ARGENTINA: Paura degli Stati Uniti

BUENOS AIRES, 6 agosto 2004 (IPS) – Alcune organizzazioni non governative (Ong) argentine hanno ravvisato – dietro alle manovre militari congiunte e all’avvio di progetti scientifici legati al controllo di armi strategiche e tutela ambientale – intenti di dominio statunitense sulle risorse dell’America del sud

Alcune organizzazioni non governative (Ong) argentine hanno ravvisato – dietro alle manovre militari congiunte e all’avvio di progetti scientifici legati al controllo di armi strategiche e tutela ambientale – intenti di dominio statunitense sulle risorse dell’America del sud.

“Con argomenti come la lotta al narcotraffico o contro il terrorismo e con il pretesto di ricerche scientifiche e ambientali, gli Stati Uniti portano avanti un insieme di azioni tendenti a rafforzare la loro presenza militare in regioni strategiche dell’America Latina”, ha assicurato all’IPS la storica Elsa Bruzzone, esperta in geopolitica, strategia e difesa nazionale.

Lo sguardo è rivolto “in particolare alle zone in cui si concentrano importante risorse naturali”, ha precisato la segretaria del “Centro de militares para la democracia argentina” (Cemida).

Bruzzone ha avvertito che, sotto l’apparenza di progetti scientifici, in alcuni casi autorizzati dall’Organizzazione delle Nazioni Unite (Onu), si promuove l’installazione di basi e laboratori “che poi sono nelle mani di personale civile del Ministero della Difesa o del Dipartimento di Stato degli Usa”.

In un seminario sull’Area di libero commercio delle Americhe (ALCA) realizzato a marzo a Quito, Bruzzone ha presentato un intervento elaborato dal Cemida intitolato “L’acqua potabile: nuova risorsa strategica del XXI secolo. Il caso specifico della falda acquifera del Guaranì”.

In questa occasione, la storica ha ricordato che esiste un progetto per costruire “otto basi e un laboratorio scientifico in Argentina, a quanto pare sotto il controllo dell’Onu, che farebbe parte della “Rete di controllo del Trattato di divieto assoluto di esperimenti nucleari”.

Sebbene l’Argentina sia firmataria dell’accordo, Washington si rifiuta di ratificarlo perché, ha spiegato Bruzzone, “non potrebbe più effettuare esplosioni nucleari e ciò limiterebbe la sua capacità di sviluppare nuove armi atomiche”.

Anche il presidente del “Servicio de Paz y Justicia” (Serpaj) e premio Nobel per la Pace, Adolfo Pérez Esquivel, ha ricordato allo stesso forum in Ecuador che l’America Latina ha vissuto una situazione drammatica e reclamato “un arrembaggio razionale” dei negoziati.

“Questo non significa non negoziare con gli Stati Uniti o altri governi, si tratta di definire da dove e come negozieremo”, perché la proposta dell’ALCA, ha aggiunto Pérez Esquivel, “non arriva da sola, ma è accompagnata dall’installazione di basi militari, e da politiche di imposizione”.

Su questa linea, Bruzzone ha spiegato che “le otto basi e il laboratorio (progettati in Argentina) faranno parte di un sistema di 321 impianti che saranno costruiti in 89 paesi per verificare che nessuno realizzi esplosioni nucleari, sotterranee, marittime o atmosferiche, soprattutto test su nuove armi”.

Secondo le informazioni del Cemida, i luoghi scelti per collocare i centri di monitoraggio in Argentina sono nel sud Tolhuin e Ushuaia (provincia di Terra del Fuoco), Bariloche e Paso Flores (Río Negro) e Villa Traful (Neuquén), Coronel Fontana nella provincia nordoccidentale di Salta, poi nella provincia occidentale di San Juan e gli ultimi due a Buenos Aires.

L’esperta del Cemida ha assicurato che da marzo 2001 è in funzione una stazione “radio nucleica”, che misura cioè i livelli di aria radioattiva, nella sede della Commissione nazionale di energia atomica (CNEA).

Nella base di Tolhuin, la prima in costruzione, i lavori si erano fermati per l’opposizione di organizzazioni sociali e sindacali, come il Sindacato unificato dei lavoratori dell’educazione Fueguinos, che con l’aiuto di Serpaj hanno denunciato internazionalmente il progetto.

Carlos Manfredotti, governatore della Terra del Fuoco, ha firmato nel 2001 un decreto che autorizzava l’installazione di una base del “Sistema internazionale di vigilanza per la prevenzione e il divieto di test ed esplosioni nucleari”.

Sebbene in quell’occasione si fosse assicurato che la base sarebbe stata priva di personale, e avrebbe utilizzato solo strumenti robotizzati di misurazione, il decreto del governatore permetteva ai membri della base di muoversi liberamente nella provincia, cosa che causò la diffidenza delle organizzazioni sociali e della popolazione.

Secondo il progetto, in Argentina tutte le basi funzionerebbero sotto la supervisione dell’Autorità di regolamentazione nucleare (ARN) e dell’Istituto nazionale di prevenzione sismica (Inpres) e col coordinamento del Ministero degli Affari Esteri, che è stato consultato dall’IPS ma non ha risposto.

Bruzzone ha sottolineato che per gli Usa questo tipo di progetto costituisce “un’ottima scusa per mascherare la loro presenza militare nelle zone in cui si trovano le risorse strategiche fondamentali del XXI secolo”.

D’altra parte, l’esperto ha segnalato che pure le esercitazioni militari congiunte, realizzate con nuclei operativi delle Forze armate statunitensi in territorio argentino, “si sono svolte in zone in cui si concentrano importanti risorse naturali”.

In tal senso, ha ricordato quelle realizzate in Patagonia, collegandole con la ricchezza ittica e petrolifera del sud dell’Atlantico, gli idrocarburi e i minerali nella zona della cordigliera delle Ande e, “soprattutto, per l’apertura di questi territori sull’Antartide, un’altra regione ambita per le sue risorse, non ancora quantificate”.

L’Associazione americana dei giuristi ha promosso – con il pretesto di esercitazioni militari congiunte denominate “Cabañas 2001” effettuate quest’anno nella zona di Salta – un’azione per spingerer il potere giudiziario a dichiarar nulla e incostituzionale la decisione del governo di consentire l’accesso a militari stranieri senza autorizzazione del Congresso.

L’anno prima, l’operazione “Cabañas 2000” si era svolta a Córdoba, dove parteciparono 500 “berretti verdi” (forze speciali) degli Stati Uniti e nuclei operativi di sei paesi sudamericani: un’azione che fu considerata preparatoria al Plan Colombia, il programma per la lotta al narcotraffico e ai ribelli del paese, sostenuto da Washington.

Anche il Serpaj, Diálogo 2000 e altre organizzazioni non governative hanno manifestato contro lo svolgimento di esercitazioni militari che, nelle ipotesi di conflitto, comprendevano civili, Ong e possibili nemici, secondo quanto assicurano i dirigenti di queste organizzazioni.

Seppure nel 2003 non si siano svolte operazioni militari congiunte in territorio argentino, Bruzzone ha indicato che i nuclei operativi di questo paese “partecipano quest’anno in esercitazioni comandate dagli Usa in Centroamerica e anche nell’operativo Unitas”, esercitazioni annuali.

D’altra parte, il Cemida e organizzazioni locali hanno denunciato l’offensiva lanciata su un’altra zona di grande valore strategico, poiché situata sull’immensa falda acquifera Guaranì, dove confluiscono i tre territori di Argentina, Brasile e Paraguay, noto come la “Triple Frontera”.

La falda acquifera Guaranì è una delle maggiori riserve di acqua del pianeta e si estende lungo il bacino dei fiumi Paranà, Uruguay e Paraguay, con una superficie di 1,2 milioni di chilometri quadrati, di cui quasi 840.000 appartengono al Brasile, 228.000 all’Argentina, 72.000 al Paraguay e circa 60.000 all’Uruguay.

Secondo Bruzzone, “è probabile che il massiccio acquisto di terre nei pressi di fiumi e laghi da parte di privati nordamericani ed europei in Patagonia, nel centro e sud dell’Argentina, non obbedisca a nessun capriccio ecologista, ma ad una prematura presa di posizione per un futuro che si avvicina pericolosamente”.

Quanto all’interesse degli Usa di controllare la zona della Triple Frontera, il pretesto è sempre stato quello della sicurezza, visto che si ritiene che le comunità di origine araba che vivono nella zona siano legate a gruppi terroristici.

Ciononostante, la storica ha evidenziato che il rapporto annuale sul terrorismo mondiale, presentato il 30 aprile 2003 ed “elaborato dal Dipartimento di Stato Usa, ha affermato che nella Triple Frontera non esistevano cellule né basi terroristiche, menzionando in particolare il Dialogo antiterrorista del 3+1, firmato da Argentina, Brasile e Paraguay con Washington per controllare la regione”.

Ma “l’importante per Washington è aver riconosciuto il terreno in anticipo sulla base di un possibile impiego di forze militari in un futuro più o meno immediato, nel caso i governi della regione cambiassero la condotta irresoluta che hanno avuto finora”.