L’amarezza di Riad potrebbe pesare sulla scelta del nucleare

NAZIONI UNITE, gen, 2014 (IPS) – L’ostinata opposizione dell’Arabia Saudita all’accordo nucleare provvisorio siglato con l’Iran ha sollevato un acceso dibattito sulle prospettive saudite di presenza militare in Medioriente.

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Come segnalato qualche tempo fa dal Wall Street Journal, c’è la possibilità che l’Arabia Saudita interpreti il consenso internazionale ad un qualsiasi programma nucleare iraniano come una spinta a “dotarsi di una propria capacità nucleare semplicemente acquistando armamenti”.

Ma acquistare da chi? Forse dal Pakistan, visto che l’Arabia Saudita ha finanziato parte del suo programma nucleare.

Questo sarebbe lo scenario peggiore, che potrebbe verificarsi in particolare se il rapporto politico e militare di lunga data tra Stati Uniti e Arabia Saudita continuasse a deteriorarsi.

Il primo segnale delle ambizioni nucleari siriane risale al 2011, quando il principe Turki al- Faisal, un ex ambasciatore saudita negli Stati Uniti, avvertì che le minacce nucleari rappresentate da Israele e Iran avrebbero potuto portare l’Arabia Saudita ad armarsi a sua volta.

Durante un dibattito sulla sicurezza a Riad, Turki al-Faisal ha affermato “ È nostro dovere nei confronti della nostra nazione e della nostra gente prendere in considerazione ogni alternativa possibile, compresa quella di entrare in possesso di queste armi”.

A decidere se la sua sia stata una vera minaccia o un bluff saranno anche le trattative in corso con l’Iran sull’eliminazione della dotazione di armi nucleari iraniana alla scadenza dell’accordo provvisorio di sei mesi.

Si tratta dell’accordo tra l’Iran e i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, ossia Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Russia e Cina, più la Germania (P5+1).

Hillel Schenker, coredattore del Palestine-Israel Journal con sede a Gerusalemme, che ha monitorato gli sviluppi nelle attività nucleari in Medioriente, ha riferito all’IPS che le critice dell’Arabia Saudita si basano anche sulla sua idea che l’accordo di Genova sia una pessima soluzione.

Eppure, se questo accordo dovesse rivelarsi un punto di partenza importante verso la firma di un altro accordo per impedire all’Iran di dotarsi di armi nucleari, allora Riad non riterrebbe necessario ottenere a sua volta armamenti nucleari, continua Schenker.

Inoltre, ha aggiunto, “così come Israele farà pressione affinché nell’accordo finale si affronti la questione dell’appoggio iraniano alla milizia libanese Hezbollah e alla Jihad islamica , allo stesso modo l’Arabia Saudita e gli stati del Golfo, a prevalenza sunnita, faranno pressione per ottenere garanzie dall’America sulla loro sicurezza, contro le ambizioni degli sciiti iraniani nella regione”.

Quando gli è stato chiesto se l’accordo potrebbe spingere gli altri stati mediorientali a sviluppare o acquisire armi nucleari, Shannon N. Kile, ricercatore a capo del Progetto per il controllo delle armi nucleari, disarmo e non- proliferazione dell’Istituto di Ricerca per la Pace di Stoccolma (SIPRI), ha risposto: “Penso che dipenda dalla forma che assumerà l’accordo di lungo termine”.

Il nuovo accordo dovrebbe essere concluso entro la scadenza dell’attuale patto provvisorio di sei mesi.

Al momento, afferma Kile, non è chiaro fino a che punto l’Iran intenda limitare o ridurre la sua delicata attività del ciclo del combustibile nucleare, in cambio di una riduzione delle sanzioni occidentali, o se gli Stati Uniti e i suoi alleati europei accetteranno di alleviare le sanzioni senza smantellare quasi tutte le infrastrutture nucleari iraniane.

Supponendo che si riesca a raggiungere un accordo con significative limitazioni tecniche al programma nucleare iraniano, controlli intensificati da parte dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (con particolare attenzione all’accesso dell’Iran al Protocollo Aggiuntivo) e quindi maggiori garanzie circa l’assenza di attività nucleari non dichiarate in Iran, tutto questo dovrebbe calmare i timori di Stati Uniti, Israele e Arabia, rendendo più difficile per l’Iran costruire un’arma nucleare, continua Kile.

In questo modo si potrebbero ridurre gli incentivi alla proliferazione nucleare e le pressioni in Medioriente, aggiunge.

Oltre al dibattito sull’Arabia Saudita, si è discusso anche delle ambizioni nucleari di un altro paese mediorientale, l’Egitto, in pieno tumulto politico.

Schenker ha detto all’IPS che anche se gli egiziani non sono contenti del possibile riavvicinamento dell’Iran con l’Occidente e si sentono in competizione con l’Iran per l’egemonia nella regione, al momento sono molto presi dai loro problemi nazionali.

“Se l’accordo finale dovesse sembrare ragionevole agli egiziani, non c’è nessuna probabilità che decidano di costruirsi un armamento nucleare”, sostiene.

In ogni caso, sia il deposto presidente egiziano Mohamed Morsi che il decaduto regime militare che lo ha succeduto, si sono detti interessati a ripristinare il dormiente programma egiziano di costruzione di un piano energetico nucleare, forse come contrappunto al programma energetico nucleare iraniano.

Inoltre, un solido accordo finale con gli iraniani servirebbe solo ad accrescere la determinazione degli egiziani a promuovere una zona libera da armi nucleari in Medioriente, e la volontà di mettere sul tavolo anche il programma nucleare israeliano, sottolinea.

“Credo che il pessimismo di Israele, Arabia Saudita e alcuni ambiti del Congresso statunitense verso il recente accordo tra Iran e i P5+1 sia comprensibile, vista la scarsa sincerità, e in alcuni casi la totale falsità, dell’Iran riguardo le sue passate attività nucleari”, riferisce KIle all’IPS.

L’accordo costituisce comunque un importante passo avanti nel portare l’interesse internazionale sul tema del programma nucleare iraniano e, come tale, dovrebbe essere accettato anche da chi è più scettico sulle intenzioni nucleari di Tehran.

L’accordo raggiunto a Ginevra impone vincoli tecnici e requisiti di verifica tali da impedire all’Iran di utilizzare le sue strutture nucleari per portare avanti la costruzione di un’arma in questo periodo.

Kile sostiene inoltre che l’accordo aumenterebbe i tempi che servirebbero all’Iran se decidesse di costruire un’arma in futuro.

“Sono risultati importanti, che non devono essere sottovalutati o ignorati”, conclude Kile.