INTERVISTA: L’ex presidente dell’Indonesia: ‘Libertà d’espressione per il progresso democratico’

BANGKOK, 28 aprile 2009 (IPS) – Gli elettori indonesiani hanno avuto un’ampia scelta di candidati alle ultime elezioni di aprile: 38 partiti hanno nominato 12mila aspiranti ai 560 seggi dell’assemblea legislativa.

Il prossimo luglio sarà l’occasione per un altro passo avanti nel paese musulmano più popoloso al mondo, con le seconde elezioni dirette del presidente da parte del popolo. Questo diritto era stato negato durante i 30 anni di dittatura di Suharto, finito più di dieci anni fa.

Il favorito è l’attuale presidente Susilo Bambang Yudhoyono, che questo week-end ha annunciato la propria candidatura al secondo mandato nelle presidenziali del 2009. Le buone possibilità di Yudhoyono derivano dall’impressionante performance del suo Partito democratico di centro – che si è assicurato più del 20 per cento dei seggi alle parlamentari, diventando il primo partito della nuova legislatura.

Il successo della svolta democratica in Indonesia dopo la caduta del regime di Suharto nasce dalla forte libertà d’espressione, secondo quanto dichiarato dall’ex presidente indonesiano Abdurrahman Wahid in un’intervista all’IPS: “È l’elemento più incoraggiante per il paese”.

’Gus Dur’, come viene soprannominato nella regione, è stato presidente dell’Indonesia dal 1999 al 2001. Il suo avallo dall’assemblea legislativa è stato accolto positivamente da moderati, progressisti e attivisti dei diritti umani, per i suoi precedenti di riformatore politico e la sua visione inclusiva.

La sua ascesa al palazzo presidenziale è stata favorita dal lungo periodo di leadership della Nahdlatul Ulema, la principale organizzazione islamica moderata indipendente del paese, con circa 30 milioni di aderenti in un paese di 224 milioni di persone.

Eppure l’ex presidente 68enne, che oggi ha perso la vista, ammette che il cammino democratico dell’Indonesia è minacciato dalla corruzione e dalla presenza dei movimenti islamici estremisti, che minano lo spirito di tolleranza del paese.

Altrettanto preoccupante, riconosce Gus Dur, è il tentativo degli ex alti ufficiali militari con pessimi precedenti nel campo dei diritti umani di insinuarsi nello scenario politico in cerca di potere. Tra i personaggi più criticati, il tenente generale in pensione Prabowo Subiyanto, a capo delle Forze speciali del paese alla fine degli anni ’90, apparentemente legato agli attacchi e ai rapimenti di studenti attivisti.

Il corrispondente dell’IPS Marwaan Macan-Markar lo ha intervistato nella sua stanza d’ospedale a Bangkok.

D: L’Indonesia è emersa come la democrazia più promettente del Sud-est asiatico, un processo che pochi avevano previsto dopo la fine della dittatura di Suharto dieci anni fa. All’epoca si diceva addirittura che il paese si sarebbe diviso seguendo il cammino dell’ex Jugoslavia. Cosa ha contribuito a questo successo?

Abdurrahman Wahid: La ragione principale è la libertà d’espressione. Tutti hanno avuto il diritto di esprimere la propria opinione. Questo è il segnale più incoraggiante per noi. Ma il problema adesso è che il sistema politico è troppo corrotto, e questo rischia in qualche misura di annullare ogni possibile spinta positiva che abbiamo grazie alla libertà di stampa.

D: Cosa pensa dell’esercito indonesiano? Crede che le riforme politiche introdotte nell’ultimo decennio – alcune quando lei era presidente – per limitare il ruolo dell’esercito in politica siano state efficaci?

AW: Non del tutto. Questo è un problema. Oggi abbiamo persone come Prabowo – un ex generale militare – che è attivo in politica. Ma credo che in futuro il ruolo dell’esercito verrà limitato, non appena la gente capirà con chi abbiamo a che fare.

D: Cosa le dà tanta fiducia?

AW: L’esercito continua a utilizzare le vecchie figure che hanno fatto il loro tempo, quindi non hanno persone nuove, idee nuove.

D: Decentralizzare il potere è stato un segno distintivo della democrazia indonesiana. Ma il maggiore potere concesso alle autorità locali ha portato ai risultati sperati?

AW: È stato un passo molto importante, ma il problema è che queste autorità non sanno come consolidare un’autonomia locale non militare. Alle volte, lavorano insieme all’esercito. Perciò in alcuni casi i risultati ottenuti si vanificano.

D: Ma ci sono altre preoccupazioni quanto alle nuove autorità locali. Stanno cedendo alle pressioni dell’estremismo islamico, in alcune circostanze minacciando i diritti delle donne. C’è il rischio che questo si diffonda?

AW: No, direi di no. In futuro, tutte queste organizzazioni faziose saranno costrette a cambiare o ad arrendersi. Perché la nostra costituzione prevede il rispetto della libertà d’espressione e di altre libertà.

D: Eppure, la realtà suggerisce diversamente, anche in parlamento, che lo scorso anno ha approvato la legge contro la pornografia grazie alla spinta dei partiti islamici e di altri elementi conservatori dei partiti nazionali secolari. Gli abitanti di Bali e altrove l’hanno percepito come un attacco contro la loro cultura.

AW: In effetti, si è scatenata una forte reazione, sulla necessità di estendere lo spazio delle libertà e dei diritti sanciti dalla nostra costituzione. Io ero contrario a quella legge. Sono contrario a ogni legge che limiti i diritti e i poteri del popolo. Tutti devono essere trattati allo stesso modo e secondo le stesse regole.

D: L’organizzazione che lei un tempo presiedeva, la Nahdlatul Ulama, è salda rispetto ai suoi seguaci e alla visione islamica moderata che abbraccia? Oppure è minacciata dalle tendenze più radicali dell’Islam che si fanno sentire nel vostro paese?

AW: [Le tendenze radicali] verranno sconfitte. Ci vorranno due o tre anni, perché ciò che offriamo alla popolazione si fonda sulla convinzione che tutti sono uguali e liberi. Questo è il problema con l’influenza di Wahabi dall’Arabia Saudita, gli iraniani e i Fratelli musulmani in Egitto. Combattere per i valori sbagliati.

D: Qual è il suo futuro politico? Tornerà a candidarsi alla presidenza?

AW: I partiti politici e l’attuale governo no me lo lascerebbero fare. Hanno messo molti ostacoli sul mio cammino, tra cui dichiarare che non ci vedo più.