EDITORIALE: "I governi arabi assolvono in Darfur ciò che condannano in Palestina"

FREDERICKSBERG, VIRGINIA, 27 aprile 2009 (IPS) – Dall’inizio del conflitto nella regione del Darfur, Sudan, sei anni fa, la violenza di basso livello si è trasformata progressivamente in una serie incessante e sistematica di “atrocità di massa” contro i civili, portate avanti dalle milizie appoggiate dallo stato e dalle stesse forze di governo.

Jody Williams, vincitrice del Premio Nobel per la pace 1997 e presidente del Nobel Women's Initiative. Nobel Women's Initiative/IPS

Jody Williams, vincitrice del Premio Nobel per la pace 1997 e presidente del Nobel Women’s Initiative.
Nobel Women’s Initiative/IPS

Il 4 marzo scorso, la Corte penale internazionale (ICC) ha accusato il presidente sudanese Omar Al-Bashir di crimini di guerra e contro l’umanità. Il 5 marzo, Bashir ha messo ulteriormente in pericolo la vita di 4,7 milioni di persone, con l’espulsione degli organismi nazionali e internazionali di aiuti dal Darfur.

Il 30 marzo, i leader arabi, vista la situazione, si sono incontrati al Vertice della Lega araba a Doha e hanno sottolineato, nelle loro stesse parole, “la nostra solidarietà con il Sudan e il nostro rifiuto della decisione dell’ICC [di incriminare Bashir].

Vorrei poter dire che le parole di questi uomini – pronunciate a diversi milioni di chilometri di distanza dalla dura realtà del Darfur – non sono importanti. Invece contano eccome:

Approvano la volontà del presidente Bashir di negare gli aiuti al popolo del Darfur. Promuovono l'intento di sfidare il mandato d’arresto dell’ICC. Preferiscono la politica ai diritti umani, e dicono al popolo del Darfur che nessun comportamento di Bashir potrà mai compromettere il sostegno di cui gode da parte dei suoi alleati. Inoltre, minano la stessa ICC – un’istituzione internazionale formata da 139 stati membri.

La situazione di violenza in Darfur è confusa, e il problema non è di semplice risoluzione. I gruppi ribelli sono irritabili e disorganizzati, e loro stessi sono responsabili di violazioni e atrocità. Le pistole sono ovunque e i mezzi di sostentamento in nessun luogo. Nessuno sa per certo in che modo mettere fine alle violenze, né cosa serve per ricostruire una società lacerata in ogni sua parte.

Ciò che è chiaro, tuttavia, è che il cammino intrapreso dalla Lega araba durante il suo ultimo vertice è stato decisamente non-costruttivo.

Il presidente Bashir ha diretto una contro-insorgenza sanguinosa e repressiva contro i ribelli a sud, a est e nella regione occidentale del Darfur. Prendere di mira i civili, lasciarli morire di fame come tattica di guerra, incendiare villaggi, e lo stupro di massa di donne sono tutti episodi ben documentati ovunque nel paese. Non si è fermato davanti a niente per restare al potere.

La colpa o l’innocenza di Bashir rispetto alle accuse contro di lui è una questione che dovrà chiarire l’ICC, ma mostrare solidarietà nei suoi confronti non potrà nulla per risolvere i problemi di fondo della povertà e dell’impunità, e servirà solo a intralciare il possibile sostegno ai negoziati per un cessate il fuoco. Di certo non metterà fine alla crisi umanitaria immediata provocata dall’espulsione delle agenzie di aiuti da parte di Bashir.

Il Qatar, ospite del Summit della Lega araba, aveva lavorato per infondere energia al traballante processo di pace in Darfur, con un incontro tra Khartoum e il principale gruppo ribelle, il Movimento giustizia e uguaglianza (JEM). Adesso però, ospitando il presidente incriminato appena qualche settimana dopo l’espulsione delle organizzazioni umanitarie e dichiarando apertamente il proprio sostegno a Bashir, la credibilità del Qatar come ospite e coordinatore dei colloqui di pace deve essere rimesso in questione. Il JEM ha già lasciato i colloqui, per protestare contro la situazione umanitaria.

Invece di preferire la politica all’umanità, e di privilegiare le apparenze dell’unità araba rispetto alle preoccupazioni per il popolo del Darfur, la Lega araba avrebbe dovuto condannare l’espulsione delle agenzie e la persecuzione dei sostenitori dei diritti umani per mano di Bashir. Una dichiarazione dei leader arabi in cui si fossero riconosciute le atrocità e le violenze commesse dalle forze governative avrebbe avuto un profondo impatto su Khartoum. O meglio ancora, una dichiarazione in cui si sollecitavano tutti gli amici e i vicini del Sudan a lasciare che la Corte facesse il proprio lavoro. Tutte le nazioni dovrebbero fare il possibile per convincere tutte le parti a sedersi intorno a un tavolo, includendo anche le donne nei colloqui di pace, e per assicurare giustizia e riconciliazione per il popolo del Sudan.

Il mondo arabo ha a lungo criticato l'apparente cecità dell’America di fronte alla questione israelo-palestinese. Rispondere per le rime quando si tratta del presidente Bashir non serve per mettere fine alle sofferenze dei palestinesi, né a quelle della gente del Darfur. Così come l’amministrazione Usa utilizza due pesi e due misure per israeliani e palestinesi, la Lega araba utilizza due pesi e due misure per Khartoum e il Darfur. Le legittime critiche alla politica israeliana dovrebbero essere prese in considerazione più seriamente e così la loro rigorosa applicazione, e bisognerebbe avere le stesse preoccupazioni per il popolo del Darfur di quelle che si hanno per il popolo palestinese.