CAMBIAMENTI CLIMATICI: La lobby chimica vuole limitare i target di riduzione delle emissioni

BRUXELLES, 26 gennaio 2010 (IPS) – Appena un mese dopo l’incontro dei leader mondiali a Copenhagen e il debole accordo raggiunto sul cambiamento climatico, i principali responsabili dell’inquinamento in Europa hanno lanciato una nuova battaglia per impedire che vengano presi provvedimenti più radicali.

Il Consiglio Europeo dell’Industria Chimica (CEFIC), uno dei più grandi gruppi di interesse delle imprese a Bruxelles, ha aperto l’anno 2010 sollecitando le istituzioni chiave dell’Unione Europea a non fissare obiettivi più ambiziosi rispetto a quelli concordati per la riduzione delle emissioni di gas serra.

Il suo tentativo sembra aver raggiunto l’effetto sperato. La Spagna, attualmente presidente di turno dell’Unione Europea, ha proposto la settimana scorsa che la posizione dell’UE nei negoziati successivi a Copenhagen non differisca dalla posizione che aveva prima della conferenza. Ossia, vincolare i 27 paesi del blocco a ridurre le emissioni entro il 2020 del 20 per cento rispetto ai livelli del 1990; aumentando la soglia al 30 per cento solo in caso di analoghi impegni di riduzione da parte di altri grandi paesi industrializzati.

La proposta della Spagna è stata avanzata durante un incontro tra i diplomatici europei incaricati di rielaborare gli accordi raggiunti a Copenhagen. La messa a punto dell’accordo è prevista per la fine di questo mese, quando i governi di tutto il mondo dovrebbero aver dichiarato formalmente il loro impegno di riduzione delle emissioni per il prossimo decennio.

Il CEFIC si oppone a misure unilaterali di ampia portata imposte dall’Unione Europea, poiché le imprese ad alta intensità energetica si ritroverebbero svantaggiate rispetto ai loro concorrenti. “Per noi, ridurre le emissioni di gas serra non vuol dire partecipare a un concorso di bellezza”, ha detto all’IPS Philippe de Casablanca, esperto climatico del gruppo. “Non vale la pena essere i primi della classe nella salvaguardia del clima, se questo esempio non comporta significative riduzioni a livello globale. La partita non può essere vinta da un solo giocatore, ma dal gruppo, che lavora in sincronia”.

Gli ambientalisti credono però che l’UE debba perseguire un obiettivo minimo del 30 per cento di riduzioni, a prescindere dal fatto che altri importanti attori dell’economia mondiale seguano o meno il suo esempio. La tattica dell’Unione di stimolare altri paesi a seguire la propria agenda non ha funzionato, sostengono, ed è quindi arrivato il momento di dare il buon esempio.

Secondo Matthias Duwe, direttore del Climate Action Network Europe, l’Unione Europea non ha dimostrato una vera leadership a Copenhagen e “sembra stia commettendo lo stesso errore anche adesso”.

“Si ferma nelle retrovie e aspetta gli altri, mentre dovrebbe esserci un rinnovato senso d’urgenza”, ha aggiunto.

Il CEFIC, che rappresenta 29mila aziende, è stato uno dei gruppi d’influenza più abili nel dare forma alla strategia sul cambiamento climatico dell’Unione Europea negli ultimi anni. Esso ha unito le proprie forze con quelle dei rappresentanti di altri settori ad alto consumo di energia, ad esempio cemento ed acciaio, per avvertire dell’esistenza di un fenomeno chiamato ”carbon leakage” (rilascio di carbonio, o delocalizzazione), secondo cui le imprese lascerebbero l’Europa per stabilirsi in altre regioni del mondo in cui i controlli sulle quantità di biossido di carbonio (CO2) rilasciato nell’atmosfera sono meno rigorosi.

Quest’idea è stata ridicolizzata in uno studio del 2008 della Climate Strategies, una rete di ricercatori che hanno scoperto che le imprese che minacciavano di lasciare l’Europa tendevano a basare questa decisione su opportunità di investimento diverse rispetto alle norme sul clima. Ma CEFIC ha continuato a chiedere che ai propri membri fosse accordato il permesso di inquinare secondo il programma europeo sulle emissioni, che rilascia licenze in base alla quantità di CO2 che un’impresa può emettere.

L’UE è riluttante nel fissare obiettivi più severi, nonostante uno dei suoi più alti funzionari abbia ammesso che le misure previste dagli accordi di Copenhagen non corrispondono a quelle che molti scienziati ritengono necessarie per scongiurare un aumento potenzialmente catastrofico delle temperature globali.

Olli Rehn, membro della Commissione Europea, ha affermato la scorsa settimana che l’accordo “è lontano dal raggiungimento del nostro obiettivo” di assicurare che le temperature non si innalzino sopra i 2 gradi Celsius dai livelli pre-industriali. Rehn ha tuttavia aggiunto. “È meglio un accordo che nessun risultato, che sarebbe stato lo scenario peggiore”.

Il ministro dell’Ambiente spagnolo Elena Espinosa ha detto che è vitale che la risposta dell’UE agli accordi di Copenhagen dia una spinta all’uso intelligente dell’energia. “Vogliamo essere il motore trainante dell’innovazione e della competitività”, ha dichiarato davanti ai membri del Parlamento Europeo.

Ma il WWF si è lamentato riguardo alla mancanza di ambizione dell’Unione, che ostacola lo sviluppo di una tecnologia più eco-compatibile di quella attualmente in uso. Jason Anderson del WWF ha affermato che stabilendo il limite del taglio di emissioni al 20 per cento, l’Unione Europea starebbe in realtà rallentando il ritmo di riduzione di CO2 fissato negli ultimi tre anni.

“Con la mancata adozione di un obiettivo del 30 per cento o più stiamo rinunciando al risparmio di una quantità immensa di energia che migliorerebbe l’economia europea e porterebbe alla creazione di nuovi posti di lavoro in un settore industriale dalle grandi prospettive future”, ha detto Anderson. “L’UE ha sempre avuto un ruolo leader sulla scena mondiale. Spostare le aspettative su quello che devono fare gli altri paesi prima che l’Unione Europea vada avanti non significa solo una mancanza di influenza, significa rinunciare ad avere reali vantaggi in casa propria. Non c’è ragione di tenere in ostaggio il futuro dell’economia europea per decisioni prese a Washington o Beijing.” © IPS