La cittadinanza globale, risultato dell’emergere di una coscienza globale

MYRTLE BEACH, Carolina del Sud, USA, gen, 2015 (IPS) – La globalizzazione è un elemento integrante della modernità. Ha già fatto progressi importanti nel trasformare esperienze locali in realtà globali, unire i più disparati villaggi nel mondo in una comunità globale e integrare le economie nazionali in un’economia internazionale. Ma il processo di globalizzazione comporta anche la perdita di identità culturale.

Arsenio Rodriguez è presidente e CEO di Devnet International, un’associazione impegnata nella creazione, promozione e sostegno di partenariati e scambi tra organizzazioni della società civile, autorità locali e imprenditori di tutto il mondo.

Arsenio Rodriguez è presidente e CEO di Devnet International, un’associazione impegnata nella creazione, promozione e sostegno di partenariati e scambi tra organizzazioni della società civile, autorità locali e imprenditori di tutto il mondo.

Molti giovani oggi crescono e vivono in un mondo globale consolidato e non sentono di appartenere a nessuna cultura in particolare. Nel 2013, 232 milioni di persone, ossia il 3,2 percento della popolazione mondiale, erano migranti internazionali legalizzati, contro i 175 milioni del 2000 e i 154 del 1990. A questi dati bisogna aggiungere 30 milioni stimati di migranti non documentati.

Sempre più persone nel mondo hanno quindi contratto matrimoni misti al di là del proprio gruppo culturale, etnico o religioso. In Europa, ad esempio, nel periodo 2008-10, su 12 matrimoni circa uno era misto. I figli di queste unioni sono esposti a impostazioni culturali ibride, talvolta associate a quelle del paese di arrivo, se entrambi i genitori sono immigrati.

Nel 2013, più di un miliardo di persone ha viaggiato fuori dal proprio paese per turismo, aumentando la conoscenza diretta di località fuori dai loro confini. D’altra parte, oggi nel mondo circa tre miliardi di persone utilizzano Internet e più di un miliardo sono connesse ai social network.

L’interconnessione tra popoli di tutto il mondo ha ormai raggiunto livelli mai visti prima. A questo si aggiunge una concezione ecologica, cosmologica e della fisica moderna che dimostra la diffusa interconnessione a livello mondiale e il riconoscimento di essere tutti parte di uno stesso pianeta, il villaggio globale.

Per molte persone oggi, l’idea di casa non è legata a un luogo specifico, quanto piuttosto all’esperienza cosciente di una cultura. Coloro che vivono tra diverse culture sentono “naturalmente” di vivere in un mondo globalizzato perché riflette la combinazione di differenti culture, visioni e appartenenze sociali.

Esiste tuttavia, all’interno dello stesso processo di sintesi globale e interconnessione, un’energia socioculturale di resistenza, che agisce come forza contraria. E seppure molte persone si identifichino e si definiscano cittadini globali, le culture e le società in cui vivono non accettano facilmente il loro status, tendendo continuamente a classificarli e categorizzarli.

Per quanto si sentano a casa loro, sono invece percepiti come outsider, turisti e appartenenti ad una cultura straniera. Mentre da un lato l’integrazione a livello globale avanza, dall’altro il radicamento culturale, i gruppi etnici, religiosi e parrocchiali resistono, nel timore delle forze disgreganti della globalizzazione, manifestando la loro resistenza attraverso i fondamentalismi, la violenza e le guerre etniche e tribali.

Cultura e globalizzazione sono viste come reciprocamente esclusive e diametralmente opposte; il primo termine è normalmente associato a una cultura specifica, mentre il secondo viene compreso come l’omogeneizzazione di tutte le culture in una sola.

Per un cittadino globale, l’autocomprensione e l’identità culturale si definiscono dalla mancanza di appartenenza a una specifica cultura. I cittadini globali perdono il loro senso di appartenenza e diventano stranieri per la società, ma in cambio guadagnano la libertà di autoespressione e autodefinizione, poiché sono esenti dai vincoli normativi della cultura e della società.

Siamo in un’epoca di grande transizione. I modelli economici che prevalgono oggi non funzioneranno per nove miliardi di persone in una società fortemente consumistica. Le autorità scientifiche, imprenditoriali e di governo di tutto il mondo concordano sul fatto di allineare il ciclo produttivo e di consumo, i nostri mercati, al ciclo naturale del nostro sistema di sopravvivenza.

E i nostri approcci frammentari non sono abbastanza efficaci ed efficienti per riuscirci. Serve una coscienza globale e una cittadinanza globale. Non un governo globale ma un sistema internazionale federato basato sulla collaborazione e la cooperazione, piuttosto che sulla concorrenza e l’egemonia, che riunisca tutti i cittadini, in ogni rispettiva comunità e paese, intorno a temi di interesse comune e nel rispetto delle diversità culturali.

Ma non devono essere solo i governi a partecipare a questo sforzo congiunto di cooperazione internazionale. Le grandi imprese private oggi rappresentano il settore più potente sulla terra. Eppure, devono ancora assumersi la responsabilità dovuta nel delineare il futuro del contesto sociale di cui fanno parte e da cui in sostanza dipendono.

Sta emergendo una nuova cultura mondiale con una visione integrale, indipendente dalle tradizioni esistenti e dai valori preservati. Sta nascendo un nuovo modo di pensare in termini di totalità indivisibile, che abbandona i valori relativi del confronto a favore del riconoscimento del valore intrinseco di ogni cosa e di ciascun individuo.

Sempre più persone e comunità, oltre a grandi aziende, sono consapevoli di questa interconnessione e del vantaggio insito nella cooperazione e nella collaborazione come modello di impresa.

Il movimento per la cittadinanza globale dovrebbe riunire tutte le persone impegnate a creare un mondo sostenibile e di pace, e accelerare un movimento coesivo globale di trasformazione personale e sociale, che rifletta l’unità dell’umanità.

I veri cittadini globali puntano ad unire comunità, gruppi e individui premurosi a livello globale, ad avanzare l’idea di un’umanità che sottolinei l’unità e promuova la propria espressione attraverso la pace, la giustizia sociale e l’equilibrio dell’ambiente.

Chiunque cambi la propria percezione del mondo da “me contro l’altro” a “noi rispetto a loro”, in una percezione comune che riconosca l’interconnessione della vita umana, comincerà a far parte del movimento di cittadinanza globale.

Sta già succedendo ovunque, là dove le persone cominciano a essere consapevoli, su diversi livelli di organizzazione politica, che il funzionamento del sistema di sopravvivenza alla base del benessere e della prosperità degli esseri umani è a rischio.

C’è ampio consenso tra le comunità scientifiche, d’impresa, intergovernative e non governative di tutto il mondo sul fatto che: (a) dobbiamo allineare i nostri cicli produttivi e di consumo e i nostri mercati ai naturali cicli rigenerativi dell’ambiente; (b) i consueti modelli economici basati sul forte consumo e sullo spreco non funzioneranno per i futuri nove miliardi di abitanti previsti sul pianeta; (c) è urgente cambiare i nostri modelli di vita; e (d) approcci frammentari non sono abbastanza efficaci o validi su larga scala.

Le soluzioni sostenibili esistono, il modo di vedere le cose stanno già cambiando in alcuni settori e portando ad azioni concrete. Dobbiamo soltanto estendere e accelerare questo processo.

Abbiamo un problema di sistema, perciò ci serve una soluzione sistemica. C’è solo una forza sul pianeta abbastanza potente per farcela – tutti noi. Dobbiamo collaborare in modo consapevole nella più ampia iniziativa possibile, da far funzionare a pieno ritmo; un’impresa che contenga tutte le altre, una vera cittadinanza globale. E per fare questo occorre una profonda trasformazione culturale nelle nostre coscienze.

(Traduzione e editing a cura di Francesca Buffo)