Rifiuti marini e biodiversità insulare: una scomoda verità

BONN, maggio 2014 (IPS) – Alcuni dei paradisi tropicali più
fragili della Terra vengono sfigurati dai
sottoprodotti dell’era moderna, i detriti marini:
bottiglie di plastica, sacchetti e attrezzi da pesca
gettati via.

 Courtesy of Greenpeace/Marine Photobank


Courtesy of Greenpeace/Marine Photobank

Solo una piccola parte di tutto questo proviene dalle stesse isole: la maggior parte viene prodotta sulla terraferma ed entra in mare attraverso le fogne e gli scarichi; il resto proviene da navi passeggeri, mercantili e pescherecci, i cui equipaggi spesso usano gli oceani come un gigantesco impianto di smaltimento dei rifiuti. Mentre gran parte finisce in gorghi di spazzatura, molta spazzatura si riunisce in spirali giganti che le correnti trasportano in tutto il mondo.

Nei piccoli Stati insulari in via di sviluppo (Sids), riconosciuti come un gruppo distinto di nazioni dalla Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente e lo sviluppo nel 1992, manca lo spazio da dedicare alle discariche e non hanno le risorse per affrontare l’enorme problema dei rifiuti marini che si depositano sulla sulla soglia di casa, dato che le maree e le correnti trasportano la spazzatura marina accumulandola sulle loro spiagge. Sul fronte interno, possono prendere misure per garantire di non aggravare il problema – Le Samoa americane ad esempio, hanno vietato i sacchetti di plastica – ma il principio “chi inquina paga”, o richiederebbe che i responsabili della produzione dei rifiuti dovrebbero essere ritenuti responsabili del loro corretto smaltimento.

Una spiaggia cosparsa di rifiuti è una vista dolorosa per il turismo che svolge un ruolo importante nelle economie di molti Stati insulari, i rifiuti i marini possono avere notevoli conseguenze finanziarie negative, minacciando le imprese locali e le prospettive occupazionali.

Palau ha vietato la pesca commerciale nelle sue immense acque territoriali, abbandonando la redditizia vendita delle licenze, e svilupperà un ecoturismo basato sullo snorkelling e le immersioni subacquee come alternativa sostenibile. Gli squali vivi di Palau possono far guadagnare ognuno 1,9 milioni dollari durante la loro vita. Uno squalo morto vale poche centinaia di dollari, la maggior parte attribuibili alle pinne utilizzate per fare la zuppa considerata una prelibatezza in alcune parti dell’Asia orientale.

A febbraio, l’Indonesia è diventata il più grande santuario del mondo per le mante ed ha vietato la pesca e l’esportazione delle specie in tutti i 2,2 milioni di chilometri quadrati che circondano l’arcipelago. I numeri sono all’incirca gli stessi: come attrazione turistica, una manta ha un valore di oltre 1 milione di dollari; come carne o medicina non più di 500 dollari.

Il whale-watching crea posti di lavoro mentre il bird-watching aumenta sia le vendite di binocoli e fotocamere vendite fotocamera e aiuta i livelli occupazione alberghiera. E nel 2012 per la prima volta il numero totale di viaggiatori internazionali ha superato la soglia del miliardo, facendo del turismo dei principali percettori di valuta estera a livello mondiale, soprattutto per molti paesi in via di sviluppo, tra cui i Sids.

Ma i rifiuti marini proiettano la loro ombra minacciosa e minacciano di interrompere il circolo virtuoso che altrimenti garantirebbe mezzi di sussistenza sostenibili e incentivi per la protezione della fauna selvatica.

Gli uccelli marini inavvertitamente nutrono i loro piccoli con la plastica che poi blocca l’intestino dei pulcini, impedendo loro di mangiare correttamente, il che li porta ad una morte lenta e dolorosa. La preda principale di alcune tartarughe marine sono le meduse, ma le tartarughe spesso scambiano i sacchetti di plastica per il loro cibo preferito con gli stessi risultati terribili. Per le specie più grandi come le balene, delfini e foche, gli attrezzi da pesca scartati – le reti fantasma – sono un problema, perché gli animali ci restano impigliati. Questo può ostacolare i movimenti e la capacità di cacciare degli animali, nonché causare lesioni gravi o addirittura la morte per annegamento.

Gli habitat delle isole remote sostengono una fauna ricca e variegata, spesso unica, tra cui specie endemiche, e forniscono siti “stop-over” di vitale importanza per gli uccelli marini migratori i migranti e nidificanti. Ma da molto tempo le colonie di uccelli sono vittime di un altro pericolo aggravato dagli esseri umani: quello posto dalle specie aliene invasive.

Il problema delle infestazioni di roditori è ben documentato. Topi e ratti sono fuggiti dalle navi scatenando il caos sulle popolazioni locali di uccelli che in precedenza nidificavano tranquillamente al suolo perché non c’erano predatori. I programmi di eradicazione hanno liberato con successo 400 isole dai loro roditori alieni.

Meno noto è il fenomeno del “rafting”, n con il quale gli invasori utilizzano anche i rifiuti i marini come vettore: nelle bottiglie di plastica si nasconde un assortimento potenzialmente devastante di vermi, larve di insetti, cirripedi e batteri, e le acque calde derivanti dai cambiamenti climatici aumentano la resilienza delle questi clandestini indesiderati che li rende un pericolo ancora più potente.

E’ una delle indicazioni sulla gestione degli animali contemplate dalla Convention on Migratory Species è che si colleghino diversi Paesi e addirittura continenti. Molte specie sono a rischio di estinzione e la loro conservazione, nonché le minacce che devono affrontare, richiedono misure coordinate a livello internazionale. Questo vale anche per i rifiuti marini, un singolare “specie migratrice” sgradita, la Cms farà il possibile per eliminare la loro continua presenza.

(Traduzione a cura di Greenreport.it)