COOPERAZIONE-MIGRAZIONI: Intervista con Predrag Matvejevic, intellettuale e scrittore

ROMA, 8 novembre 2007 (IPS) – Lo scontro fra le civiltà non è un destino ineluttabile dei nostri tempi, secondo Predrag Matvejevic. Intellettuali e politici devono fare la loro parte “per promuovere l'utopia concreta dell’alleanza fra le civiltà”.

Predrag Matvejevic Kari Klemelä

Predrag Matvejevic
Kari Klemelä

Matvejevic è nato a Mostar, in Bosnia-Herzegovina. Il padre era un russo di Odessa, la madre una croato-bosniaca. Decise di lasciare l’ex Yugoslavia durante i primi anni di guerra, emigrando prima in Francia, dove insegnò letteratura francese alla Sorbona di Parigi, per poi stabilirsi a Roma, dove insegna letterature slave alla Sapienza.

“Fra asilo ed esilio”, la formula che lui stesso usa per definire la propria condizione di intellettuale “venuto dall’Est”. Scrittore prolifico, Matvejevich usa il suo lavoro “in difesa dei diritti umani e dei tanti intellettuali europei perseguitati dai regimi comunisti”.

Il suo “Breviario mediterraneo”, un saggio poetico sul mediterraneo, è stato pubblicato nel 1988, rieditato nove volte e tradotto in 21 lingue.

Matvejevic è stato fra i partecipanti di spicco del Forum sulla Cooperazione Internazionale organizzato il 3 novembre a Roma dalla viceministra degli Esteri Patrizia Sentinelli. Un appuntamento atteso anche dai molti attori della società civile, per fare il punto sull’impegno italiano “nelle politiche di partnership, e della collaborazione tra governi e comunità”, con l’obiettivo di rilanciare la cooperazione internazionale dell'Italia.

“Essere invitato a partecipare al Forum è stata per me una sorpresa inaspettata e importante”, ha detto Marvejevic intervistato dalla corrispondente dell’IPS Sabina Zaccaro.

IPS: Non accade spesso che un accademico venga invitato ad esprimere il suo punto vista in un incontro tra istituzioni e società civile sul tema della cooperazione allo sviluppo, un tema solitamente frequentato dai soli addetti ai lavori. Come legge questa apertura della politica al mondo della cultura, lo ritiene un segnale positivo?

PM: È stata una piacevole sorpresa. Io non sono un politico. Sono un uomo di sinistra, ma non sono mai stato impegnato politicamente. Nell'Europa dell’Est, ero un dissidente oppositore dello stalinismo, e ho deciso di emigrare quando i nazionalismi hanno preso il potere portando alla guerra nella ex Yugoslavia. Sono andato in Francia, e poi in Italia, dove vivo da 13 anni.

Sono stato invitato – e lo considero sì un segnale positivo – perché i politici sanno che senza un appello alla cultura, alla intellighenzia, restano sopraffatti dalla burocrazia, sono troppo istituzionalizzati, troppo… politici.

Sono necessari degli stimoli anche da parte degli intellettuali per affrontare i diversi problemi. Credo sia per questo che sono stato invitato.

IPS: Come migrante, e come esperto, cosa pensa dell’analisi diffusa del fenomeno della migrazione?

PM: In questi ultimi tempi, occupandomi del Mediterraneo, e delle migrazione, ho visto quanto queste vengano sempre proposte in termini quantitativi: quante persone sono approdate (sulle coste italiane), quante sono state espulse, quante sono rimaste nel paese, di quanta forza lavoro avrebbe bisogno l’Italia…

Sempre quanti. Nessuno cerca un approccio qualitativo alla problematica della migrazione.

IPS: Potrebbe farci un esempio di analisi qualitativa dell'argomento?

PM: Dovremmo ad esempio osservare da vicino gli strumenti dell'emigrare: una delle metafore usate più comunemente per riferirsi ai migranti è ‘il fagotto’, che contiene solo gli indumenti più necessari…

Nella storia delle meigrazioni, ci sono stati periodi in cui i migranti hanno scelto di portare con sé un libro nel fagotto. Potremmo persino distinguere tra migrazioni senza libro e con libro. I migranti ebrei, per esempio, che hanno lasciato la Russia e la Polonia nel '800 e nel '900, portavano il testo sacro con sé.

Gli emigrati italiani non portavano libri, ma immagini di santi, San Nicola, talvolta la Madonna.

IPS: Cosa portano gli immigrati che arrivano oggi in Italia?

PM: Sono stato molte volte sulle coste mediterranee, per assistere agli approdi dall’Albania e da altri paesi. Non hanno il Corano, neanche gli arabi hanno il Corano; sono gli Imam dei loro rispettivi paesi a dar loro il Corano dopo. Di solito hanno le foto dei familiari, o degli oggetti di qualche valore… E' un fagotto molto povero.

E poi, nessuno studia la lingua dei migranti, che contiene molte rotture sintattiche: noi-loro, qui-là; adesso-allora. Se l’università avesse fatto analisi di questo tipo, avrebbe potuto contribuire a una migliore comprensione e accoglienza, e ad evitare i problemi che spesso si presentano.

IPS: Pensa che sia troppo tardi?

PM: Beh, non è troppo tardi mai. Ma avremmo potuto cominciare prima, aggiungo..

IPS: Nel suo intervento al Forum, ha detto che non sono le civiltà a scontrarsi, ma le ideologie…

PM: Sì. Da una parte vediamo un difficile appello, e un desiderio, di un’alleanza tra le civiltà, che viene da persone come il presidente spagnolo Zapatero. D’altra parte, sentiamo parlare dello ‘scontro di civiltà’, teorizzato da un professore americano, Samuel P. Huntington, che è stato accolto bene da alcuni falconi.

L’alleanza potrebbe sembrare un’utopia, ma credo ci siano alcune utopie ‘produttive’ e ‘concrete’, come diceva un grande teorico dell'utopia. Per di più, lo scontro non mi sembra una fatalità, né qualcosa di ineluttabile. Lo scontro non è inevitabile, dobbiamo fare del nostro meglio per evitarlo, e dare spazio all’alleanza.

IPS: Cosa può fare la cultura, e cosa devono fare i politici?

PM: La cultura può proporre queste riflessioni, e la politica, poco a poco, si abitua, può accogliere questi suggerimenti, e alla fine applicarli.

IPS: Eppure, nella maggior parte dei casi l’intellighenzia non osa farlo. Di che cosa ha paura?

PM: Credo abbia paura di impegnarsi. Gli intellettuali, e soprattutto gli intellettuali di sinistra, hanno fatto delle scelte sbagliate. Abbiamo capito troppo tardi gli errori dello stalinismo e quelli di alcune sinistre europee e mondiali, e lo smarrimento di una parte del socialismo. Sostenendo quei regimi, ci siamo sbagliati. E dopo aver sbagliato, non vogliamo sbagliare di nuovo, e non abbiamo il coraggio di impegnarci.

Tuttavia, la nostra presenza è assolutamente necessaria in quei processi culturali che potrebbero determinare, o cambiare, la natura di altri processi politici, economici, demografici.

IPS: Anche la gente comune sembra aver paura. Dopo il violento omicidio commesso la settimana scorsa da un immigrato rumeno, la stampa riporta di una paura diffusa tra i cittadini italiani. Anche la comunità rumena in Italia è spaventata, dopo essere stata oggetto di alcune aggressioni di natura razzista…..

PM: La paura è forse esagerata, anche a causa di quella stampa che non spiega abbastanza quanto questa immigrazione aiuti la crescita dell'economica occidentale. L’episodio di cui parla è un atto criminale, il cui responsabile deve essere condannato. Ma mi chiedo se occorra per questo condannare tutta una minoranza. Naturalmente, no.

Questi episodi devono essere spiegati diversamente. È ovvio che l'accoglienza debba essere organizzata, e adeguata alle possibilità. Ma questo odio non aiuta in nessun modo, e rischia anche di compromettere gli effetti positivi della migrazione.