BALCANI: Il ritorno dei turchi

BELGRADO, 13 agosto 2010 (IPS) – Non è frequente che il principale quotidiano di Belgrado, il Politika, dedichi due delle sue quattro pagine degli esteri a decantare le lodi di una nazione, ma così è stato in occasione della visita del primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan lo scorso mese.

La Turchia è stata elogiata come “uno dei più importanti” partner della Serbia e della regione balcanica. Il giornale ha illustrato nei dettagli i successi economici e gli investimenti turchi nell’area, come il miliardo di euro (1,29 miliardi di dollari) in Albania, o le centinaia di milioni assegnati alla vicina Bosnia-Erzegovina.

È stata poi acclamata l’adesione della Turchia all’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (Nato), e approvata la sua candidatura a membro dell’Unione europea (Ue), un obiettivo che da dieci anni condivide con la Serbia.

La visita è stata anche l’occasione per inaugurare il primo centro culturale turco Ataturk, nella città serba meridionale di Novi Pazar, da parte dal presidente serbo Boris Tadic e di Erdogan.

Questa città si trova nella regione di Sandzak, che ospita una popolazione prevalentemente musulmana. Dopo 500 anni di dominio turco, o ottomano, nei Balcani, tramontato alla fine del diciannovesimo secolo, la regione è stata divisa in Bosnia e Serbia.

Ma mentre la stampa e i media ufficiali come Politika lodavano la cooperazione con la Turchia, i nazionalisti serbi avvertivano dei pericoli del “nuovo avvento della Turchia nei Balcani”, parlando dell’“oscuro regime ottomano che ci ha allontanati (i serbi cristiani) dall’Europa”.

Diversi analisti pensano che l’arrivo dei turchi sia un fatto logico. “La Turchia è impegnata in un progetto politico pragmatico per cui deve avere un ruolo attivo sullo scenario internazionale”, ci spiega il prof. Darko Tanaskovic dell’Università di Belgrado. Tanaskovic è un esperto di Islam nella regione, ed ex ambasciatore serbo in Turchia.

Secondo Tanaskovic, la moderna Turchia è “un paese fortemente islamico abilmente mascherato” che vuole esercitare la propria influenza su vaste aree dell’ex impero dai Balcani all’Asia, lasciandosi dietro l’ideologia secolare di Kemal Ataturk, il padre della nazione moderna salito al potere in seguito allo smantellamento dell’impero Ottomano dopo la prima guerra mondiale.

Nella vicina Bosnia e nella sua capitale Sarajevo, la Turchia ha fornito un sostegno religioso e finanziario ai bosniaci, principali vittime della guerra con i serbi del 1992-95. E la Turchia non è la sola. Anche l’Arabia Saudita ha costruito la grande moschea Re Fahd e un centro culturale adiacente nel quartiere popolare di Alipasino Polje a Sarajevo.

Alcuni enti di beneficenza islamici di Indonesia e Malesia, oltre che dell’Arabia Saudita, hanno fornito aiuti finanziari alle famiglie che hanno perso i loro uomini in guerra, pretendendo in cambio una rigida osservanza delle regole religiose, inclusa l’introduzione del velo.

“Riceviamo 400 euro (508 dollari) al mese per restare musulmani fedeli”, spiega Fuada, 54 anni, un’insegnante di Sarajevo che ha perso il marito e il figlio in guerra.

Fuada ha parlato con l’IPS, chiedendo l’anonimato, per il timore di perdere il suo reddito se il suo nome venisse rivelato. La figlia di Fuada, Enisa, si è diplomata in un liceo islamico femminile finanziato dai sauditi per assistenti alle pratiche religiose nelle famiglie.

“I turchi sono benvenuti, perché portano lavoro e non insistono troppo sulle questioni religiose”, dice Zijad Jusufovic, 45 anni, che lavora come guida turistica a Sarajevo. “Hanno aperto circa 300 imprese negli ultimi due anni, ed è questo che la gente desidera: lavoro e benessere”.

La Turchia ha anche investito nell’educazione in Bosnia. A Sarajevo ci sono due università finanziate dai turchi, la International University of Sarajevo (IUS), aperta da un gruppo di figure pubbliche e uomini d’affari turchi e bosniaci, e la International Burch University (IBU). La IBU è stata creata dalla Fondazione di giornalisti e scrittori di Istanbul, istituita tra gli altri dal predicatore turco Fethullah Gulen.

I seguaci di Gulen, secondo cui i musulmani non devono rifiutare la modernità ma abbracciare gli affari e le professioni, hanno creato una rete di scuole e università private sparse per la Turchia, l’Asia centrale e i Balcani. © IPS