GIORNALISMO: Redazioni sempre meno indipendenti

LISBONA, 28 ottobre 2011 (IPS) – L’aumento della libertà d’impresa dei media e dell’autoritarismo statale è stato accompagnato da una riduzione dell’indipendenza dei giornalisti, una realtà denunciata nei forum internazionali dai quali si levano molte voci critiche.

Katalin Muharay/IPS Katalin Muharay/IPS

Katalin Muharay/IPS
Katalin Muharay/IPS

Per esempio l’allarme lanciato dall’Alleanza Internazionale di Giornalisti (AIG) che difende la responsabilità dei media nei confronti della società e l’indipendenza editoriale di fronte agli stati e ai proprietari delle imprese di comunicazione sociale.

Fondata nel 2004, la AIG opera attraverso centri regionali indipendenti con l’obiettivo di promuovere idee e proposte per l’esercizio della professione, l’etica professionale, la qualità dell’informazione, la regolamentazione e il pluralismo dei media.

Tra i principali responsabili, l’italiano Giovanni Melogli, che lo scorso fine settimana ha partecipato alla conferenza “Il futuro della libertà – diritti civili nel ventunesimo secolo”, organizzata a Lisbona dai deputati indipendenti del Parlamento Europeo. Ha preso parte al forum anche il giornalista tedesco Daniel Domscheit-Berg, ex portavoce di Wikileaks.

Nell’intervista rilasciata a IPS, Melogli ha sottolineato che una delle principali finalità della Alleanza, aperta ai professionisti dell’informazione e al loro pubblico, è presentare proposte concrete per un giornalismo più responsabile, etico e di qualità.

Melogli è anche membro di Alternative Europee, un’organizzazione della società civile che promuove politiche e culture transnazionali, perché, dichiara, “le sfide attuali della partecipazione democratica e l’uguaglianza dell’innovazione sociale e culturale non possono essere comprese né affrontate in modo efficace solo a livello nazionale”.

<b<IPS: I giornalisti hanno piena libertà di informazione o sono soggetti alla volontà dei proprietari dei mezzi di comunicazione?

GIOVANNI MELOGLI: Vedo manifestarsi due tendenze pericolose per un’informazione libera e di qualità. Da una parte il problema della mancanza in molti stati di editori puri; dall’altra, editori puri tiranneggiati dall’esigenza di vendere e di fare audience. Ci troviamo spesso confrontati con società dagli interessi molteplici che difendono e promuovono questi interessi proprio grazie ai media di loro proprietà.

È la vittoria dell’“infotainment” (informazione-intrattenimento) sull’informazione pura, con la rivoluzione dell’informazione via web, che ha messo in ginocchio il modello economico di molte agenzie di stampa, una domanda d’”informazione” che richiede un supporto audiovisivo, e che quindi privilegia l’emotività rispetto alla razionalità.

Ci troviamo di fronte a un analfabetismo di ritorno, che in molti paesi raggiunge cifre allarmanti. In Italia, il 60% della popolazione ha difficoltà a scrivere e a metabolizzare concetti complessi. Tutti questi fattori minano alle fondamenta proprio il concetto di libertà di informazione.

In alcuni casi, questo si manifesta in maniera molto più sottile dell’editore tiranno che impone la sua agenda del giorno, per la necessità di adeguarsi ai gusti di un pubblico che non vuole più un’informazione di qualità perché non sa che farsene.

Su questa teoria è stato scritto un bellissimo libro, “Divertirsi da morire”, dello statunitense Neil Postman.

D: E questo viene rafforzato dalla precarietà del lavoro giornalistico…

GM: È un circolo vizioso. L’abbassamento medio della qualità dell’informazione fa sì che anche gli stessi professionisti dell’informazione, ossia i giornalisti, abbiano bisogno di meno informazione e si investe meno su di loro. Per produrre flash di agenzia o infotainment, non servono giornalisti con almeno 10 anni d’esperienza su un tema specifico, ti basta un’apprendista. Ormai il lavoro di questo tipo di giornalista è scrivere pseudo notizie, non quello di cercare di approfondirle. Da qui nasce il precariato e i contratti di collaborazione con vincoli di quantità, che non permettono al “giornalista” nessun tipo di approfondimento e, in alcuni casi, molto più grave, di verificare l’informazione.

In questa situazione assistiamo anche ad una atomizzazione all’interno delle redazioni, con difficoltà di creare comitati di redazione che abbiano la forza di opporsi, se necessario, ai dettami del direttore.

In Italia ormai i giornalisti precari hanno superato quelli con un contratto a tempo indeterminato.

D: In altre parole, la vera libertà di stampa può esistere solo se si trova una formula per isolare il proprietario del mezzo di comunicazione dalla redazione…

GM: Come evidenziato fin qui il problema è ben più complesso. Certamente alla base di tutto rimane la necessaria indipendenza della redazione, dall’editore e, nel caso del servizio pubblico, dal potere pubblico. Ci dobbiamo però anche confrontare con linee editoriali imposte dall’editore, a cui non si può dire di no perché altrimenti la minaccia è la chiusura della testata.

D: Le regole che deve rispettare un’iniziativa privata ad impatto sociale, nella maggior parte dei paesi sono molto rigide. Un ospedale privato deve rispettare determinate norme di professionalità, salute e igiene. È lo stesso per il giornalismo?

GM: Purtroppo l’informazione viene sempre più considerata come un mero prodotto commerciale, e questo porta ad accantonare i principi deontologici per sottostare alle semplici esigenze del mercato, con la possibilità di rischiose concentrazioni mediatiche.

L’errore di fondo è perdere di vista il concetto di informazione come bene comune e come pilastro della tenuta democratica delle nostre società. Se poi ci si mette anche il potere politico a voler manipolare l’informazione per i propri fini, allora la frittata è fatta.

D: In Italia, il premier Silvio Berlusconi è il principale imprenditore della stampa e, in Ungheria, il capo del governo conservatore, Viktor Orbán, è stato denunciato al Parlamento Europeo per gravi violazioni alla libertà di stampa. Due casi diversi, ma ugualmente preoccupanti?

GM:L’ Italia convive dal 1994 con un conflitto di interessi unico al mondo per i paesi ritenuti democratici, e questo ha certamente influito pesantemente sulla sua decadenza politica, economica e sociale.

I recenti eventi ungheresi sembrano invece ancora più gravi. Fino ad oggi, gli epurati nella radio e TV di stato sono 525, molti tra i migliori giornalisti del paese. Si prevedono altri 450 licenziamenti entro la fine dell’anno, così da eliminare un terzo dei giornalisti ungheresi. In questo paese un’unica redazione centrale, in mano a giornalisti fedeli al governo, distribuisce le notizie a tutti i media pubblici.

La cosa più incredibile è che tutto questo stia succedendo in stati membri dell’Unione Europea, di cui vengono violati spudoratamente principi e valori, senza che questo porti a sanzioni o all’espulsione dall’Unione del paese colpevole di tali violazioni. © IPS