INTERVISTA: Servono più donne nella magistratura

RAMALLAH, 21 maggio 2009 (IPS) – Thuraya Judi Alwazir è una delle poche donne magistrato che fa parte dell’Autorità giudiziaria palestinese. In questa intervista, parla della sua esperienza in un ambiente dominato dagli uomini, dei diritti delle donne rispetto al delitto d’onore e alla violenza domestica, e dell’applicazione della pena di morte nella West Bank.

Thuraya Judi Alwazir Mel Frykberg

Thuraya Judi Alwazir
Mel Frykberg

Alwazir è nata in Libano da madre libanese e padre palestinese. Ha studiato diritto in Giordania, e terminato un master all’Università di Yale, negli Stati Uniti.

Ha lavorato come avvocato in Giordania ma si è trasferita a Gaza 12 anni fa, dopo aver sposato Jihad Alwazir, governatore del Fondo monetario palestinese e figlio del defunto Khilal Alwazir, o Abu Jihad, uno dei membri fondatori dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina, assassinato dagli israeliani in Tunisia nel 1988.

A Gaza, ha lavorato soprattutto sui progetti della Banca mondiale per unificare i sistemi giudiziari di Gaza e della West Bank. Nel 2002 è stata nominata magistrato per la Corte di conciliazione dell’Autorità palestinese (AP).

D: In cosa consiste attualmente il suo lavoro?

Thuraya Alwazir: Faccio parte di una commissione di tre giudici del distretto di Ramallah (West Bank), che cura diversi casi civili. Non ci occupiamo dei casi penali, che sono separati e rientrano in una diversa giurisdizione.

Sono anche a capo dell’unità di pianificazione e gestione dei progetti per l’Autorità giudiziaria palestinese.

D: Può spiegare gli attuali problemi dell’AP e come è composta la magistratura?

TA: La magistratura comprende tre autorità: esecutivo, legislativo e giudiziario. L’autorità giudiziaria è formata da 180 giudici, di cui 21 donne. Ci sono due donne magistrato nella Corte suprema, una a Gaza e una nella West Bank. Le altre donne magistrato sono divise tra le Corti di conciliazione e di distretto.

D: Negli ultimi anni, l’autorità giudiziaria dell’AP sta cercando di aumentare il numero di giudici donne. Per quale motivo?

TA: La decisione di incorporare più giudici donne viene dal lavoro arretrato e dai casi rimasti irrisolti come conseguenza del caos politico nella regione: occupazione israeliana, seconda Intifada e lotta per il potere tra Hamas e Fatah, quando il sistema giudiziario era seriamente compromesso.

Adesso le corti sono tornate ad operare a pieno ritmo, e l’aumento significativo dei casi dipende anche dalla maggiore fiducia della gente nella credibilità del nostro sistema giudiziario.

Ma anche molti donatori internazionali dell’AP hanno fatto pressioni per una maggiore partecipazioen femminile in tutti i settori della vita amministrativa e governativa palestinese, compresa la magistratura, e hanno finanziato diversi programmi in tal senso attraverso istituzioni civili volti a migliorare l’empowerment di donne e ragazze.

D: In quanto donna, ha subito pregiudizi da parte di una società fondamentalmente patriarcale, e sente di doversi affermare di più rispetto a un magistrato uomo?

TA: Sì, in un certo senso credo sia più difficile. Alcune parti della società tendono a giudicare le donne nella magistratura per come appaiono, (e dubitano) che siano adatte a questo lavoro, e che abbiano le competenze adeguate.

Ma la Palestina è stata anche la prima società araba a nominare donne in magistratura negli anni ’70. Per di più, come conseguenza della lotta politica prolungata del nostro popolo contro le diverse occupazioni, le donne palestinesi sono sempre state al fianco degli uomini nella lotta per la libertà e l’indipendenza.

Sono state costrette dalle circostanze ad assumere i ruoli tradizionalmente affidati agli uomini, mentre tanti uomini venivano uccisi e imprigionati dagli israeliani, perciò considerare la donna come pari non è un’idea nuova.

L’Autorità giudiziaria, inoltre, segue una politica di parità di genere, e molte famiglie adesso puntano ad educare le proprie figlie femmine allo stesso modo dei figli maschi. Certo, dove la povertà è endemica, i maschi hanno la precedenza, per la percezione tradizionale del loro ruolo di capifamiglia.

D: La West Bank opera secondo il Codice penale giordano, e Gaza secondo quello egiziano. Questo ha comportato una certa leggerezza delle pene assegnate ai responsabili di crimini come il delitto d’onore e la violenza domestica. Lo stupro non è riconosciuto come un crimine nel matrimonio, e non esistono leggi specifiche contro la violenza domestica. Ci sono progetti per cambiare questo sistema?

TA: Diversi anni fa era stata presentata al Consiglio legislativo la proposta di un nuovo codice penale. Ma il consiglio, che comprende un insieme di membri di Hamas e Fatah, ha smesso di funzionare a causa dei contrasti tra i due gruppi.

Una proposta di legge di per sé non è sufficiente: si dovrebbero creare più tutele e aiuti legali per le donne. Ma ancora una volta è una materia che esula dalla giurisdizione dell’Autorità giudiziaria, e servirebbero invece le pressioni della società civile, e dei gruppi delle donne in particolare.

D: Di fronte all’evidente incapacità di Hamas e Fatah di riconciliarsi, quali speranze ci sono di cambiamenti significativi nel sistema giudiziari sul breve periodo?

TA: Finché non ci sarà riconciliazione, il Consiglio legislativo resterà paralizzato. Quando Hamas ha preso il controllo di Gaza nel giugno 2006, benché la magistratura dell’AP abbia continuato ad operare nella zona, non c’è stata integrazione dei codici civile e penale tra West Bank e Gaza.

E non c’è stata neanche collaborazione tra le forze di sicurezza di Hamas e la magistratura dell’AP, perciò si sono bloccate le cause civili. I due sistemi giudiziari nei territori palestinesi divisi adesso operano indipendentemente l’uno dall’altro.

D: Le organizzazioni internazionali dei diritti umani hanno espresso preoccupazione per il numero di palestinesi che vengono condannati a morte. Qual è la sua posizione al riguardo?

TA: In realtà la pena di morte era stata abolita per ordine dell’esercito israeliano negli anni ’70, quando Israele controllava il sistema legale della West Bank. Attualmente, i tribunali civili e penali dell’AP non hanno ancora il potere di mettere in atto la pena di morte. Le sentenze di morte eseguite qui vengono dai tribunali militari dell’AP.

E qui abbiamo un problema: vogliamo limitare la giurisdizione delle corti militari e ricominciare a processare i civili colpevoli di tradimento e di altri reati che giustificano la pena capitale, nelle corti civili. A questo scopo, è attualmente in esame una proposta di legge presentata al presidente dell’AP Mahmoud Abbas, che controlla la West Bank.

E in realtà stiamo decidendo di ripristinare la pena di morte nelle corti civili. È in linea con le nostre credenze islamiche, ed è anche un’idea sostenuta da diversi leader religiosi. Non spetta alla comunità internazionale applicare i loro sistemi di valore alla nostra società.

D: Lei si considera un modello esemplare per la prossima generazione di donne palestinesi, e cosa pensa debba essere fatto per promuovere l’avanzata delle donne in magistratura in Palestina?

TA: Spero di poter essere un modello per le più giovani della mia generazione. Credo che le ragazze debbano essere incoraggiate attraverso programmi speciali attuati dal Consiglio giudiziario, che dovrebbe anche sostenere ed essere una guida per le donne avvocato.© IPS