COMUNICAZIONI-ARGENTINA: Nuova legge sugli audiovisivi

BUENOS AIRES, 13 ottobre 2009 (IPS) – Non senza dure critiche da parte dei mezzi di comunicazione privati, il Congresso argentino modifica la Legge sui Servizi Audiovisivi, riducendo il monopolio mediatico. La legge è appoggiata da una ampia rete di organizzazioni sociali che l’aspettavano da tempo.


Con 44 voti favorevoli e 24 contrari, sabato scorso il Senato argentino ha approvato senza modifiche l’iniziativa votata dalla Camera dei deputati a metà settembre. La nuova legge sostituisce una norma in vigore dall’ultima dittatura militare (1976-1983), e dà voce a una istanza avanzata da tutta la società civile ai governi democratici successivi al regime.

Il senatore Ernesto Sanz, leader dell’Unión Cívica Radical, il principale partito dell’opposizione, ha affermato che il suo partito era favorevole a oltre 100 articoli dei 166 inclusi nel disegno di legge. Non si è invece raggiunto l’accordo su alcuni degli altri punti, così il partito al governo ha fatto valere il proprio voto di maggioranza, di cui dispone fino al 10 dicembre, data in cui entreranno in carica i legislatori eletti il 28 giugno scorso.

Le aziende del settore mediatico, come il gruppo Clarín, hanno criticato aspramente il disegno di legge, mentre l’opposizione politica si è fatta portavoce di alcuni aspetti controversi, sostenendo che la legge potrebbe diventare uno strumento utile alla presidente argentina Cristina Fernández e a suo marito, l’ex presidente Néstor Kirchner (2003-2007) per acquisire maggiore influenza sui media nazionali.

“Kirchner detiene già la legge per il controllo dei media”, titolava sabato scorso il Clarín, la maggiore testata del gruppo omonimo, proprietario di oltre 250 media, tra canali via cavo e trasmissioni televisive, radio e giornali. “La Kirchner risorge grazie alla legge sui media”, ha rimarcato il quotidiano Crítica de la Argentina.

Per Sanz si tratta di una “cattiva” legge, perché potrebbe scatenare un'ondata di azioni penali verso le società interessate dal cambiamento normativo, anche se con la nuova composizione parlamentare si potrebbe procedere a un ulteriore cambiamento della legge.

Questo disegno di legge ha origine da un’antica recriminazione di varie organizzazioni di tutela dei diritti umani, radio comunitarie, università e altre parti sociali, riuniti nella Coalición por una Radiodifusión Democrática. La coalizione aveva già evidenziato 21 punti basilari per il diritto alla comunicazione: “Questa legge era il nostro progetto”, ci ha detto il coordinatore della coalizione, Néstor Busso.

Di fatto, venerdì scorso – mentre i senatori stavano deliberando – la coalizione per la radiodiffusione democratica, insieme a organizzazioni politiche, sindacali e studentesche, ha manifestato pubblicamente il proprio appoggio alla modifica, davanti alla sede del Congresso argentino.

L’obiettivo della nuova norma stabilisce è la “deconcentrazione” della proprietà di mass media; essa restringe quindi il numero di licenze che un singolo gruppo può possedere e considera la comunicazione “un servizio pubblico”, aprendo la porta ad enti privati senza scopo di lucro. Ad essi concederà il 33% dello spettro radio.

Per avere un consenso più ampio, la presidente argentina ha accettato di eliminare la proposta originale, che includeva le aziende telefoniche nella trattativa commerciale. Secondo gli oppositori concedere loro l’ingresso sul mercato mediatico prospettava il pericolo di un susseguirsi di monopoli.

Alla camera dei deputati, il partito al governo ha accettato 200 modifiche al progetto, riuscendo così a ottenere il sostegno della sinistra. La norma è stata approvata alla Camera dei deputati con 146 voti favorevoli, tre contrari e tre astensioni, ma il principale oppositore se ne è andato senza votare, in segno di protesta.

Il Senato ha discusso principalmente dell’autorità garante per il controllo. Alla Camera, i partiti di sinistra erano riusciti a conferire all’authority un carattere autarchico e decentralizzato, con un numero maggiore di membri ma una partecipazione ridotta dell’Esecutivo, cosa che non ha scalfito l’opposizione.

La nuova authority, che va a sostituire il Comitato federale argentino per la radiodiffusione (Comité Federal de Radiodifusión), creato dalla dittatura e controllato dal governo, avrà sette membri: due designati dall’Esecutivo, tre dal Parlamento, (eletti dai primi tre gruppi minoritari) e due provenienti da una commissione federale di esperti.

Oggetto di critiche è stato anche l’articolo che stabilisce un solo anno come termine entro cui le aziende detentrici di oltre dieci licenze devono recepire la normativa. L’opposizione teme che tanta premura possa indurre i proprietari a svendere le aziende, e che queste siano poi acquisite da ‘’amici’’ del governo.

Questo l’avviso del semiologo Eliseo Verón, in un editoriale comparso sul quotidiano Perfil. “In fondo – scrive Verón – la lotta incarnata da una nuova legge sui mezzi di comunicazione non è che un tentativo enorme da parte del governo, di recuperare il potere, con lo scopo di predare alcune aziende mediatiche nemiche per concederle agli amici”.

Infine, i senatori all’opposizione hanno discusso l’assegnazione allo Stato della facoltà di concedere licenze di spazi pubblici nelle città con oltre 500.000 abitanti, previo bando pubblico, affermando che equivale a creare un nuovo monopolio, di stampo statale.

Nonostante tutto, alla vigilia della discussione in Parlamento, il disegno di legge è stato approvato ed elogiato dal relatore speciale delle Nazioni Unite per la Promozione e la Protezione della Libertà di Opinione ed Espressione, il guatemalteco Frank La Rue, che lo ha definito “esempio per tutti i paesi” come strumento di garanzia all’accesso ai mezzi di comunicazione per tutte le parti sociali.

“Rispetto alla progressiva concentrazione dei mass media, è un passo avanti per l’America Latina”, ha detto il relatore speciale dell’ONU.

Molti accademici e attivisti umanitari hanno espresso fermo appoggio alla nuova legge, andando ben oltre l’opportunità politica fornita dal governo Fernández, reduce da una sconfitta alle elezioni di giugno.

In un’intervista a IPS, Adolfo Pérez Esquivel, premio Nobel per la Pace nel 1980, ha affermato che l’approvazione della nuova legge era imprescindibile. “Non potevamo andare avanti con una legge risalente alla dittatura, fatta da Jorge Rafael Videla”, ha affermato l’attivista, severo critico del governo a più riprese.

“La resistenza alla legge deriva dal fatto che va a toccare gli interessi dei grandi gruppi, come il Clarín, che infatti ha promosso una grande campagna contro la sua approvazione. Ma non è una legge K”, ha chiarito alludendo all’emittente TN, di Clarín, che parlando di questa norma titolava “legge K sui media” per via dell’ex presidente Kirchner.

“Vogliono farla passare come una legge ideata dal governo, ma noi delle organizzazioni sociali stiamo lavorando da 25 anni alla stesura di una legge che regolamenti i media in maniera democratica”, ha ribadito Pérez Esquivel, che il comitato norvegese ha voluto premiare con il Nobel proprio per il suo impegno nella lotta per i diritti umani durante la dittatura.