PERÙ: La saggezza delle donne rurali contro i cambiamenti climatici

CUSCO, Perù, 22 novembre 2011 (IPS) – “Quest’anno le gelate hanno bruciato tutte le coltivazioni, i nostri poveri animali sono morti e non posso più dormire per la preoccupazione, pensando al cibo per la mia famiglia, perché sono vedova”, ha raccontato Rosaura Huatay, una coltivatrice indigena dell’altopiano delle Ande settentrionali peruviane.

Mariela Jara /IPS Mariela Jara /IPS

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Lei e altre quattro contadine di diverse regioni del Perù hanno raccontato la loro esperienza durante il Raduno pubblico Donne rurali contro i cambiamenti climatici, tenutosi alcuni giorni fa a Cusco, 1.105 km a sud-est di Lima.

Il forum era stato organizzato dal Centro per i diritti umani delle donne Flora Tristán, nell’ambito dell’iniziativa dei Tribunali per le donne e il cambio climatico (Gender and Climate Justice Tribunals), promossa dalla Feminist Task Force e dall’Appello Globale all’Azione contro la Povertà (GCAP, nell’acronimo inglese) in 15 paesi in via di sviluppo del Sud.

L’obiettivo, raccogliere le testimonianze e le proposte delle donne rurali per poi convogliarle alla XVII Conferenza delle Parti della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC) che inizierà il 28 a Durban, Sudafrica.

Circa 200 persone, tra cui autorità, produttrici agricole e rappresentanti delle istituzioni della società civile, hanno ascoltato con partecipazione le voci delle donne in una sala del municipio nel dipartimento sud-andino di Cusco.

Oltre a Huatay, abitante di una frazione del dipartimento settentrionale di Cajamarca, hanno raccontato la loro esperienza anche Sonilda Atencio, del dipartimento alto-andino e sudorientale di Puno, María Ibárcena del sud-andino Arequipa, Bertha Berecho, del nord costiero Piura, e Hilara Yanque, di Cusco.

Le cinque donne, di cui tre indigene, hanno denunciato l’impatto dei cambiamenti climatici sulla loro vita, l’economia, le relazioni familiari e la salute fisica e mentale. Incarnano la povertà e l’abbandono in cui si trovano migliaia di famiglie peruviane in un paese la cui economia presenta un alto e sostenuto indice di crescita economica, ma dove il 40 per cento della popolazione, di 29 milioni di abitanti, vive in uno stato di povertà estrema.

Le persone più svantaggiate si concentrano nelle zone rurali, dove il 70 per cento della popolazione vive in povertà e ha come attività principale l’agricoltura. Questo settore riceve meno dell’uno per cento del bilancio statale, anche se fornisce 7 delle 10 tonnellate di alimenti che si consumano nel paese.

“Nella mia comunità le donne indossano ancora le polleras (gonne tradizionali), non usiamo scarpe, ma le ojotas (sandali di gomma), cuciniamo sul fuoco (con la legna) e dormiamo per terra su pelli di animali”, ha raccontato a IPS Atencio, 35 anni e con 3 figli.

“Sin da piccole ci dedichiamo ai lavori domestici, all’agricoltura e a portare gli animali al pascolo”, ha spiegato.

Nella sua comunità Pacha Ccaccapi, a 3.810 metri sopra il livello del mare, le gelate sono frequenti. Ma negli ultimi decenni sono diventate più feroci a causa dei cambiamenti climatici.

La temperatura raggiunge i 33 gradi sotto lo zero, compromettendo la semina e i pascoli di cui si nutrono gli animali, che finiscono per morire di fame.

“Noi lavoriamo duramente nei campi, ma basta una notte di freddo intenso e il giorno dopo vediamo solo cespugli secchi. Pensiamo che la pachamama (la madre terra) si sta ribellando perché stiamo distruggendo la natura, l’equilibro si è spezzato e dobbiamo rimediare”, ha affermato Atencio.

Le loro storia non è molto diversa da quella delle altre testimoni, anche se ognuna proviene da regioni molto diverse, in uno dei paesi più ricchi di biodiversità del mondo. Il Perù è anche estremamente sensibile all’impatto dei cambiamenti climatici, un fenomeno globale causato dalle azioni dei paesi industrializzati, come sottolineato nell’incontro.

Anche se la variabilità e i repentini cambiamenti del clima colpiscono l’intera popolazione, sono le donne povere e che vivono nelle aree rurali i soggetti più esposti a rischi e minacce per la vulnerabilità dei loro diritti economici, sociali e culturali.

Ibárcena non ha potuto raccogliere niente della frutta e dei fiori seminati quest’anno, perché sono stati distrutti dalle gelate, e la preoccupazione per i debiti contratti con la banca le ha causato inquietudine e depressione.

Huatay ha perso il raccolto di patate, mais e fagioli a causa della siccità, e i suoi figli sono stati costretti ad emigrare in altre zone del paese per lavorare, mentre lei si occupa dei nipoti. Un sovraccarico di lavoro e preoccupazione costante, ha raccontato a IPS.

Yanque è angosciata dall’incertezza per il futuro, da quando l’esondazione del fiume Lucre ha spazzato via la sua casa e tutto ciò che possedeva. Anche Berecho non riesce a riprendersi dalla perdita del raccolto causata dall’inondazione per le continue piogge torrenziali.

Durante gli interventi, le voci delle donne erano a tratti rotte dall’emozione, ma quando si è parlato di proposte, è emersa tutta la loro forza nell’affrontare l’ingiustizia climatica che ha condizionato la loro vita.

Hanno mostrato una straordinaria capacità di resistenza, anche se per loro adesso tutto sembra andare storto, e non possono più contare sulle loro conoscenze ancestrali, di fronte all’inasprimento del cambio climatico. Ad esempio, le stagioni che permettevano di definire i cicli dell’agricoltura e dell’acqua non sono più prevedibili.

“Non vogliamo che ci regalino denaro, chiediamo sostegno per farcela con i nostri mezzi e capacità, che la nostra zona venga rimboscata per creare microclimi per far fronte alle gelate, che si tuteli la biodiversità e si promuova la produzione biologica”, ha suggerito Atencio.

Blanca Fernández, coordinatrice del Programma di sviluppo rurale del Centro Flora Tristán, ha dichiarato a IPS che lo stato non ha fatto molto contro i cambiamenti climatici. Esistono delle iniziative in alcune regioni, ma manca una politica nazionale, tanto meno con un approccio sul genere, ha sottolineato.

“Il governo si è impegnato a dedicare speciale attenzione ai cambiamenti climatici e allo sviluppo sostenibile in tutte le sue politiche di sviluppo. Noi come società civile vigileremo affinché vengano incluse anche le donne e le loro organizzazioni”, ha spiegato.

Tania Villafuerte, funzionaria regionale di Cusco, ha ammesso che lo stato è ancora “cieco, sordo e muto” sul fenomeno e che deve affrontare la sfida di “riportare a terra politiche eteree che si occupino davvero della vita della gente”.

“Il fenomeno non colpisce tutti allo stesso modo”, ha commentato. “Le donne devono essere protagoniste del processo di salvaguardia delle risorse naturali, perché hanno le conoscenze ancestrali che hanno permesso la cura e tutela della biodiversità, come nel caso delle sementi native”, ha affermato.

Tra le proposte presentate dalle cinque donne, formazione per le produttrici agricole per un efficiente utilizzo dell’acqua, miglioramento del terreno e produzione biologica, oltre all’istituzione di assicurazioni agricole che le tutelino.

Hanno anche suggerito l’imboschimento delle zone alto andine per favorire la generazione di microclimi che attenuino le gelate, e politiche sostenibili per promuovere la tutela della biodiversità.

Rosa Montalvo ha commentato le testimonianze definendo le proposte realizzabili, se si stabiliranno politiche di genere messe in bilancio e “distinguendo il diverso impatto dei cambiamenti climatici su uomini e donne”.

Devono poi essere “riconosciuti i saperi ancestrali delle produttrici e rafforzati con le tecnologie moderne, garantire il rispetto delle leggi e le pari opportunità a tutti i livelli dello stato”, ha concluso l’esperta. © IPS