CUBA: Nessun paese può farcela da solo contro il cambio climatico

L’AVANA, 28 maggio 2012 (IPS) – Negli ultimi anni, gli scienziati cubani che studiano i cambiamenti climatici hanno condiviso le loro ricerche ed esperienze con le altre isole caraibiche, utilizzando PRECIS, un modello climatico regionale creato per elaborare delle politiche di adattamento.

Jorge Luis Baños/IPS Jorge Luis Baños/IPS

Jorge Luis Baños/IPS
Jorge Luis Baños/IPS

Il PRECIS (Providing Regional Climates for Impacts Studies), sviluppato al Hadley Centre del Met Office, il servizio meteorologico nazionale britannico, è stato utilizzato per la prima volta nei Caraibi nel 2003, ha detto a IPS Abel Centella, direttore scientifico dell’Istituto meteorologico cubano.

Centella ha affermato che le previsioni scientifiche sono fondamentali per elaborare delle politiche di adattamento, ed ha aggiunto che nessun paese può intraprendere questa sfida da solo. Per questo è andato in Nicaragua per formare esperti locali nell’utilizzo di PRECIS.

D: In che cosa consiste questo sistema e qual è la sua importanza?

R: I modelli climatici sono il migliore strumento di cui dispone la scienza oggi per spiegare cosa accadrà al clima in futuro. In poche parole, un modello climatico tridimensionale è un programma che simula l’interazione fra atmosfera, oceani, superficie terrestre e ghiaccio.

D: Secondo lei, l’integrazione e gli scambi accademici tra Cuba e il resto dei Caraibi si sono rafforzati con la formazione degli esperti e l’uso regionale di questo modello climatico?

R: Fin dall’inizio abbiamo promosso l’utilizzo di PRECIS in tutta la regione, non soltanto a Cuba. Visto che già esistevano forti legami tra il Centro per i Cambiamenti Climatici della Comunità Caraibica (CCCCC) e la University of the West Indies, ci siamo trovati tutti d’accordo sul fatto che Cuba sarebbe stato il centro dei seminari di formazione per l’applicazione del modello climatico.

Gli esperti sono arrivati dai diversi paesi della regione e dall’America del Sud, come il Perù. Alcuni di loro poi hanno proseguito, altri no. Ma il punto di partenza è stato il CCCCC, creato da un accordo tra i capi di stato della comunità caraibica (CARICOM) per coordinare la risposta della regione ai cambiamenti climatici, il cui budget non viene finanziato dai governi, ma dipende dai vari progetti.

Cuba non appartiene al CCCCC perché non fa parte della CARICOM. Ma abbiamo un forte legame con l’organizzazione, che ci ha permesso di unirci e condividere le nostre esperienze, i risultati e persino le frustrazioni, quando qualcosa andava storto. In questo modo abbiamo fatto dei passi avanti.

D: Questa iniziativa può essere considerata l’inizio di un sistema di allerta?

R: In realtà no, perché un sistema d’allerta funziona su un arco di tempo più breve. Quello che stiamo facendo è produrre informazioni per favorire l’adozione di misure per ridurre l’impatto futuro e adattarsi al cambiamento climatico.

In altre parole, queste informazioni permetteranno ai governi di cominciare a muoversi subito, e mettere in atto scelte decisive per frenare o minimizzare l’impatto del cambiamento climatico. L’analisi di questi dati e le conclusioni che la scienza potrà trarne ci aiuteranno certamente ad agire nella giusta direzione.

D: Quali paesi dei Caraibi sono particolarmente vulnerabili al cambiamento climatico?

R: La vulnerabilità ha delle variabili che non sono di natura fisica, ma sociale ed economica, perché dipendono dal livello di sviluppo. Per esempio, il caso di Haiti è emblematico.

Anche le dimensioni sono un fattore importante. È improbabile che un singolo ciclone tropicale abbia un impatto sull’intero territorio di Cuba, mentre se sorvolasse le piccole isole potrebbe distruggere tutto. A volte una tempesta è più grande dell’isola stessa.

In termini di fattori fisici, abbiamo notato alcune differenze per quanto riguarda i modelli delle future precipitazioni. In alcune zone dei Caraibi, i modelli climatici indicano chiaramente che le precipitazioni diminuiranno – e ci sarà quindi un forte impatto sulle fonti idriche. Mentre in altre aree il modello climatico non indica che ci saranno conseguenze dello stesso tipo e della stessa gravità.

Nel caso di un aumento delle temperature, non ci sarà invece molta differenza tra le diverse aree: le temperature subiranno ovunque un rialzo significativo.

I risultati riscontrati indicano che prima della fine del ventunesimo secolo, quindi entro il 2080, la temperatura potrebbe raggiungere fino a quattro gradi in più e, secondo le stime, entro il 2050 potrebbe alzarsi di circa due gradi. E anche che, in un futuro non troppo lontano, nel 2020 o nel 2040, le temperature potrebbero aumentare di almeno uno o due gradi in questa regione.

D: Ricapitolando, quali sono le sfide maggiori affrontate dai paesi caraibici nell’ambito dell’adattamento al cambiamento climatico?

R: Credo che l’innalzamento del livello del mare sia la sfida più grande da affrontare, seguito dalla siccità.

D: Cosa suggerisce la comunità scientifica in questi casi?

R: Prima di tutto, di non aspettare; di cominciare a mobilitarsi subito. Penso che Cuba sia un esempio. Qui sono stati creati degli impianti e intensificati i processi di ricerca, che possono fornire informazioni per indicare in quale direzione stanno andando le cose e quello che può essere fatto. La cosa più importante è che ci ascoltino.

Un esempio recente è che il presidente, Raúl Castro, ha raccomandato di studiare i possibili scenari. Per esempio, cosa significherebbe per il paese se il livello del mare si alzasse di 50 centimetri o di un metro: cosa ne sarebbe delle risorse naturali delle aree costiere, delle spiagge, e degli insediamenti umani.

Un’altra preoccupazione sono le fonti idriche, cosa accadrebbe nelle aree costiere più importanti dal punto di vista socioeconomico? Perché sebbene ci siano molti insediamenti umani, non tutti hanno lo stesso peso. © IPS