Myanmar: L’economia in vista delle elezioni parlamentari di novembre

Equilibri.net, 13 settembre 2010 (Equilibri) (IPS) – Il 7 novembre prossimo si terranno le elezioni parlamentari birmane. Queste elezioni dovrebbero condurre al primo Governo civile dopo mezzo secolo di governo militare. Molto probabilmente i generali birmani tenteranno di gestire le votazioni in modo tale da conservare il potere e realizzare una mera democratizzazione di facciata. In ogni caso queste votazioni costituiranno un indicatore della possibilità del nuovo Esecutivo di condurre il Paese ad una relativa stabilità e di trarre da questa i conseguenti vantaggi in termini economici.

La situazione interna prima delle elezioni

Le ultime elezioni libere in Myanmar (ex Birmania) avvennero nel 1990 e furono vinte da Aung San Suu Kyi e dal suo partito, la Lega Nazionale per la Democrazia (NLD); la giunta militare al potere, però, negò al partito la guida del Paese, imprigionando molti esponenti del partito, e ponendo agli arresti domiciliari la loro leader.

Le elezioni si terranno il 7 novembre prossimo e al momento vi sono circa 40 partiti iscritti alle liste elettorali. Una dozzina di essi graviterebbero intorno all'orbita della giunta militare. Fra i quali vi è l’Usda, il potente partito capeggiato da Thein Sein, il Primo Ministro del Governo militare. Inoltre, sia in ragione della nuova Costituzione emanata nel 2008, sia per via della legge elettorale e di alcune clausole ad essa aggiunte, la giunta si è assicurata il 25% dei seggi in parlamento, ed ha impedito ad Aung San Suu Kyi – i cui arresti domiciliari dovrebbero terminare il 13 novembre, una settimana dopo le elezioni – e a più di duemila prigionieri politici di partecipare alle prossime elezioni.

I Governi statunitense e britannico, nonché alcune associazioni per i diritti umani, hanno dichiarato che considereranno le elezioni illegittime se non sarà consentita la partecipazione ad Aung San Suu Kyi e alle migliaia di oppositori politici imprigionati. Anche l'Unione Europea ha affermato che non considererà le elezioni legittime se il governo non modificherà il processo elettorale, già in precedenza giudicato come un ostacolo per elezioni libere ed eque. In Italia è partita una campagna contro le elezioni birmane promossa dalle organizzazioni democratiche birmane e appoggiata dal Segretario Generale della CISL Raffaele Bonanni, primo firmatario dell'appello, rivolto al Governo italiano e all'Unione Europea, che condanna duramente “la giunta militare birmana, la Costituzione farsa e le inaccettabili leggi elettorali”, le quali confermano la “totale non credibilità delle prossime elezioni”.

L'NLD si è dissolto in seguito alla decisione di non registrarsi nelle liste elettorali; la Forza Democratica Nazionale (NDF) una formazione proveniente dalla NLD, ma ormai avversata dai componenti di quest'ultimo, ha deciso ugualmente di partecipare alle elezioni, ma difficilmente otterrà un largo consenso. Il governo ha, inoltre, pubblicato dei regolamenti elettorali stringenti, i quali prevedono, ad esempio, che i candidati intenzionati ad intraprendere una campagna elettorale debbano farne richiesta alla Commissione Elettorale almeno una settimana prima, oppure proibiscono di esporre bandiere o slogan in corteo, o ancora di effettuare discorsi capaci di offendere l'immagine dei militari.

La società birmana è caratterizzata da forti divisioni e conflitti interni. A partire dall'aprile dello scorso anno, lo State Peace and Development Council (SPDC), nome ufficiale del Governo birmano, ha tentato di aumentare la stabilità ai confini proponendo ai gruppi ribelli di abbandonare le loro aspirazioni autonomiste e di trasformarsi in Forze di Guardia di Confine. Alcuni gruppi hanno aderito all'iniziativa, altri invece, come l'Esercito per l'Indipendenza Kachin e la milizia ribelle Wa, hanno opposto resistenza.

Le elezioni saranno anche un modo per verificare la capacità della giunta di comporre i dissidi interni. É chiaro infatti che ciò che può impensierire la giunta militare è un'alleanza tra gli oppositori del regime e le diverse minoranze religiose ed etniche del Paese, con la possibilità di fare fronte comune contro di essa. Un punto da considerare è che in fondo gli oppositori del regime non hanno alcuna garanzia che il governo non intervenga in estrema ratio ad annullare il risultato delle elezioni, così come avvenuto in occasione delle elezioni del 1990.

Le prospettive economiche del Paese

Reperire dati di natura economica riguardanti l'economia birmana non è agevole, sia perché le autorità birmane non procedono alla registrazione di alcuni movimenti di denaro sia perché molto spesso questi ultimi effettivamente sfuggono al controllo governativo, essendo il frutto di scambi informali e traffici illeciti. Di conseguenza i dati e le statistiche disponibili sono difficili da reperire e sovente discordanti tra loro. Alcuni dati (CIA World Factbook) stimano il PIL nel 2009 a circa 26,83 miliardi di dollari, 56,92 se valutato in parità di potere d'acquisto (ppp), con un tasso di crescita dell'1,8 %; secondo la stessa fonte, il PIL pro-capite sarebbe rimasto costante negli ultimi tre anni fermandosi a quota 1,100 dollari. Dati forniti dall'Organizzazione Mondiale del Commercio riportano, invece, un PIL nel 2007 di 19,618 miliardi di dollari, e un PIL in parità di potere d'acquisto di 63,854 miliardi di dollari.

Secondo stime dell'Asian Development Bank (Asian Development Outlook – Myanmar) l'economia del Paese sarebbe cresciuta, nell'anno fiscale 2009 (conclusosi nel marzo 2010) del 4,4 % , e dovrebbe continuare a crescere nei prossimi due anni, con un 5,2 % nel 2010 e 5,5 % nel 2010. Anche l'inflazione però potrebbe salire (prevista del 8,5 % nel 2010 e del 9 % nel 2011), in relazione all'aumento internazionale del prezzo del petrolio e di generi alimentari, nonché per l'aumento della domanda interna. Per quanto riguarda le relazioni commerciali ed i principali partner economici, alcuni dati (CIA World Factbook) stimano per il 2009 una bilancia delle partite correnti in attivo, a circa 739 milioni di dollari.

I principali Paesi d'esportazione sono la Thailandia, che assorbe il 46,57 % delle esportazioni, l'India (12,99%), la Cina (9 %) e il Giappone (5,65%). Sul versante delle importazioni invece la Cina è al primo posto (33,1 %), seguita da Thailandia (26,28 %) e Singapore (15,18 %). Questi dati confermano una tendenza degli ultimi anni che vede sul versante delle importazioni avanzare la Cina a scapito di Paesi come Giappone e Singapore – quest'ultimo in precedenza il principale esportatore nel Paese – ; inoltre conferma, sul lato delle esportazioni, l'importanza della Thailandia quale importatore di gas naturale birmano. Il Myanmar, infatti, sta emergendo come un importante esportatore di gas naturale; secondo dati CIA la Birmania produce circa 12,4 miliardi di metri cubi di gas naturale all'anno – esportandone all'incirca 8,55 miliardi di metri cubi – e dispone di riserve attualmente stimate in 283,2 miliardi di metri cubi.

Sul versante degli investimenti esteri, alcune cifre elaborate dal Ministero nazionale birmano per la pianificazione e lo sviluppo mostrano una diminuzione degli investimenti esteri nel Paese; questi sarebbero diminuiti del 68%, passando da 985 milioni di dollari agli attuali 315 milioni di dollari – dati riferiti al marzo 2010. Il crollo verticale è in gran parte dovuto, oltre che alla crisi economica mondiale e al rafforzamento delle sanzioni contro il regime militare birmano, principalmente alla mancanza di nuovi investimenti cinesi, i quali fra il 2008 e il 2009 arrivarono a quasi 860 milioni di dollari, pari all’87% del totale degli investimenti esteri in Myanmar, destinati principalmente al settore minerario.

Per quanto riguarda l'anno fiscale 2009 (chiuso a marzo 2010), gli investimenti proverrebbero da tre compagnie della Malaysia e una degli Emirati Arabi Uniti diretti al settore del petrolio e del gas, consistenti in 278,6 milioni di dollari, pari a circa l'88% degli investimenti totali; la Thailandia avrebbe speso 15,25 milioni di dollari nel settore del turismo, la Cina ha versato 15 milioni nel settore minerario, infine Hong Kong ne ha spesi 6 nell’industria manifatturiera. L'ambiente economico è percepito dall'esterno come poco trasparente, corrotto e inefficiente. Ciò rappresenta un freno agli investimenti esteri, che persistono, come ricordato, solo nei settori maggiormente produttivi e strategici come quello del gas naturale, dell'energia, minerario e della produzione di legname.

Un dato che può sorprendere è quello relativo alla quantità di denaro circolante all'interno del Paese, che, secondo dati del CIA World Factbook, equivarrebbero, al dicembre 2008, a circa 622 miliardi di dollari, al quinto posto nella classifica mondiale.

La crisi finanziaria internazionale ha causato una diminuzione delle esportazioni del Paese e una riduzione delle rimesse dei lavoratori birmani all'estero, abbassando di conseguenza il livello di consumo interno. La crescita ha poi risentito del passaggio del ciclone Nargis, nel maggio 2008, che causò ingenti danni all'agricoltura, oltre che la perdita di numerose vite umane. Inoltre, vi sono le sanzioni economiche e finanziarie che Stati Uniti, Unione Europea, Canada e Australia continuano imporre al Paese, le quali, nell'intenzione di colpire la giunta militare al potere, finiscono inevitabilmente per danneggiare alcuni settori dell'economia birmana.

Il settore privato è inoltre ostacolato dalle restrizioni al sistema bancario, che incidono negativamente sull'accesso al credito (i tassi d'interesse ufficiali, stando a quanto riportato nell'Asian Development Outlook – Myanmar, sono tra i più alti del mondo, con un 17 % per i prestiti e un 12 % sui depositi), dalle infrastrutture insufficienti, dallo scadente sistema educativo e dalla corruzione endemica. Settori con buone potenzialità, come quello turistico, risentono negativamente di questi fattori.

Alla luce di questi dati si possono, tuttavia, intravedere segnali di una crescita dell'economia; segnali che trovano conferma in alcuni dati forniti dall'Economist Intelligence Unit (EIU) che stimano un tasso di crescita del PIL nel 2010 del 2,2 % e nel 2011 del 3,1 %, facendo prevedere un trend positivo per l'economia birmana. Anche tali stime prevedono, inoltre, un aumento dell'inflazione, la quale potrebbe raggiungere il 12,70 % nel 2011.

Questi segnali, tuttavia, andrebbero soppesati in riferimento alle debolezze dell'economia birmana e alle condizioni della sua popolazione. Solitamente i profitti derivanti dalla vendita di risorse naturali non sono registrati nei bilanci ufficiali, e sono trattenuti dai membri della giunta, per cui non tornano a vantaggio della popolazione, che per la maggior parte – all'incirca il 70 % – è impegnata nel settore agricolo, il quale costituisce circa il 43 % del PIL del Paese.

La Birmania ha una spesa sociale di circa l'1 % del PIL. Secondo stime della CIA, nel 2007 il 32,7 % della popolazione viveva al di sotto della soglia di povertà. Il governo spende non più del 2,8% delle proprie risorse per la sanità, una delle spese minori al mondo.

Secondo dati della Banca Mondiale, l'aspettativa di vita è di 62 anni (2008), mentre il tasso di mortalità infantile è di 71 su 1000 e la malnutrizione colpisce il 30 % dei bambini al di sotto dei 5 anni. Dati che tradiscono standard di vita inferiori rispetto agli altri paesi della regione. L'aspettativa di vita media per l'intera area Asia Orientale e Pacifico è di 72 anni, mentre la mortalità infantile è di 22 su mille. Nella vicina Thailandia l'aspettativa di vita è di 69 anni, il tasso di mortalità infantile svende a 13 su mille. In Malesia l'aspettativa di vita è di 74 anni, il tasso di mortalità infantile di 6 su mille. Nonostante il buon livello di produzione alimentare, molte zone sono vulnerabili in termini di sicurezza alimentare, specialmente nelle zone periferiche del Paese, a causa principalmente delle politiche economiche del governo e della marginalizzazione di alcune fette della popolazione.

Il Myanmar nel contesto geopolitico regionale

Un primo dato che occorre sottolineare riguarda la crescente importanza che il Myanmar sta assumendo per la Cina, con il conseguente tentativo degli altri Paesi della regione, India in testa, di impedirne una sua “satellizzazione”. Per Pechino, il Myanmar rappresenta uno spazio importante per quel che riguarda la ricerca di punti strategici per il mantenimento della sicurezza dei trasporti marittimi e terrestri. Il suo valore strategico aumenta se si considera la virtuale bi-oceanicità che la Cina potrebbe acquisire, garantendosi un accesso facilitato all'Oceano Indiano. Inoltre, la sua presenza è utilizzabile in funzione anti-indiana. A giugno vi è stata la visita in Myanmar del premier cinese Wen Jiabao, in cui ha incontrato il generale Than Shwe ed ha sottoscritto insieme a lui una serie di accordi bilaterali.

A fine luglio di quest'anno, tuttavia, il generale Than Shwe si è recato anche in India per una visita ufficiale di 5 giorni. Uno degli scopi della visita, ufficialmente realizzata per motivi religiosi, era, probabilmente, quello di ottenere dalla più grande democrazia del mondo un certo sostegno diplomatico in merito alla legittimità delle prossime elezioni programmate. In quell'occasione, inoltre, i due Paesi hanno firmato una serie di accordi economici, con l'India nella parte di concessore di linee di credito o aiuti economici. Ad esempio sono previsti 60 milioni di dollari in aiuti per la costruzione di una strada che colleghi il Myanmar con lo stato indiano di Mizoram; nel settore energetico è prevista invece la concessione di una linea di credito per la costruzione di linee di trasmissione. Inoltre, la casa automobilistica indiana Tata ha annunciato il trasferimento nel Paese di parte della produzione della vettura “Nano”.

New Dehli è mossa da interessi commerciali, ma è anche interessata ad ostacolare i gruppi separatisti che operano nel nord-est del Paese, i quali trovano spesso riparo proprio nel confinante Myanmar; obiettivo, quello del controllo delle frontiere, condiviso dalla giunta militare, che lotta contro i traffici transfrontalieri condotti dai narcotrafficanti che sfuggono al controllo del governo. Naturalmente, in ultimo, l'India ha interesse a contrastare l'influenza cinese nella regione e a diminuire la stretta cinese sul Myanmar. Quest'obiettivo si inquadra nella cosiddetta “politica dello sguardo a Est” (Look East Policy), la quale si propone di rafforzare i legami con i Paesi del Sud-Est asiatico tramite un atteggiamento più pragmatico, e meno impegnato sul versante del sostegno ai valori democratici. In quest'ottica va letta l'attenuazione delle critiche nei confronti della giunta militare birmana, a fronte delle proteste levatesi da alcuni gruppi a sostegno della democrazia e dal governo birmano in esilio costituitosi in India in seguito alle elezioni del 1990.

La Thailandia è l'altro vicino importante del Myanmar. Innanzitutto per quanto concerne i rapporti commerciali, in quanto Bangkok rappresenta il principale acquirente di gas birmano, costituendo il 30 % del consumo thailandese. Il 30 luglio di quest'anno la Thailandia, tramite l'azienda di stato PTT PCL, ha firmato un accordo per comprare, dalla fine del 2013, gas naturale dal campo Zawtika (Blocco M9), nel Golfo di Martaban. Il Myanmar fornirà al vicino circa 6,8 milioni di metri cubi di gas al giorno (240 milioni di piedi cubi di gas al giorno (mmcfd), i quali andranno ad aggiungersi ai circa 27,3 milioni di metri cubi di gas (965 milioni di piedi cubi di gas) che attualmente provengono dai campi di Yetagun e Yadana. I due Paesi, inoltre, condividono i problemi legati al confine comune: la Thailandia affronta il flusso di rifugiati, principalmente di etnia Karen, mentre la battaglia contro i traffici illeciti transfrontalieri accomuna entrambi i Governi.

Conclusioni

In merito alle prossime elezioni, una ipotesi verosimile è quella secondo cui la giunta militare al potere stia tentando di impiantare una “democrazia cosmetica” in Myanmar, facendo indossare ai suoi membri abiti civili al fine di attirare gli investimenti esteri e supportare la finora timida e controllata liberalizzazione dell'economia. Se ciò in seguito comporterà, come contro-finalizzazione, un'apertura del sistema politico con una progressiva democratizzazione del Paese, è per il momento difficile da prevedere, e in ogni caso, essendo il risultato di un processo graduale, richiederà molto tempo. I timidi passi volti a liberalizzare l'economia del Paese, inoltre, rappresenterebbero dei tentativi da parte della giunta di instaurare una sorta di “capitalismo dei compari”, in cui i vantaggi economici ricadrebbero nella rete amicale rafforzandone i propri componenti. Ciò fa da supporto all'ipotesi fatta in precedenza e non può non incidere su una valutazione delle prospettive dell'economia birmana. All'interno di questo quadro, infatti, si può affermare che il Paese ha buone prospettive di crescita e molte potenzialità da sfruttare; la giunta militare sembra abbia aumentato i salari nel settore pubblico e abbia intenzione di aumentare la spesa pubblica per le infrastrutture, interventi che potrebbero avere ricadute positive dal punto di vista economico; inoltre sembra possa trarre a proprio vantaggio l'impostazione geopolitica della regione, sfruttando la latente rivalità tra India e Cina e integrandosi e agganciandosi economicamente a Paesi come Thailandia e Singapore.

Naturalmente le potenzialità di crescita hanno bisogno di un ambiente di relativa stabilità interna, cosa che dipenderà in primo luogo dalla composizione dei dissidi interni e dalla capacità del governo di indebolire l'opposizione, assicurandosi il sostegno delle minoranze presenti ai confini. Il modo in cui si svolgeranno le elezioni ed il risultato che ne uscirà saranno un importante indicatore della possibilità di raggiungere tali condizioni. ©Copyright Equilibri