I collaboratori domestici cominciano a intravedere i loro diritti.

BUCAREST, 2 luglio 2010 (IPS) – Maria Puscariu, ventisette anni, sta per laurearsi presso un’università belga. La giovane moldava lavora da più di cinque anni come collaboratrice domestica nelle case delle famiglie dell’Europa occidentale, per mantenersi agli studi.

Puscariu ha cominciato a lavorare come badante a Lisbona nella casa di una persona affetta da problemi mentali. Anche se la famiglia portoghese la trattava bene, doveva stare sempre attenta a non deludere i suoi datori di lavoro.

“Quando sei irregolare e lavori in nero, tutto dipende dai tuoi datori di lavoro e c’è troppa pressione per essere gentili”, racconta all’IPS. “Non esistono permessi per malattia, e se ti ammali troppo a lungo rischi il licenziamento. Ed è lo stesso se vuoi andare nel tuo paese a trovare la famiglia”.

In Belgio, Puscariu lavora come donna delle pulizie, in questa caso è regolare perché il suo visto da studente le permette di lavorare 20 ore a settimana.

“Il sistema in Belgio funziona molto bene e gli abitanti sono incoraggiati ad assumere le donne delle pulizie perché ci sono incentivi fiscali”, afferma Puscariu. Attualmente lavora con un’agenzia e ha diritto alla malattia, alle ferie pagate e all’assicurazione.

“Quello della lavoratrice domestica non è un lavoro prestigioso in Belgio, ma è comunque rispettato. In Portogallo, le famiglie che ti danno lavoro possono trattarti malissimo: pensano ‘tu sei la mia cameriera, non devo essere gentile con te”.

Come Puscariu, ci sono milioni di donne dell’Europa dell’est che lavorano nelle case di famiglie occidentali come cameriere, babysitter o badanti. Visto che molte di loro lavorano illegalmente in Europa, è assai difficile stabilirne con precisione il numero. Una rumena o una bulgara, per esempio, possono recarsi liberamente in un paese dell’Europa occidentale senza bisogno di visto e restare oltre i tre mesi consentiti senza registrarsi, e cominciare a lavorare illegalmente.

Secondo la WIEGO, un’organizzazione che rappresenta le donne che nel mondo sono impiegate nel lavoro informale, ci sono più di 1 milione e 200mila lavoratrici nelle case italiane, e più del 50 percento degli immigrati che lavorano in Francia sono collaboratori domestici.

In tutto il mondo ci sono più di 100 milioni di collaboratori domestici, secondo l’Organizzazione internazionale del lavoro (ILO), che rappresentano “una delle fasce più vaste, eppure non protette, della forza lavoro”. La stragrande maggioranza di loro è composta da donne.

Secondo uno studio condotto tra il 2006 e il 2007 nel Regno Unito dalla Kalayaan -un’organizzazione per i diritti degli immigrati che lavorano come collaboratori domestici – l’84 percento dei domestici immigrati era composto da donne. Di queste, l’86 percento lavorava più di 16 ore al giorno, il 70 percento lamentava di subire violenze psicologiche e il 56 percento non aveva la propria camera nella casa della famiglia ospitante.

Il numero dei collaboratori domestici provenienti dai paesi dell’est è aumentato enormemente nell’ultimo decennio, da quando cioè l’Unione Europea ha allargato i suoi confini verso est, e al tempo stesso nei paesi dell’Europa occidentale sono stati privatizzati i servizi di assistenza, secondo quanto emerge dalla ricerca della sociologa Sarah Schillinger dell’Istituto sociologico di Basilea.

Al centro della ricerca condotta da Schillinger ci sono le badanti che in Svizzera assistono gli anziani. Tuttavia, le caratteristiche di questo lavoro ben si adattano a quasi tutti gli altri tipi di collaborazione domestica condotti dalle immigrate in ogni altra parte del mondo: salari bassi; instabilità lavorativa; mancanza di sussidi sociali e cure mediche; assenza di una linea di demarcazione definita tra lo status lavorativo e l’essere considerato membro della famiglia, una situazione che limita sia la privacy che il ‘potere di negoziazione’ del lavoratore; stress derivante dall’essere ‘sempre al lavoro’, per chi vive nella casa della famiglia ospitante; e isolamento.

Come quasi tutti i lavori domestici, quello dell’assistenza è considerato un lavoro prevalentemente femminile. Con l’affermarsi delle donne occidentali sulla scena lavorativa europea, poi, i lavori di assistenza e quelli domestici in generale sono destinati sempre di più alle immigrate.

A loro volta, trasferendosi all’estero, le lavoratrici immigrate alimentano una sorta di “deficit assistenziale” nei loro paesi d’origine. In Romania, più di 25mila bambini hanno i genitori che lavorano all’estero e secondo gli psicologi molti suicidi commessi da questi minori sono attribuibili almeno in parte all’assenza dei genitori.

Per evitare alcune di queste conseguenze negative e per migliorare le condizioni di vita dei lavoratori immigrati, si dovrebbe prendere atto di questo ciclo assistenziale e integrarlo nelle leggi sul lavoro in tutti i paesi, afferma Sarah Schillinger. “L’assistenza e il lavoro assistenziale devono essere visti come il centro della vita degli esseri umani”, dichiara la ricercatrice all’IPS. “I governi devono assicurare che le donne impiegate informalmente nell’assistenza ricevano una copertura legale per il loro lavoro e che venga riconosciuto il loro importante ruolo in materia di servizi sociali”.

Some European governments are taking steps in the direction of regularising care and other domestic work but many are lagging behind.

Alcuni governi europei stanno cercando di orientarsi verso la regolamentazione dei lavori assistenziali e domestici, ma molti altri restano indietro.

Organizzare in un sindacato il lavoro degli immigrati in generale è già molto difficile, organizzare quello degli immigrati che nello specifico lavorano nell’assistenza lo è ancora di più. “I badanti vivono e lavorano presso le famiglie, e la casa è uno spazio privato che rende difficile il controllo delle condizioni lavorative”, afferma Schillinger. “Inoltre è anche fondamentale considerare la loro condizione di immigrate: una lavoratrice che dipende dal suo datore di lavoro in quanto immigrata o perché irregolare, è estremamente vulnerabile”.

Nonostante questo, però, le immigrate non sono completamente inermi, sottolinea Schillinger. “Ci sono forme non tradizionali di associazione dei lavoratori più adeguate alle necessità dei lavori domestici rispetto ai tradizionali sindacati”.

Gli sforzi dei gruppi di lavoratori immigrati stanno dando buoni risultati. Quest’anno, dopo gli incontri tenutisi a giugno, l’Organizzazione internazionale del lavoro (ILO, l’agenzia europea per i diritti dei lavoratori) ha approvato l’idea di adottare una convenzione internazionale a difesa dei diritti dei lavoratori domestici che includa gli standard per la correttezza del lavoro e le norme per l’assistenza e il supporto sociale.

Karin Pape del WIGEO, coordinatrice della rete internazionale dei lavoratori domestici presente al meeting della ILO, ha affermato che la decisione di mettere per iscritto i diritti dei lavoratori domestici in una convenzione (e non in una raccomandazione, come avrebbero voluto alcuni datori di lavoro e governi) “è solo un importante primo passo”. La convenzione però deve essere ancora votata nell’assemblea plenaria della ILO in programma per il prossimo anno e poi deve essere ratificata dai 183 stati membri.

Secondo gli attivisti, i gruppi dei lavoratori domestici quest’anno dovranno lavorare per convincere i datori di lavoro e i governi sulla necessità di adottare la convenzione. Tra gli scettici ci sono anche alcuni governi europei che ritengono inutile una convenzione internazionale e considerano sufficiente la regolamentazione nazionale. © IPS