ARMI: Minaccia agli Obiettivi del Millenio

BRUXELLES, 2 luglio 2004 (IPS) – Secondo le organizzazioni umanitarie Amnesty International e Oxfam, i paesi esportatori di armi stanno intralciando il cammino verso il compimento degli Obiettivi di sviluppo del Millennio (MDG) dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (Onu)

La vendita d’armi “devia le risorse di settori come salute e educazione, oltre a minare la sicurezza e i diritti umani della popolazione”, avvertono le due istituzioni internazionali in un rapporto pubblicato a fine giugno.

Lo studio, intitolato “Armi o crescita” (“Guns or Growth”), indica che in sei paesi in via di sviluppo – Birmania, Burundi, Eritrea, Oman, Pakistan e Siria – la spesa in armi supera i bilanci di salute e educazione messi assieme.

“Il fallimento dei governi nel mantenere le loro promesse sull’esportazione di armi significa che ai bambini viene negata l’educazione, i malati di Aids non ricevono cure e migliaia di persone muoiono inutilmente”, ha dichiarato Barbara Stocking, direttrice di Oxfam.

Asia, Medio Oriente, America Latina e Asia – secondo il rapporto – spendono ogni anno 22 miliardi di dollari in armi.

Questa somma avrebbe permesso a tutti i paesi entro il 2015 di garantire l’educazione di tutti i bambini e le bambine, oltre a ridurre di due terzi la mortalità infantile, due degli otto obiettivi di sviluppo del millennio decisi dall’Onu.

Fra i traguardi concordati dai capi di Stato e di governo nella sessione speciale dell’Assemblea generale dell’Onu a settembre 2000 vi sono: garantire entro il 2015 l’educazione universale di bambini e bambine, ridurre della metà, rispetto al 1990, la popolazione di persone povere, affamate e prive di accesso all’acqua potabile.

Altri obiettivi stabiliti dai 189 paesi allora membri dell’Onu sono promuovere l’uguaglianza di genere, ridurre la mortalità infantile, migliorare la salute materna, combattere l’HIV/Aids, la malaria e altre malattie e garantire la sostenibilità ambientale.

Il rapporto di Oxfam e Amnesty considera “sconcertante il fatto che così pochi governi facciano un tentativo serio di considerare l’impatto delle loro esportazioni d’armi sullo sviluppo”.

“Impegnarsi solo a parole – si legge nella relazione – significa che risorse già scarse vengono dirottate dalla lotta contro la povertà, provocando la sofferenza di milioni di persone”.

Le armi vendute nel 2002 a Medio Oriente, America Latina e Africa hanno rappresentato più di due terzi del commercio mondiale nel settore. Il 90 per cento di quelle vendite provenivano dai cinque paesi membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’Onu.

“È una grossa cifra di denaro che potrebbe essere utilizzato per realizzare progressi concreti nella lotta contro la povertà”, ha detto Ernie Regehr, direttore dell’organizzazione non governativa Project Ploughshares.

Nel 2001, la Tanzania ha speso 40 milioni di dollari per il sistema radar di vigilanza militare “Watchman”. Questa somma avrebbe permesso di offrire assistenza medica a 3,5 milioni di persone.

Il Sudafrica, nel 1999, ha comprato fregate, sottomarini, aerei, elicotteri, e altri apparati militari per una cifra complessiva di 6 miliardi di dollari. Con quel denaro, i cinque milioni di portatori del virus dell’Aids nel paese avrebbero ricevuto cure antiretrovirali per due anni.

La comunità internazionale dovrebbe approvare un trattato di controllo sul commercio di armi che tuteli lo sviluppo e i diritti umani, secondo lo studio di Oxfam e Amnesty International.

“Le vendite improprie di armi aggravano la povertà. Abbiamo bisogno di un trattato”, ha detto il direttore dell’organizzazione Saferworld, Paul Eavis.

Il rapporto ha esaminato le vendite di 17 grandi esportatori d’armi: Germania, Argentina, Belgio, Bulgaria, Canada, Slovacchia, Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna, Olanda, Polonia, Repubblica Ceca, Romania, Russia, Svezia, Turchia e Ucraina.

Solo Gran Bretagna e Olanda hanno politiche secondo cui un ufficio governativo deve partecipare alle fasi decisionali sull’esportazione di armi.

E solo quattro paesi – Bulgaria e Svezia, oltre ai due sopra citati – si sono rifiutati in alcuni casi di vendere armi, per le conseguenze di una tale operazione sullo sviluppo sostenibile.