Tunisia: Tra speranze di cambiamento ed effetto contagio

Equilibri.net, 19 gennaio 2010 (IPS) – E’ difficile al momento tirare le somme di ciò che è accaduto, e che sta ancora accadendo nel paese Nord Africano. Lo scoppio delle proteste in dicembre e la partenza improvvisa del presidente Ben Ali il 14 gennaio hanno certamente sorpreso il mondo, facendo registrare reazioni molto diverse tra i leader e i commentatori. Anche se è troppo presto per capire come la Tunisia saprà uscire dall’empasse politico, è interessante iniziare ad analizzare alcuni fattori emersi dalla crisi tunisina che potrebbero cambiare sensibilmente la visione del panorama politico mediorientale. Per comprendere i fattori di novità estendibili al resto della regione che questa vicenda ha fatto emergere è necessario isolarli dalle caratteristiche strutturali specifiche della Repubblica Tunisina che hanno influito, anche in modo determinante, all’evoluzione e al precipitare della situazione.

L’esercito

Certamente il fattore strutturale più determinante nell’evoluzione della crisi è stato, e continua a essere , l’esercito. La posizione delle forze armate all’interno del paese è assai particolare e storicamente distinta da quelle di altri corpi come i servizi segreti e la polizia. Al contrario di questi ultimi, odiati e considerati il simbolo della dura repressione di Ben Ali, l’esercito gode di una certo rispetto diffuso, dato soprattutto dalla consapevolezza della grande indipendenza di cui gode. Non è un segreto che la repentina partenza di Ben Ali sia stata determinata, oltre che dalle pressioni della piazza, soprattutto dalla decisione dell’esercito di togliere il suo appoggio a quello che ormai era diventato il simbolo vivente della corruzione e la povertà del paese.

Allo stesso modo, fu l’esercito ad appoggiare 23 anni fa Ben Ali nel suo “golpe medico” e a sostituire l’anziano presidente Bourguiba, ormai affetto da Alzeihmer (o come elegantemente si affermò all’epoca, da “senilità”), e sull’orlo di fare precipitare il paese in una devastante crisi economica e di conflitto intestino con le frange islamiste della società contro le quali, si temeva, l’anziano presidente avrebbe scatenato un’eccessiva repressione rendendo il paese a rischio di guerra civile. In entrambi i casi le forze armate hanno agito soprattutto per mantenere la stabilità della Repubblica Tunisina e ciò garantisce loro una certa fiducia da parte della popolazione nella gestione dell’attuale vuoto di potere.

E’ perciò evidente quanto fondamentale sia, al fine di tracciare degli scenari verosimili sullo sviluppo della crisi politica in Tunisia, capire gli umori e le opinioni che si agitano all’interno dei vertici delle forze armate. Al momento le mosse intraprese riguardano soprattutto il mantenimento di una parvenza di legittimità istituzionale nell’attesa dell’avvento, probabile (l’57 della costituzione parla esplicitamente di elezioni a 60 giorni dalla caduta del presidente) di elezioni nazionali la cui organizzazione e il cui esito determineranno davvero se e come ci sarà un reale cambiamento politico nel paese. Gran parte del calendario politico tunisino del prossimo futuro è quindi strettamente correlato alle decisioni dell’esercito.

La gioventù istruita povera

Oltre all’esercito, vi sono certamente altri fattori strutturali che hanno determinato il folgorante successo delle proteste. Innanzi tutto la dimensione del paese, relativamente piccolo, che ha facilitato la coordinazione tra iniziative e manifestazioni su tutto il territorio nazionale. Oppure la figura stessa di Ben Ali, presidente settantenne e ricchissimo in carica da 23 anni, forse non più così determinato a mantenere il potere a tutti i costi. I recenti eventi tunisini, però, hanno fatto emergere il vero fattore di novità che sta preoccupando i regimi dittatoriali di molti paesi limitrofi: il ruolo della gioventù istruita e povera. Esso, al contrario dei fattori sopradescritti, non rappresenta un fattore strutturale e specifico della sola Tunisia. Anzi, esso è presente, e sempre più evidente, in molti paesi del Medio Oriente, e sta dimostrando di poter rappresentare sempre di più una vera bomba a orologeria. Esso si manifesta soprattutto nell’uso massiccio di internet e nel fiorire negli ultimi anni di blog e siti di protesta e dibattito in moltissimi paesi del Medio Oriente.

Il livello di istruzione e alfabetizzazione tunisino, di gran lunga tra i più alti della regione, ha reso la presenza di questa nuova classe giovanile percentualmente assai importante, soprattutto rispetto ad altri paesi dove essa rappresenta una minoranza ancora forse non in grado di mettere assieme la sufficiente massa critica necessaria per innescare una rivolta politica. In questo contesto possiamo quindi considerare i recenti eventi tunisini come una sorta di “apripista” di ciò che potremmo osservare in altri paesi mediorientali nel prossimo futuro, quando i livelli di istruzione arriveranno e competere con quelli del paese nordafricano.

Negli ultimi decenni, infatti, molti paesi (Egitto, Siria, Tunisia, Algeria) hanno aperto e favorito l’istruzione superiore di massa. Questa decisione, oltre a motivi forse sinceramente filantropici, è stata determinata dalla volontà di creare un gran numero giovani professionisti altamente specializzati che potessero favorire gli investimenti esteri a più alto contenuto tecnologico, e modernizzare così l’economia. In alcuni paesi come la Tunisia essi sono stati soprattutto destinati al settore turistico, al fine di raffinarlo e valorizzarlo. I risultati altalenanti dell’economia, spesso inficiati dall’altissimo grado di corruzione, hanno però prodotto un gran numero giovani istruiti ma impossibilitati a trovare un impiego adeguato, spesso costretti all’emigrazione o a una vita di stenti. Tale situazione diffusa è stata perfettamente e drammaticamente rappresentata dal suicidio di Mohamed Bou'aziz, ventiseienne laureato che si è dato fuoco dopo essere stato fermato dalla polizia per la vendita di ortaggi senza licenza il 17 dicembre scorso.

Si potrebbe affermare che il suo gesto abbia conferito a questa nuova classe di giovani istruita e svantaggiata una nuova consapevolezza di sé e della propria ingiusta condizione , così accendendo la scintilla della protesta. Essa si è rapidamente diffusa da ampi strati della popolazione, esasperata dall’aumento vertiginoso dei prezzi dei beni di prima necessità e dalla disoccupazione dilagante. A esacerbare gli animi era intervenuto anche wikileaks, che pochi giorni prima aveva pubblicato documenti diplomatici statunitensi che parlavano dell’impressionante grado di corruzione dell’entourage presidenziale, argomento già noto ma mai così esplicitamente descritto.

Non è la prima volta che si sente parlare dei giovani come classe determinante per la riuscita di movimenti di rivolta e di protesta. La memoria va prima di tutto alla rivoluzione iraniana del 1979, durante la quale la gioventù urbana povera era stata usata come irresistibile forza destabilizzatrice dalle elite del clero sciita. Lo stesso tipo di gioventù è stato il principale serbatoio di provenienza dei primi membri di Hezbollah in Libano negli anni ’80, nonché di molti movimenti estremisti o addirittura terroristi in svariati paesi arabi o mediorientali (dalla Giordania all’Egitto, dal Pakistan alla Palestina) che hanno saputo approfittare dell’ignoranza e dell’alto grado di influenzabilità di questi giovani.

Questo tipo di classe giovanile, presente in maniera più o meno massiccia in moltissimi paesi della zona, è stata sempre tradizionalmente costituita da ragazzi provenienti dalle aree rurali povere a inurbati nei sobborghi delle grandi città, il più delle volte caratterizzati da povertà, violenza ed economia informale. Pur essendo questo tipo di gioventù tuttora massicciamente presente, essa ha perso negli anni gran parte della sua forza destabilizzatrice anche grazie alle acquisite capacità dei regimi di influenzarla e clientelizzarla a proprio favore. Ciò che la crisi tunisina ha fatto emergere è il forte contrasto tra questa classe giovanile più “tradizionale” e una nuova, istruita, spesso proveniente dai ceti medi, i primi a subire il costante aumento delle disuguaglianze economiche che caratterizzano molti dei corrotti regimi dell’area, esacerbate dalla crisi finanziaria internazionale. Questi giovani, dotati di maggiori capacità critiche e di una grande dimestichezza coi mezzi tecnologici, hanno dimostrato in Tunisia di essere in grado di auto-organizzarsi e di saper riconoscere ed aggirare i numerosi tentativi di controllo e di repressione messi in campo dal regime.

Il ruolo di Internet

Internet, in particolare, è emerso come lo strumento determinante per il successo delle proteste. Anche se meno pubblicizzata e meno cruenta, la lotta avvenuta in rete durante i giorni di picco della protesta non è stata meno intensa di quella nelle strade. Le forze di sicurezza tunisine, infatti, consapevoli da tempo del grande sviluppo di siti e blog critici del regime, avevano sviluppato quello che era considerato come uno dei più avanzati sistemi di censura della rete messi a punto in Medio Oriente. Durante i giorni delle proteste esso non è però bastato a impedire l’uso di Internet come mezzo di coordinamento ed estensione del movimento. I blogger tunisini sono stati coadiuvati (fatto probabilmente unico nella storia dei movimenti di protesta in Medio Oriente) dall’aiuto diretto di molti gruppi di hacker provenienti da tutto il mondo che hanno ripetutamente attaccato per giorni i siti internet istituzionali tunisini impedendo alle forze di sicurezza di contrastare efficacemente i blogger coinvolti nelle proteste.

Una protesta laica

C’è un altro aspetto di novità che caratterizza la rivolta tunisina e che risulta assai sorprendente se si vanno ad analizzare i movimenti di protesta e di opposizione in Medio Oriente degli ultimi 10 – 15 anni: la pressoché assoluta assenza all’interno della protesta del discorso religioso. Ciò è certamente in parte dovuto ad aspetti intrinseci nella società tunisina, che a partire dalla durissima repressione attuata da Ben Alì subito dopo la sua ascesa alla presidenza contro i movimenti estremisti del paese, si è sempre più caratterizzata negli anni come una delle società più laiche del panorama mediorientale. Ciò però potrebbe anche essere un sintomo di un cambiamento che sta avvenendo in senso più ampio anche fuori dalla realtà tunisina, determinato soprattutto dal nuovo ruolo di opposizione assunto dalla gioventù istruita, forse più tendente a portare avanti istanze maggiormente laiche. I recenti crolli elettorali dei Fratelli Musulmani sia in Giordania che in Egitto (solo parzialmente dovuti agli ostacoli posti loro dai regimi) potrebbero infatti essere aggiunti come ulteriori indizi di un nuovo vento di cambiamento che sta attraversando le opposizioni interne dei regimi mediorientali. Non è un caso, infatti, che i primi paesi in cui si sono osservati fenomeni di protesta sul modello tunisino nei giorni immediatamente seguenti la caduta di Ben Ali siano appunto Giordania e, soprattutto, l’ Egitto.

Contagio possibile?

Nonostante in questi giorni si osservino fiorire numerosi atti di protesta a emulazione della rivolta tunisina in molti paesi limitrofi, un vero rischio di contagio immeditato rimane improbabile. Al contrario del regime di Ben Ali, infatti, gli altri leader sono pronti a non farsi cogliere di sorpresa da una eventuale esplosione di protesta. In molti paesi, inoltre, mancano alcuni dei fattori specifici tunisini che hanno facilitato il successo delle proteste come la presenza di un esercito fortemente indipendente dall’esecutivo. Quello che però molte delle leadership mediorientali hanno imparato da questa crisi è la presenza, prima piuttosto ignorata o poco considerata, di una nuova classe di giovani istruiti e poveri capace nel tempo di costituire un ulteriore serio pericolo alla stabilità dei loro regimi. Essa ha inoltre dimostrato di poter moltiplicare l’efficacia della propria protesta in modi innovativi come l’uso massiccio di Internet.

A rischio sono soprattutto alcuni paesi che condividono con la Tunisia tre caratteristiche in grado di aumentare esponenzialmente il rischio di rivolte: 1 – la presenza, come già detto, di grandi masse di giovani dotati di un’istruzione superiore ma esclusi quasi o completamente dal mondo del lavoro; 2 – la presenza di regimi dittatoriali datati, repressivi, e notoriamente corrotti; 3 – e infine l’assenza totale o quasi di rendite petrolifere. In particolare quest’ultimo fattore avrebbe determinato la differenza nell’esito delle proteste in Algeria, paese dotato, al contrario della Tunisia, di una significativa rendita derivante dal commercio delle risorse energetiche. I governi in grado di dirottare i capitali delle rendite petrolifere, anche solo temporaneamente, sui ceti sociali in protesta dispongono di un formidabile strumento di stabilizzazione almeno nel breve-medio periodo. In questi paesi, soprattutto in quelli caratterizzati da leader anziani e senza un successore forte designato (Algeria, Libia) il “contagio” potrebbe essere rimandato al momento della morte o del ritiro dal potere dei loro leader. Al contrario, coloro che più rispecchiano la situazione tunisina e quindi più a rischio contagio nel futuro potrebbero essere paesi come Egitto e Giordania.

Conclusioni

E’ difficilissimo capire al momento sia quale sarà l’evoluzione politica della crisi Tunisia, sia quali saranno i suoi effetti nel resto dei paesi dell’area. Molto, come abbiamo visto, dipende dall’esercito e dalla volontà dei suoi vertici di permettere un reale cambiamento nelle istituzioni del paese. Vi è inoltre il problema, all’interno delle masse che hanno guidato le proteste, di riuscire a coagulare una o più proposte politiche strutturate da presentare al momento di eventuali elezioni. Molti analisti temono, infatti, che se ciò non accadrà c’è il forte rischio che il movimento di protesta, finora (come abbiamo visto) tendenzialmente laico, venga strumentalizzato in modo populistico da redivivi movimenti religiosi estremisti.

Altri invece propongono scenari più ottimisti paragonando l’attuale situazione tunisina a quella del Cile dopo Pinochet o della Spagna dopo la morte di Franco, dove le istituzioni hanno saputo operare pacificamente la transizione verso la piena democrazia. Nell’attesa di avere elementi più precisi per determinare quale tipo di scenario si realizzerà effettivamente in Tunisia possiamo però affermare che questa crisi ha saputo portare a galla la presenza di un forte disagio, soprattutto giovanile, presente in molta parte del Medio Oriente e portato avanti da masse dotate molto più che nel passato di senso critico e di capacità nell’uso politico della tecnologia. Queste masse potrebbero diventare nel tempo la forza determinante negli sviluppi politici dell’area. Copyright Equilibri/IPS