Media, chiamata alle armi nella ‘guerra verde’

CUNEO, 24 ottobre 2011 (IPS) – Con una “chiamata alle armi”, dalla città di Cuneo gli ambientalisti esortano i media internazionali a divulgare idee e soluzioni per ridurre le emissioni di carbonio, porre fine all’accaparramento delle terre da parte dei paesi ricchi e contenere le ondate di rifugiati ambientali.

“(Il danno ambientale) è una crisi lenta e continua che può mettere in ginocchio la civiltà, a meno che la popolazione non sia più consapevole e meglio informata sui rischi che abbiamo davanti”, afferma William Rees, professore presso la British Columbia University in Canada e ideatore del concetto di “impronta ecologica”.

Rees è uno dei 15 relatori, tra ambientalisti, sociologi ed economisti di spicco, intervenuti alla conferenza “Media, Democrazia e Sostenibilità” (19-22 ottobre) organizzata a Cuneo dall’associazione internazionale Greenaccord.

Il portavoce dell’associazione, che ha sede a Roma, ha dichiarato a IPS che l’obiettivo era riunire giornalisti e ambientalisti per discutere “di strumenti e metodi per porre i cittadini al centro delle scelte contro la crisi globale”.

Rivolgendosi ai circa 100 giornalisti presenti, Rees ha affermato che la “biocapacità” del pianeta si sta riducendo proprio mentre “l’impatto dell’uomo sull’ambiente cresce progressivamente”.

Ha poi sottolineato che questa situazione non può continuare. “Dobbiamo fare una scelta, ma l’impegno della popolazione non è sufficiente, si conosce troppo poco il problema per poterne capire la gravità”, sostiene. “È qui che entra in gioco il giornalismo divulgativo”.

Gli ecologisti hanno dipinto un quadro a tinte fosche dei danni provocati all’ambiente dalle esplorazioni di petrolio, dalle grandi estensioni di monocolture e dalle emissioni di carbonio (con un innalzamento del livello del mare in alcune zone).

“Al momento non sembra esistere la prospettiva di un meccanismo governativo internazionale realmente efficace nel ridurre drasticamente le emissioni di carbonio”, afferma Robert Engelman, direttore esecutivo del Worldwatch Institute, negli Stati Uniti.

“Come americano, parlare qui in Italia del fallimento dei governi internazionali nella riduzione delle emissioni potrebbe sembrare un po’ ipocrita, visto che noi non abbiamo neanche firmato il protocollo (di Kyoto), mentre l’Italia lo ha sottoscritto, e questo ha fatto la differenza, anche se non quanto sarebbe servito”, ha dichiarato Engelman ai giornalisti.

Molti ambientalisti – ha proseguito – sono rimasti delusi dalle azioni intraprese dal governo statunitense, che vanta un record “imbarazzante” nella gestione delle questioni globali legate all’ambiente.

“Il nostro presidente ha vinto le elezioni convincendo i cittadini che si sarebbe impegnato seriamente nella lotta ai cambiamenti climatici, ma a dire il vero non ha prodotto i risultati che la maggior parte degli ambientalisti si aspettava di vedere”, ha detto Engelman.

Engelman e altri partecipanti alla conferenza hanno proposto misure radicali per migliorare la vita delle popolazioni colpite dai cambiamenti climatici, oltre che dalla crisi economica globale.

“Il capitalismo non riesce a impedire che milioni di persone muoiano di fame”, ha affermato Euclide Mance, filosofo brasiliano e fondatore del Forum Sociale Mondiale – l’alternativa della società civile al Forum Economico Mondiale che si riunisce annualmente a Davos, in Svizzera.

Mance ha detto a IPS che una delle soluzioni è “l’economia solidale”, che garantisce pari diritti sui benefici derivanti dall’attività economica, senza alcuna distinzione tra “capi e impiegati”.

I giornalisti, a suo parere, devono conoscere il modello delle relazioni “orizzontali”, in cui tutti partecipano ai processi decisionali e all’autogestione per “il bene della comunità”.

“La collettività deve essere informata per poter prendere le giuste decisioni, e i giornalisti possono dare le informazioni, oltre a fornire un’interpretazione intellettuale per mobilitare le persone”, ha aggiunto Mance. “I media devono avere un’etica nel loro lavoro per contribuire ad estendere la libertà”.

“È importante per il bene dell’umanità”, ha dichiarato a IPS, dopo un acceso discorso sul fatto che mentre milioni di persone soffrono la fame nel mondo la comunità internazionale pensa solo ai propri interessi.

Dal canto loro, i giornalisti hanno discusso delle sfide che devono affrontare per parlare delle questioni legate all’ambiente e ai diritti umani: limitazioni che vanno dalla mancanza di finanziamenti, al subire intimidazioni, fino ai danni fisici.

Un giornalista filippino ha raccontato che la sua trasmissione serale sulle tematiche ambientali è stata sospesa perché, secondo il governo, i fondi per il programma potevano essere impiegati altrove. Un giornalista etiope ha parlato della dura repressione del suo governo contro chi aveva osato opporsi alla linea politica ufficiale sull’ambiente.

I giornalisti indiani hanno criticato l’accaparramento di terre in Africa da parte del loro governo: un problema crescente per cui le terre vengono affittate o vendute ad un altro paese, spesso provocando lo sfollamento delle popolazioni locali.

Il più delle volte, hanno spiegato, chi lavora nel giornalismo alternativo non ha i mezzi per informare in modo adeguato su questi temi.

Da parte loro, i media ufficiali hanno un’idea un po’ confusa degli attivisti, che “non cercano di muoversi sulle tradizionali leve del potere”, come riferito dall’associazione di monitoraggio della stampa Fairness & Accuracy in Reporting (FAIR).

FAIR sostiene che i media tradizionali hanno “da sempre la tendenza a emarginare o sminuire i movimenti di protesta progressisti”; la loro sopravvivenza dipende dalla pubblicità e dai profitti e preferiscono non agitare troppo le acque.

Per Engelman, del Worldwatch Institute, i giornalisti hanno invece la responsabilità di analizzare i problemi e proporre idee concrete, in modo che le persone si sentano incoraggiate dal fatto di intravvedere soluzioni possibili.

“Abbiamo innescato la miccia che potrebbe dare fuoco al pianeta, e nonostante gli avvertimenti sul clima del 98 per cento della comunità scientifica, stiamo facendo pochissimi passi avanti per porvi rimedio”, afferma. “La situazione ha ormai raggiunto livelli allarmanti”. © IPS