le scarse opportunità di migliorare la propria sorte. Molti nel mondo arabo tracciano parallelismi con la situazione nel proprio paese, chiedendosi se anche qui potrebbe scoppiare una rivolta analoga.

Non c’è da stupirsi se la vicenda eroica di un venditore di frutta la cui morte tanto terribile quanto spettacolare ha provocato la caduta di un tiranno, abbia assunto un alone quasi mitico. Ma rischia anche di ispirare altre storie tragiche.

Il 15 gennaio, il giorno dopo la caduta di Ben Ali, un uomo algerino di 37 anni è morto dopo essersi appiccato il fuoco. Da allora, almeno altri 22 tentativi analoghi di suicidio sono stati registrati in Algeria, Mauritania, Marocco, Arabia Saudita e Egitto.

Diverse le motivazioni dietro a ciascun episodio: la protesta di un uomo contro ingiustizia e corruzione, una reazione all’impossibilità di trovare casa a prezzi accessibili, o nel caso di due lavoratori tessili, il profondo disappunto di fronte alla decisione del datore di lavoro di essere trasferiti in altri dipartimenti.

“Auto-immolarsi sembra essere un vero e proprio atto politico”, commenta Michael Biggs, sociologo presso l’Università di Oxford. “Può anche trattarsi di problemi personali, ma è chiaro che vengono attribuiti al sistema politico. Forse le persone pensano “se Bouazizi può darsi fuoco scatenando una massiccia rivolta popolare, perché non posso risolvere il mio problema nello stesso modo?”.

Secondo Biggs, gli episodi in cui un individuo decide di darsi fuoco in segno di protesta sono piuttosto rari, “ma meno di quanto non si pensi”.

Dagli anni ’60, si sono registrati più di mille casi di auto-immolazione in oltre 25 paesi nel mondo. Spesso è il risultato di un effetto a catena, e più della metà degli episodi avvengono in India, Vietnam e Corea del Sud.

Hanno scelto ad esempio questo mezzo i nazionalisti curdi durante le proteste in Europa negli anni ’90, ma fino ad oggi non si può dire sia mai stata una pratica comune nel mondo musulmano, forse a causa delle forte divieto del mondo islamico alle pratiche di suicidio e cremazione.

“È una pratica prevalentemente orientale. Nel buddismo e nell’induismo, ha un carattere più sacro, ed è una pratica condivisa per disfarsi dei cadaveri, perciò non viene vista come una cosa così terribile, come nel caso della tradizione religiosa cristiana e musulmana”, spiega Biggs.

Lo spettacolo della morte con il fuoco può essere molto efficace nel richiamare l’attenzione del mondo su una particolare causa o un’ingiustizia. La celebre fotografia dell’auto-immolazione di Thich Quang Duc, l’anziano monaco buddista che si diede fuoco a Saigon nel 1963, è diventata un simbolo della guerra del Vietnam. Fu anche determinante nell’orientare l’opinione pubblica americana contro la guerra.

Il gesto brutale di darsi fuoco suscita in genere reazioni di shock e orrore, ma anche di solidarietà, osserva Biggs. È stata utilizzata come forma di protesta politica dai lavoratori sudcoreani, dai cechi contro l’occupazione sovietica, e dagli indiani delle caste superiori fra gli altri esempi.

Il caso di Bouazizi è forse l’esempio più eclatante, dice. “Il governo tunisino è caduto molto velocemente perché il suo atto ha ispirato tante persone a scendere in piazza. La stessa pratica ha avuto successo anche nel Vietnam del Sud negli anni ’60, ma sono morti cinque monaci e una suora prima che il regime venisse rovesciato”.

L’efficacia storica delle proteste attraverso l’auto-immolazione potrebbe essere una delle ragioni per cui gli arabi e i media di stato hanno tentato di dipingere questa ondata di suicidi per emulazione come azioni non-politiche di individui con scopi opportunistici e mentalmente instabili.

“Il suicidio è diventato di moda è viene utilizzato come una forma di ricatto”, ha scritto il quotidiano egiziano di stato Al-Akhbar, deridendo l’azione di un uomo che avrebbe minacciato di darsi fuoco dopo che la sua richiesta di alloggio sociale era stata ripetutamente respinta.

I governi arabi hanno chiesto ai leader religiosi di sottolineare la disapprovazione dell’Islam nei confronti per il suicidio, per scoraggiare i giovani musulmani dal compiere tale atto. In Egitto e Algeria, gli imam nelle moschee controllate dallo stato hanno condannato l’auto-immolazione nel loro sermone del venerdì, sostenendo che i pensieri suicidi derivano da una mancanza di fede.

Al-Azhar, massima autorità dell’Islam sunnita, ha diffuso una dichiarazione la scorsa settimana ribadendo che il suicidio viola i dettami dell’Islam anche quando viene compiuto come una forma di protesta sociale o politica.

“L’islam proibisce categoricamente il suicidio per qualsiasi ragione e non accetta la separazione dell’anima dal corpo come espressione di stress, rabbia o protesta”, ha detto il suo portavoce.

Lo sceicco Yusuf Al-Qaradawi, leader spirituale dei Fratelli musulmani d’Egitto, ha una visione diversa: in una dichiarazione, l’ecclesiastico ha sollecitato i giovani arabi a onorare il carattere sacro della vita, attribuendo ai regimi repressivi responsabili delle condizioni che stanno portando il popolo alla disperazione.

“Cari giovani, prendetevi cura delle vostre vite perché sono doni generosi di Allah, e non date fuoco al vostro corpo perché sono i tiranni che dovrebbero bruciare. Siate pazienti, sopportate e restate forti. Un altro domani giungerà presto”. @ IPS