La Primavera araba compie due anni: quali lezioni possiamo trarne?

WASHINGTON, gen 2013 (IPS) – Adesso che la Primavera araba entra nel terzo anno di vita, le nuove democrazie arabe e la comunità internazionale dovrebbero riflettere e trarre diverse lezioni fondamentali dai due anni passati.

Un manifesto a Tunisi dichiara che la rivoluzione deve continuare. Simba Russeau/IPS

Un manifesto a Tunisi dichiara che la rivoluzione deve continuare.
Simba Russeau/IPS

Imparare dal passato, per quanto recente, potrebbe aiutarci infatti a comprendere la traiettoria della politica araba e della stabilità regionale nella prossima fase. Alcune delle questioni cruciali sollevate nelle lezioni che seguono sono state messe in evidenza anche nel recente rapporto del Consiglio nazionale di intelligence statunitense “Tendenze globali 2030” (Global Trends 2030).

Lezione 1. Ci potrebbero volere almeno due o tre anni per riuscire a frenare le turbolenze regionali e la lotta per il potere innescate dal rovesciamento delle dittature. Washington e altre capitali occidentali dovrebbero rimanere fuori da queste discussioni e permettere ai nuovi centri di potere locali – islamici e laici – di studiare un percorso senza “consigli” dall’esterno.

I dibattiti interni per coprire il “vuoto di governo” dovrebbero essere presumibilmente intensi ma in sostanza pacifici. L’euforia seguita alla caduta vorticosa di Mubarak, considerato il terzo dittatore egiziano più longevo dopo Ramsete II, ha lasciato il posto a impazienza e frustrazione per la lentezza della transizione alla democrazia.

Gli accesi disaccordi in Egitto intorno alla bozza di costituzione da poco adottata, ad esempio, dovrebbero poter essere risolti attraverso le urne, non con le pallottole. Se gli Stati Uniti rimarranno fuori dalle discussioni interne, continueranno ad avere un ruolo chiave nella regione per molti anni a venire dal punto di vista economico, militare e politico.

Lezione 2. Per capire le società islamiche del Medio Oriente, complesse e diversificate, servono analisti politici e di intelligence esterni alla regione, con profonde competenze quanto alle dinamiche culturali, storiche, politiche e religiose delle società arabe.

Fare affidamento solo su dati quantificabili e modelli analitici occidentali porta spesso ad analisi inadeguate. L’incapacità di prevedere la Primavera araba due anni fa ne è un esempio.

Molti analisti politici occidentali non erano riusciti a quantificare le richieste di dignità, giustizia e rispetto che milioni di giovani arabi avevano inizialmente espresso nelle loro proteste contro i dittatori in Egitto, Tunisia, Yemen e Libia, e perciò le ignorarono, ritenendole niente più che un’iperbole della “piazza araba”.

Le stesse richieste sono al centro delle dimostrazioni di massa in Bahrain e altrove.

Lezione 3. L’emergere di politici islamici in Egitto, Tunisia, Libia, Yemen e in altri paesi sta alimentando un serio dibattito per capire se i partiti politici islamici sono moderati e se alla fine il pragmatismo politico avrà la meglio sull’ideologia religiosa. Gli arabi laici e liberali e difensori dei diritti civili sono legittimamente preoccupati della traiettoria futura dell’Islam politico e del governo in Egitto e in altre nazioni.

Il nuovo documento costituzionale egiziano sembra incorporare le due argomentazioni di entrambi le parti del divario tra religiosi e laici. Stabilisce la supremazia della legge islamica (o shari’a) nel governo, ma riconosce anche le libertà individuali fondamentali di parola e di riunione.

Il punto è se la legge islamica debba essere la fonte o una delle fonti della legislazione nel nuovo Egitto, e se l’esercizio delle libertà di parola e di riunione sarà soggetto a interpretazioni rigorose della legge islamica. I sostenitori dei diritti umani vorrebbero che queste libertà fossero sottratte al controllo dello stato.

Ma i Fratelli Musulmani hanno perso molto della loro legittimità come partito al potere perché non hanno concesso alle minoranze etniche e religiose pari accesso alle opportunità economiche e politiche. E devono anche riconoscere che la shari’a non può essere l’ideologia predominante in Egitto.

Più di un secolo fa, i luminari egiziani Jamal al-Din al-Afghani, Muhammad Abdu e Rashid Rida portarono in Egitto una ricca tradizione di pensiero ritenuto liberale e riformista. I Fratelli Musulmani e il loro presidente Muhammad Morsi non possono sperare di essere accettati come governo legittimo dell’Egitto se soffocano questa tradizione riformista, profondamente radicata.

Lezione 4. Se Washington rimane incurante delle violazioni dei diritti umani nei paesi arabi, inclusi quelli che sono stretti alleati degli Stati Uniti, la repressione autocratica proseguirà incontrollata. Dovremmo aspettarci perciò che la rabbia del popolo contro l’ipocrisia percepita e la doppia morale venga rivolta contro gli interessi e delle truppe americani nella regione.

La violenza imperversa in Siria, e mentre il mondo è concentrato sugli ultimi giorni di Assad, le violazioni dei diritti umani continuano in altre nazioni. La Primavera araba ha però portato a governi eletti democraticamente in quattro Paesi Arabi.

La Primavera araba è un processo tuttora in corso e richiede che la comunità internazionale resti vigile per evitare che i regimi agiscano illegalmente nei confronti di manifestanti pacifici.

Molti occidentali sono giustamente preoccupati del futuro del regime siriano del dopo-Assad e della crescente strage in Siria, ma il mondo non dovrebbe dimenticare le difficoltà delle comunità sciite in Bahrain, Arabia Saudita e negli altri stati del Golfo Persico.

I difensori dei diritti umani in tutta la regione stanno già accusando gli Stati Uniti di ipocrisia e doppia morale a causa della percepita muta risposta di Washington a quello che sta accadendo in Bahrain.

Lezione 5. Dato che la creazione di posti di lavoro e l’imprenditorialità saranno fondamentali per il successo della transizione democratica, i governi arabi dovranno adottare politiche economiche creative per promuovere la crescita economica. Non farlo ostacolerà la loro capacità di costruire economie moderne.

Devono essere approvate leggi commerciali e su incentivi ben focalizzati, nuovi investimenti e tasse con lo scopo di restringere il ruolo del governo nell’economia e di espandere il diritto di imprenditori individuali e di piccoli uomini d’affari, uomini e donne, di perseguire delle imprese economiche liberamente.

Come ho scritto altrove, il settore privato è il motore che alimenta la vitalità economica e la creazione di posti di lavoro. Se i nuovi governi sono in grado di sfruttare il potere delle persone riducendo al minimo i regolamenti e di promulgare leggi di mercato favorevoli, la vitalità economica potrebbe risultare possibile. Una popolazione che lavora è la spina dorsale di una società democratica.

Mentre le rivolte arabe continuano, queste cinque lezioni suggeriscono due punti fondamentali: primo, il paradigma autoritario viene a poco a poco sostituito da una nuova architettura politica guidata in qualche modo dal potere del popolo.

Secondo, sebbene gli Usa e altre potenze mondiali restino impegnate nel mondo arabo, e ci sia bisogno di loro per liberarsi dei dittatori, saranno le popolazioni locali a determinare il futuro dei loro paesi e il tipo di governo che vorranno.

*Emile Nakhleh è l'ex direttrice del Programma Analisi Strategica sul Medio Oriente e sull'Islam politico e autrice di “A Necessary Engagement: Reinventing America’s Relations with the Muslim World” (Un impegno necessario: reinventare le relazioni dell'America con il mondo musulmano)