L’ Italia ha ‘l’agricoltura più verde’ d’Europa, ma non è sostenibile

L’ Italia ha ‘l’agricoltura più verde’ d’Europa, ma non è sostenibile

ROMA, genn 2019 (IPS) – Nonostante l’agricoltura italiana ricopra un ruolo di primo piano in termini di agricoltura biologica e agricoltura sostenibile e sia all’avanguardia nella conservazione della biodiversità, la scarsità di acqua, la manodopera irregolare e il ruolo delle donne associato all’invecchiamento della forza lavoro rimangono un problema urgente.

“L’agricoltura italiana è la più eco-compatibile d’Europa”, ha detto all’IPS Lorenzo Bazzana, responsabile economico di Coldiretti, la principale organizzazione dei coltivatori diretti a livello nazionale ed europeo.

“L’Italia ricopre anche una posizione di rilievo in termini di prodotti biologici, con 72.000 operatori biologici”, ha aggiunto Bazzana. Infatti, secondo i dati del 2014 dell’Organizzazione dell’Alimentazione e dell’Agricoltura delle Nazioni Unite (FAO), il 10,5 per cento delle terre coltivabili è dedicato all’agricoltura biologica.

“Il nostro paese è all’avanguardia quanto a conservazione della biodiversità, grazie alla decisione di non coltivare organismi geneticamente modificati (OGM) e con 40.000 fattorie impegnate nel conservare e preservare semi e piante a rischio estinzione. Inoltre, l’Italia detiene il primato in termini di sicurezza alimentare, con il più alto numero di prodotti agroalimentari in regola rispetto ai valori dei residui chimici irregolari [99,4 percento].”

l’Italia e l’Indice di sostenibilità alimentare: ai primi posti per l’agricoltura sostenibile

I dati positivi sono confermati da diversi studi, come l’Indice di Sostenibilità Alimentare (FSI, dalla sigla in inglese), elaborato dalla Fondazione Barilla Center for Food & Nutrition (BCFN), un think tank multidisciplinare che lavora per l’agricoltura sostenibile. L’FSI è un indicatore di sostenibilità alimentare che ha analizzato 34 paesi rappresentanti l’87 per cento dell’economia del pianeta (Prodotto Interno Lordo, PIL) e oltre i due terzi della popolazione mondiale. Si è focalizzato su tre pilastri fondamentali, tenendo conto degli obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs):

  • Agricoltura sostenibile;
  • Perdita e spreco di cibo;
  • Sfide nutrizionali.

In relazione all’agricoltura sostenibile, l’Italia è il miglior paese tra i 34 classificati. Ha un punteggio elevato per “impatto ambientale dell’acqua sull’agricoltura, sostenibilità del prelievo idrico, scarsità d’acqua e indicatori primari della gestione dell’acqua,” secondo un rapporto della BCFN che sintetizza i dati del 2017 presentati dall’FSI.

“L’Italia ha sperimentato nuove tecniche per ridurre lo spreco d’acqua nel contesto domestico e agricolo”, si legge nel rapporto.

Tuttavia, la scarsità d’acqua nell’Italia centrale e meridionale nell’estate del 2017, per esempio, ha rivelato una certa criticità in termini di infrastrutture idriche povere e inadeguate. Il paese ha valori positivi per molti altri indicatori, come l’agricoltura biologica, e in Italia vi sono anche leggi severe per tutelare i diritti dei piccoli proprietari terrieri.

Il problema del lavoro irregolare nel settore agricolo

Tuttavia, secondo il rapporto della BCFN, il tasso di partecipazione femminile nel settore agricolo costituisce soltanto l’uno percento e il tasso di occupazione giovanile è di appena il 3,1 per cento; numeri molti bassi rispetto ad economie simili, come quella spagnola, il cui tasso di manodopera femminile e giovanile rappresenta un terzo della forza lavoro nel settore agricolo.

I lavoratori irregolari costituiscono un altro grande problema. Secondo il sindacato italiano degli agricoltori, Flai-Cgil, moltissimi agricoltori – circa 400.000 – assumono lavoratori irregolari.

Secondo il sindacato, gli agricoltori assumono lavoratori irregolari attraverso un mercato nero gestito da organizzazioni criminali; un fenomeno noto come ‘agromafia’ o ‘caporalato’, una piaga economica e sociale del paese.

Manca il ricambio generazionale nel settore agricolo

“Lavoro qui dal 1981 e ho dedicato la mia vita a questa cooperativa di prodotti biologici”, ha detto all’IPS un membro sessantenne della ‘Cooperativa Agricoltura Nuova’. La cooperativa si estende per centinaia di ettari, a soli 10 chilometri dal centro di Roma, e produce esclusivamente prodotti biologici.

“La nostra cooperativa è già una realtà funzionante, non dobbiamo cominciare da zero”, ha aggiunto. “Quello che mi spaventa, e che spaventa tutti qui, è il ricambio generazionale: qui lavorano per la maggior parte persone anziane, dai 50-60 anni in su. Non ci sono giovani, non vogliono lavorare qui”.

La paura di agricoltori, allevatori e apicoltori che lavorano nell’impresa è che l’iniziativa possa morire in futuro poiché non ci sarà nessuno in grado di portare avanti le attività che Cooperativa Agricoltura Nuova gestisce oggi.

“Questa prospettiva mi spaventa,” ha confessato all’IPS Davide Pastorelli, uno dei pochi giovani impiegati nella cooperativa. Pastorelli ha solo 30 anni e lavora per la Cooperativa da 10 anni, gestendo la produzione di latte e formaggio. Spesso si occupa della formazione di coloro che cominciano a lavorare qui, ma che in genere rimangono per un periodo breve.

“Molti giovani semplicemente non hanno voglia di lavorare duramente la terra, questa è la realtà”, ha detto. “Se non ci fossero gli immigrati e i disabili, che si fermano da noi per periodi relativamente lunghi, non so davvero come potremmo andare avanti”.

Cooperativa Agricoltura Nuova è una ‘cooperativa integrata’, ossia che promuove una politica di integrazione al suo interno, e questo basta a spiegare la presenza di immigrati e disabili con disturbi mentali. “Per legge, dobbiamo avere almeno il 30 per cento di persone disabili tra i nostri operai, ma in realtà ne abbiamo molte di più”, spiega Letizia, un membro della Cooperativa.

Prospettive: “L’Italia ha ancora molta strada da fare”

Secondo i dati positivi raccolti dall’FSI, l’Italia è sulla buona strada ma non dovrebbe sottovalutare i problemi, sia nel breve che nel lungo termine.

Per esempio, il punteggio dell’Italia nell’ambito delle sfide nutrizionali, uno dei tre pilastri dell’FSI, era soltanto moderato, con un punteggio alto nelle categorie ‘qualità della vita’ e ‘aspettative di vita’ ma valori bassi nella categoria dei regimi alimentari.

In particolare, indicatori come ‘attività fisica’, ‘numero di persone per fast food’ o ‘risposta strategica ai regimi alimentari’, non hanno valori tanto invidiabili se paragonati ad altri paesi, rendendo così la ‘sfida nutrizionale’ il pilastro che l’Italia deve tenere maggiormente sotto osservazione.

Ciò che non va sottovalutato è anche l’obiettivo di ridurre lo spreco di cibo e sensibilizzare in termini di regimi alimentari. L’Italia, grazie ad una ormai radicata attenzione alla qualità del cibo e a una tradizione legata alla ‘dieta mediterranea’, considerata la più equilibrata da molti nutrizionisti internazionali, è la prima al mondo per longevità, con una durata massima di vita di 89,10 anni su 100, secondo l’FSI.

“È vero tuttavia – ha avvertito Bazzana – che, specialmente per le nuove generazioni, c’è il rischio che queste buone abitudini alimentari legate alla dieta mediterranea si perdano, a vantaggio di modelli alimentari meno equilibrati, dovuti a cattive abitudini e comportamenti importati da altri paesi”.

“Nelle 130 ricerche allegate al ‘Manifesto per il cibo e la Salute’, un documento redatto dall’organizzazione internazionale Navdanya, e che vuole essere uno strumento utile per tutti coloro che vogliono avviare la transizione verso un paradigma più sostenibile, molte delle problematiche evidenziate riguardano strettamente l’Italia”, ha detto Cavazzoni.

“Il fatto che oggi si acquisti cibo in scatola e che sia soggetto ad un marketing piuttosto ‘scaltro’ nei supermercati ha causato una separazione tra la conoscenza del cibo e la sua funzione nutrizionale, che è spesso povera”, ha aggiunto Cavazzoni. “Dobbiamo invece recuperare questi passaggi”.

La questione cruciale, secondo l’esperto, è che il consumo biologico deve diventare un’abitudine ‘popolare’, cioè ‘dell’intera popolazione’.

“Questo non significa un’abitudine massificata e banalizzata. Dobbiamo incoraggiare la disintermediazione, ossia ridurre la distanza tra produttori e consumatori lungo la catena alimentare il più velocemente possibile. E dobbiamo ridare vita ai mercati agricoli, poiché la produzione industriale e l’esistenza dei supermercati non solo danneggiano i piccoli produttori, ma stanno anche pregiudicando la qualità stessa del nostro cibo”, ha affermato Cavazzoni.

“Mettere in contatto consumatori e produttori, senza rinunciare alla qualità del cibo e al suo prezzo massimo. Questo è il punto cruciale su cui si deve lavorare”.

(editing Francesca Buffo)