EGITTO: Peggiora la situazione per le donne dopo la rivoluzione

IL CAIRO, nov 2012 (IPS) – Durante la rivolta che ha rovesciato il regime autoritario di Hosni Mubarak le donne hanno combattuto fianco a fianco con gli uomini in piazza Tahrir al Cairo, gridando a gran voce le istanze della rivoluzione: libertà, giustizia e dignità. Ma chi sperava che la rivoluzione avrebbe portato l’uguaglianza tra i sessi adesso teme che le cose siano addirittura peggiorate rispetto agli anni in cui il dittatore egiziano governava il paese.

Cam McGrath/IPS Cam McGrath/IPS

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“Dopo la rivoluzione, gran parte della società egiziana – e in particolare gli islamici – hanno iniziato a scagliarsi contro i diritti delle donne”, afferma Azza Kamel, una nota attivista per i diritti delle donne. “Hanno cominciato a negare i diritti che le donne avevano ottenuto combattendo, e adesso cercano di cambiare la legge sul divorzio e sulla custodia dei figli, fare pressioni per la mutilazione genitale femminile, e di ridurre l’età minima del matrimonio da 18 a nove anni”.

Secondo Kamel, con le dimissioni di Mubarak le donne sono state praticamente escluse dal governo e dai processi decisionali. Il “Comitato dei saggi”, un gruppo di consulenza ai lavori parlamentari formatosi durante la rivolta, comprendeva una sola donna su 30 membri. Nessuna donna è stata nominata governatore, né è stata ammessa nel Consiglio di Stato, e in tutti i governi del dopo-Mubarak la rappresentanza femminile è stata debole.

“Ci aspettavamo di più”, ammette Kamel, delusa. “Non ci può essere democrazia senza eguaglianza, eppure le donne vengono escluse ogni volta”.

Alle donne fu concesso il diritto di voto nel 1956, ma storicamente sono sottorappresentate nella vita politica egiziana. Le prime elezioni parlamentari libere hanno portato ad una nuova battuta d’arresto: le donne hanno vinto solo otto dei 508 seggi nell’ormai sciolta Camera bassa del parlamento, rispetto ai 60 ottenuti alle parlamentari del 2010, quando era stato introdotto un sistema di “quote rosa”.

I partiti politici formatisi dopo le dimissioni di Mubarak nel febbraio 2011 hanno accolto le donne al loro interno, ma sono sembrati restii a scommettere su di loro come candidate al momento delle elezioni. Le leggi elettorali prevedono che tutti i partiti abbiano almeno un candidato parlamentare donna, ma persino i partiti liberali hanno messo le donne in fondo alla lista dei candidati, riducendo le loro possibilità di successo.

Kamel accusa i movimenti politici, soprattutto i Fratelli Musulmani conservatori, di sostenere solo in apparenza le richieste per migliorare i diritti delle donne e la situazione politica, così da assicurare la loro partecipazione nelle manifestazioni pubbliche e alle urne.

“Tutti i partiti stanno usando le donne come leva politica”, ha affermato Kamel. “È sempre stato così in Egitto”.

Per molte un segnale infausto è stato quando il presidente Mohamed Morsi si è sottratto alla promessa di nominare un vicepresidente donna. L’ex capo dei Fratelli Musulmani si è circondato finora di consiglieri quasi esclusivamente uomini, e le uniche due donne presenti tra i 35 membri dell’esecutivo sono in carica dal governo precedente.

Ancora più preoccupante, secondo Kamel, è che l’assemblea costituente musulmana, formata in prevalenza da uomini e incaricata della prima stesura della nuova costituzione egiziana, potrebbe inserire delle limitazioni discriminatorie nei confronti delle donne nello statuto nazionale. Non solo le donne sono praticamente escluse dal processo di redazione, ma nell’assemblea sono tanti gli islamisti che cercano d’imporre valori religiosi conservatori a tutta la società egiziana.

Molti dei membri liberali e laici dell’assemblea costituente si sono dimessi in segno di protesta contro ciò che qualcuno ha definito come “una precisa volontà di elaborare una costituzione che sarà alla base di uno stato religioso, che conserverà i principi del vecchio regime e ignorerà i pilastri della rivoluzione egiziana, cioè libertà, dignità e giustizia sociale”.

Un punto particolarmente controverso è la formulazione dell’Articolo 68 nella prima stesura della costituzione, che stabilisce che le donne sono uguali agli uomini nella vita politica, economica e sociale, a patto che la parità non contraddica quanto disposto dalla Sharia (legge islamica). I gruppi in difesa dei diritti si sono opposti a questa ambigua impostazione religiosa.

Nehad Abu Komsan, direttore del Centro egiziano per i diritti delle donne (ECWR), spiega che in molti casi la Sharia è stata usata per rinforzare atteggiamenti negativi nei confronti delle donne e imporre restrizioni alla loro libertà. Associare i diritti delle donne a disposizioni non ben definite della legge islamica “apre la strada a interpretazioni radicali che possono essere usate contro le donne”.

“La Sharia può essere interpretata in molti modi diversi”, spiega Abu Komsan. “L’Arabia Saudita la considera un punto di riferimento (nella costituzione) e vieta alle donne di guidare l’auto, mentre il Pakistan la considera un punto di riferimento e ha avuto una donna al comando del paese”.

Sebbene il governo islamista egiziano non abbia del tutto ignorato le donne, i cambiamenti politici nel paese sono stati indirizzati verso una società più conservatrice e patriarcale. Un recente decreto ministeriale permette alle assistenti di volo della compagnia egiziana EgyptAir d’indossare l’hijab (velo islamico) per la prima volta, e nuove norme hanno esteso la possibilità alle presentatrici televisive.

“È positivo, perché indossare il velo è un diritto della persona”, dice Umm Gamal, una donna di servizio che indossa il velo lei stessa. “Ma ciò di cui abbiamo davvero bisogno è uno sforzo maggiore per proteggere il diritto delle donne ad una piena partecipazione alla vita sociale. Dovremmo essere il 50 per cento (in tutte le posizioni di governo), non soltanto una parte o una novità”. © IPS