ECONOMIA: La Cina è più vulnerabile di quanto si pensi

PECHINO, 3 aprile 2009 (IPS) – Nonostante la brillante dimostrazione della sua crescente statura economica e politica al vertice del G20 di Londra appena concluso, la Cina resta ancora molto incerta sulla sostenibilità del suo miracolo economico.

Il giorno prima dell’incontro del 2 aprile tra i leader delle economie ricche ed emergenti per tracciare un cammino verso la ripresa economica globale, un noto economista cinese ha scritto sulla prima pagine del quotidiano nazionale in lingua inglese ‘China Daily’ che la Cina “non dovrebbe subire troppo il peso” del salvataggio finanziario degli altri paesi, perché di fatto è più vulnerabile alla crisi di quanto si pensi.

“Non è un’economia così forte, come alcuni pensano”, osserva Tang Min, esperto economista della Fondazione per la ricerca sullo sviluppo della Cina presso il Consiglio di Stato. “Anche la Cina è vittima della crisi. Su 50 milioni di persone che hanno perso il lavoro nel mondo, 20 milioni sono in Cina, più che in ogni altro paese”.

Ma Guangyuan, ricercatore della Accademia cinese delle scienze sociali, ha suggerito che di fronte all’intensificarsi dell’attuale crisi, la Cina “dovrebbe nascondere le sue qualità e aspettare il momento opportuno”.

”Non è il momento giusto per realizzare il nostro sogno di superpotenza”, ha osservato Ma. “L’effetto farfalla della crisi significa che nessun paese verrà risparmiato dalla tempesta finanziaria. È assurdo pensare che lo yuan cinese possa diventare la nuova moneta globale dal giorno alla notte, o che la Cina possa portare ad un cambiamento radicale dei valori mondiali”.

Nei giorni precedenti all’incontro del G20 di Londra, la Cina ha dimostrato più capacità decisionale che mai nell’influenzare i processi decisionali globali. I funzionari cinesi hanno chiesto un ruolo più forte nel Fondo monetario internazionale (FMI) e in altre istituzioni globali, hanno criticato la gestione della crisi finanziaria da parte della leadership americana e espresso apprezzamento per la risposta di Pechino.

“I fatti parlano da soli, e dimostrano che rispetto alle altre grandi economie, il governo cinese ha adottato misure efficaci, risolutive e puntuali, dimostrando la superiorità del proprio sistema, al momento di prendere decisioni politiche vitali”, ha dichiarato il governatore della Banca centrale Zhou Xiaochuan in un commento diffuso sul sito web della Banca popolare cinese prima del summit.

La dichiarazione è apparsa qualche giorno prima della pubblicazione di un saggio di Zhou, in cui il governatore chiede una nuova valuta globale gestita dall'FMI in sostituzione del dollaro Usa, da utilizzare negli scambi e nello stoccaggio delle riserve.

Il primo ministro britannico Gordon Brown, ospite del summit, ha confermato la decisione della Cina di contribuire con 40 miliardi di dollari al fondo dell’FMI, mentre Unione europea e Giappone contribuirebbero con 100 miliardi di dollari ciascuno. I leader mondiali hanno concordato un contributo totale di 1,1 trilioni di dollari all’FMI e ad altre istituzioni globali.

Ma in Cina, i media di stato hanno minimizzato il contributo del paese al Fondo, concentrando piuttosto l’attenzione su ciò che viene considerato un grande successo di Pechino: le sollecitazioni per una riforma del Fondo, perché possa riflettere al meglio gli interessi dei paesi in via di sviluppo.

”È un vertice storico, poiché segna l’inizio di una nuova era multipolare”, ha dichiarato al ‘Beijing News’ Gao Haihong, ricercatore dell’Istituto di politica ed economia mondiale dell’Accademia cinese per le scienze sociali. “I paesi in via di sviluppo sono sempre più riconosciuti e la loro voce è sempre più ascoltata”.

La questione se, o quanto, la Cina debba contribuire al FMI, è stata molto discussa a livello nazionale, tra tutte le notizie sui punti di forza e le debolezze della Cina. I media locali hanno parlato sempre più chiaramente degli effetti della crisi sulla Cina, dove molte industrie manifatturiere hanno dovuto chiudere per il crollo della domanda esterna. Sono stati persi milioni di posti lavoro, e il malcontento si è diffuso in tutto il paese.

Tang Min ha insistito sul fatto che il maggiore contributo della Cina alla ripresa globale permetterebbe al paese di continuare a crescere, e di portare avanti il suo pacchetto di stimolo. “Il salvataggio della Cina è il nostro principale contributo al mondo”, ha detto al ‘China Daily’.

Dall’altra parte, però, Pechino si è anche data molto da fare per diffondere nel paese il messaggio sulla “superiorità del sistema” cinese, che è riuscito a resistere alla crisi meglio delle altre economie sviluppate.

Alcuni commentatori del settore finanziario, per esempio, hanno esortato i funzionari del tesoro Usa a prendere esempio dalla riforma del sistema bancario cinese. Appesantite fino a qualche anno fa da una montagna di prestiti non esigibili, oggi le banche cinesi sono tra le prime nel mondo per capitalizzazione del mercato.

”Le banche cinesi di oggi sono le banche americane di domani”, commenta un editoriale del ‘China Times’ di questa settimana, sottolineando che Washington sta seguendo il cammino di Pechino con la creazione di una ‘commissione dei beni’ per assorbire i “beni tossici”.

Resta da vedere se Washington attuerà in pieno la ricetta di risanamento finanziario prescritta dagli economisti cinesi. Le banche cinesi sono di proprietà statale, e seguono le direttive fiscali di Pechino, non quelli dei loro consigli di amministrazione.

Con un altro segnale di crescente fiducia, la Cina ha diffuso i suoi piani per trasformare il centro finanziario di Shanghai in un centro monetario internazionale di alto livello entro il 2020. L’annuncio fa parte del progetto di Pechino volto ad ampliare la portata della propria valuta strettamente controllata, con uno sguardo alla possibilità che lo yuan renminbi possa un giorno sostituire il dollaro Usa come valuta internazionale per gli accordi commerciali.

Questa settimana, Pechino ha firmato un ‘accordo valutario’ con l’Argentina, del valore di 70 miliardi di yuan (10 miliardi di dollari), per cui le transazioni commerciali tra i due paesi potranno essere regolate in valuta cinese. L’accordo tra i due paesi di fatto permette alle rispettive imprese di non dover comprare dollari per pagare le transazioni.

Negli ultimi mesi, la Cina ha firmato accordi analoghi con il Belarus, l’Indonesia, la Malaysia e la Corea del Sud.