ITALIA-TV: Le donne non sono ornamenti

ROMA, 15 settembre 2009 (IPS) – Qualcosa si sta muovendo sugli schermi in Italia. Era ora, si potrebbe dire.


Il documentario “Videocracy” di Erik Gandini racconta la fisionomia della televisione italiana, con circa il 90 percento dell’audience controllato dal Primo Ministro Berlusconi attraverso Mediaset, il suo impero mediatico privato, e la tv di Stato, la RAI.

Dal ’94, anno della sua prima elezione ad oggi, le voci discordanti sono state ridotte al silenzio sulla TV di stato. Su quella privata regnano il gossip e l’intrattenimento di bassa lega. Quanto alle donne, sono state ridotte ad oggetti decorativi.

Almeno gli artisti cominciano a farsi sentire, spiega Gandini in un’intervista telefonica da Stoccolma. Ne è esempio Lorella Zanardo, autrice de “Il corpo delle donne”, documentario sull’utilizzo del corpo femminile in televisione. “Da quando abbiamo messo in rete il video, più di 250 mila persone hanno scaricato il film.

Prodotto in Svezia in collaborazione con la Scandinavian media organisation, “Videocracy” è stato presentato alla sessantaseiesima Mostra del Cinema di Venezia e al Toronto Film Festival.

Il trailer del film non ha trovato spazio su RAI e Mediaset che lo considerano un “messaggio politico” contro il governo. Il film non avrebbe potuto uscire in un momento peggiore per Berlusconi, dopo i recenti scandali legati al giro di escort.

Gandini parla dell’uso strumentale del corpo femminile in televisione e del lavaggio del cervello subito dai telespettatori italiani in trent’anni di televisione commerciale.

IPS: Nel film lei dice che per comprendere i cambiamenti apportati dalla televisione in Italia bisogna “andarci dentro”, ma lei è andato fuori, ovvero in Svezia, per produrre il suo film…

ERIK GANDINI: Questa scelta è sintomo della condizione dei documentari in Italia, che fanno molta fatica ad essere prodotti, perché la televisione li finanzia o molto poco o affatto, e vengono trasmessi in televisione tardi la sera o di notte.

La Scandinavia ha una tradizione documentaria molto più forte, il documentario ha più dignità ed è più finanziato ed esposto in televisione, è riconosciuto come forma artistica di grande rispetto, e visto come un importante elemento per la salute della società, legato alla libertà d’espressione, in quanto forma artistica in cui il film maker racconta la sua versione dei fatti ed il mondo come lo vede lui.

Potrebbe essere così anche in Italia, è una questione di scelta, ma in Italia questa scelta non è mai stata fatta ed il documentario è stato dunque marginalizzato.

IPS: Questo film avrebbe potuto essere prodotto in Italia?

EG: Io sono nato e cresciuto in Italia, vivo in Svezia ma vengo spessissimo in Italia. E’ chiaro però che il mio punto di vista, da italiano che vive all’estero, diventa una lente particolare di lettura di una realtà che per molti italiani è ormai normale, normalizzata, totalizzante. Io penso che sia un elemento fondante dell’arte vedere le stesse cose che vedi tutti i giorni, ma vederle con occhi diversi.

IPS: Appurata la mancanza di pluralismo in campo informativo in Italia, pensa che i film siano una strada per risvegliare le coscienze?

EG: Certo che lo penso. La critica e la messa in discussione è avvenuta finora principalmente nel mondo della stampa, ma penso che riappropriarsi di questo linguaggio delle immagini sia importante, perché in una “videocrazia” come l’Italia sono le immagini ad avere il potere massimo.

IPS: E’ anche vero che gli elettori di Berlusconi non riempiranno le sale, a vederlo sarà soprattutto un pubblico che forse è già conscio della situazione…

EG: Non sono convinto che sia così. Ho seguito una serie di proiezioni in Italia, e molti giovani sono venuti a vedere il film. Molte persone mi hanno detto: “io faccio l’insegnante nelle scuole, voglio portare i miei studenti a vedere il film”.

Su Io Donna (inserto del sabato del Corriere della Sera) il film ha ricevuto una votazione molto alta, ed è stato consigliato per la visione nelle scuole. Inoltre molti andranno a vedere il film per i personaggi famosi che vi figurano, e li vedrà in questo modo raccontati in un modo abbastanza diverso ed inusuale.

E’ chiaro che c’è sempre il rischio di rimanere un prodotto per gli addetti ai lavori, però questo è un tipo di linguaggio che raggiunge molta più gente rispetto ai giornali.

IPS: Lei propone immagini molto dure sulle donne in tv. Cosa pensa del ruolo della donna in Italia? E le donne cosa pensano a suo parere, perché non reagiscono?

EG: La mia impressione, entrando in questo mondo, è stata che le donne fossero ridotte ad essere una specie di presenza di scenografia, dello sfondo; non sono presentate in tv come degli esseri pensanti con una volontà propria, vengono trattate come una specie di elemento puramente feticistico nel mondo della televisione che ho raccontato nel film. Io ho 2 figlie e mi farebbe una tristezza pazzesca se loro crescessero pensando che è il loro corpo ad essere lo strumento principale di affermazione in Italia.

Penso che sia arrivata l’ora per le donne in Italia di infuriarsi e di stravolgere la situazione, perché l’Italia, come racconta il film, è molto in basso nella classifica internazionale della parità dei sessi. Non si può evitare di vedere che questo è uno dei prezzi che la rivoluzione culturale della televisione commerciale ha portato con sé.

Ogni comunità sviluppa un sistema di valori che diventa normale in quel gruppo, e in Italia è diventato normale che le donne vengano usate per pubblicizzare ogni cosa praticamente svestite, cioè che il loro corpo sia uno strumento di marketing, ma penso che sia arrivato il momento di mettere in discussione tutto questo.

Berlusconi stesso, come italiano che più di tutti ha condizionato il contenuto della televisione commerciale in Italia, ha rappresentato nelle sue televisioni un’immagine di donna che appartiene a lui, è sua. E’ una mentalità machista e anacronistica, e non si può ignorare il legame tra lui e trent’anni di rappresentazione femminile nella televisione commerciale.

C’è chi dice “agli italiani piacciono tette e culi, non è colpa di Berlusconi”. Io penso che non sia così, credo che non sia una cosa totalmente casuale ed arbitraria. Chi fa cultura televisiva e che può decidere sul controllo di questi programmi ha una responsabilità enorme, ce l’ha nei confronti dei nostri figli, per cui ha la responsabilità dell’idea di donna che trasmette. Non bisogna assolutamente rassegnarsi, dire che è una questione genetica dell’italiano medio. Non si può solo pensare al profitto, al massimizzare lo share di pubblico. Ci sono altre componenti che sono più importanti, per il benessere di un paese.

IPS: L’ hanno chiamata il Michael Moore italiano, è d’accordo?

EG: Nonostante il grande rispetto per quello che ha fatto, poiché il documentario è diventato grazie a lui una forma cinematografica autorevole, stilisticamente siamo molto diversi. Moore appartiene ad una tradizione anglosassone, che predilige il narrato, mentre il mio modo di fare un documentario è molto scandinavo, molto europeo: prevalgono le immagini ed uno sguardo osservatore.

Io sono per natura un osservatore, e cerco di raccontare in modo che lo spettatore associ quello che vede e che faccia la metà del film nella sua testa. Io cerco di descrivere lo stato delle cose in una maniera emotiva, non basandomi solo sulla logica ed i fatti.

IPS: Nel suo film mostra che tutto iniziò con una casalinga che si spogliava davanti ad una telecamera. Come finirà?

EG: Io spero di ispirare i giovani a fare quello che ho fatto io, cioè di non fare lo spettatore passivo, ma di prendere in mano il mezzo di comunicazione. Spero sia questa la soluzione: non accettare una rassegnazione di fronte alla realtà, che è tipica dello spettatore. E’ arrivato il momento di prendersi la libertà di raccontare il mondo come lo vogliamo noi.© IPS

*Miren Gutierrez è Editor in Chief di IPS