SRI LANKA: A due anni dalla guerra, ancora il bavaglio sui media

COLOMBO, 3 maggio 2011 (IPS) – Due anni dopo la fine del ventennio di guerra in Sri Lanka, la vita è tornata lentamente alla normalità. Non si può dire lo stesso per l’assediata comunità dei media del paese che, secondo osservatori e giornalisti, è ancora imbavagliata.

Un giornalista accende una candela sulla tomba di un collega assassinato del Lasantha Wickrematunge. Amantha Perera/IPS

Un giornalista accende una candela sulla tomba di un collega assassinato del Lasantha Wickrematunge.
Amantha Perera/IPS

“Non dimenticate che questa è una nazione ferita al cuore, e i media rispecchiano questo sentimento. La guarigione è lontana”, dice Sunil Jayasekara, presidente del Media Free Movement (FMM), primo gruppo del paese che si batte per i diritti dei media.

Jayasekara spiega che la guerra ha raggiunto il suo apice alla fine del 2008, e per i media è stato molto difficile testimoniarla con obiettività.

“I media sono diventati parte di un’operazione militare, nessuno era in grado di riferire con obiettività, ricevevano pressioni da tutte le parti”. E questo non ha aiutato, sostiene Jayasekara.

Il Comitato per la Protezione dei Giornalisti (CPJ) ha stilato un elenco dei 24 giornalisti dello Sri Lanka uccisi dal 2006.

Uno dei più spaventosi esempi di intimidazione è l'omicidio del redattore del Lasantha Wickrematunge, nel gennaio 2009, che rimane ancora un mistero.

La scorsa settimana, il sito dell'opposizione lankaenews.com è stato temporaneamente oscurato e gli è stata intentata una causa per oltraggio.

“Tutto questo ha intimorito e scoraggiato ogni azione della comunità dei giornalisti”, riferisce Jayasekara, e questo clima di paura impedisce di svolgere il lavoro in maniera indipendente.

La coercizione si manifesta anche sotto forma di licenze governative, soprattutto per i mezzi di comunicazione digitali e attraverso la rendita pubblicitaria, continua Jayasekara. Funzionari di alto livello e proprietari dei mezzi di comunicazione sono inoltre stati cooptati dai partiti politici – riducendo ulteriormente la propria indipendenza.

“Il risultato è un settore profondamente segnato”, sostiene Jayasekara.

Secondo altri osservatori dei media, la situazione è aggravata dal fatto che giornalisti di talento e di grande esperienza hanno dovuto lasciare il paese.

Namini Wijedasa, considerata dai colleghi “Migliore giornalista dell'anno” e premiata con il Journalism Awards 2010 coordinato da organismi del settore tra cui Editors’ Guild dello Sri Lanka, si dice sbalordita del forte calo qualitativo.

“La dedizione al vero giornalismo è in calo. È stata sostituita da un’etica del lavoro volta a produrre quanto più materiale possibile”.

Wijedasa riferisce che i giornalisti hanno combattuto troppe battaglie su troppi fronti e che non hanno la possibilità di garantire il rispetto degli standard professionali. “Oggi i media qui non hanno né le risorse né la volontà di trattare storie di rilievo su questioni come la povertà, il gender, la governance e la corruzione”.

“Bisogna allontanarsi dalla mentalità di produrre quanto più materiale possibile, e capire che ciò che si fa influenza la società in cui si vive”.

Sanjay Senanayake, docente di comunicazione, ha cercato di sollevare questi temi con le case editrici in diverse occasioni. Senanayake riferisce che le redazioni e le direzioni non hanno mostrato alcun interesse a migliorare gli standard.

“Non so dov'è il vero problema, ma sicuramente manca la volontà di assicurare che ciò che facciamo, lo facciamo bene, nonostante le condizioni difficili”, dice Senanayake.

Jayasekara, Wijedasa e Senanayake concordano nel riconoscere che la paura e il calo degli standard professionali hanno creato un circolo vizioso che corrode la fiducia del pubblico nei media.

“Come è possibile mettere in dubbio la responsabilità del governo se non ci assumiamo noi stessi le nostre responsabilità?”, lamenta Senanayake.

Per Jayasekara, il problema è più profondo del semplice calo di qualità. I media dovrebbero cominciare ad alzare la voce come una forza indipendente. Uno scenario simile si è verificato alla fine del 1980 – quando la pressione del governo sui media è stata particolarmente forte, e ha portato alla formazione di organizzazioni come FMM. “Finora non abbiamo visto movimenti di questo tipo, è per questo che avvertiamo molto la pressione”.

Secondo Senanayake l'unica speranza è nei media che non si concentrano nella capitale Colombo. Segnala due stazioni radio regionali, Uva e Kotamale, dove i giornalisti hanno guadagnato la fiducia della comunità lavorando su storie importanti a livello locale. “Quando le persone si rendono conto che queste storie possono essere utili a un cambiamento, guardano i media in modo diverso”.

“Quando la gente ha fiducia nei mezzi di comunicazione è più difficile mettere un bavaglio”, sostiene Jayasekara.

Ma è chiaro che rompere con le pressioni politiche è fondamentale. “Dobbiamo uscire da questa fase di stallo, e l'unico modo è che i media resistano a queste pressioni”.© IPS