TURCHIA-ELEZIONI: Chi vince potrebbe non governare

ISTAMBUL, 19 luglio 2007 (IPS) – Il partito di matrice islamica al governo in Turchia sarà presto messo alla prova nelle prossime elezioni parlamentari, dominate dal ruolo della religione nella vita pubblica e dalla eventuale incursione militare nel pantano iracheno. Potrebbe vincere, ma non governare.

44 milioni di votanti andranno alle urne domenica 22 luglio, e le previsioni dicono che il Partito per la giustizia e lo sviluppo (AKP) al governo guidato dal primo ministro Recep Tayyip Erdogan vincerà ancora – ma con una maggioranza ristretta in parlamento, composto da 550 membri.

I sondaggi del quotidiano Hurriyet danno l’AKP al 30 per cento, in discesa dal 34 per cento, mentre i seggi scenderebbero appena sopra i 300, dagli attuali 353.

Il Partito repubblicano popolare (CHP), principale partito d’opposizione, tanto laico quanto l’AKP viene reputato religioso, spera di aumentare il suo 20 per cento di qualche altro punto. Almeno un altro partito, il Partito del movimento nazionalista (MHP), di estrema destra, dovrebbe superare la barriera del 10 per cento per entrare in parlamento.

Le elezioni, anticipate di tre mesi rispetto al previsto per un’impasse parlamentare sulle elezioni del prossimo presidente, arrivano dopo una accanita campagna polarizzata sullo scontro tra le forze secolari contro la presunta agenda islamica dell’AKP. Le elezioni si terranno sotto gli occhi vigili dell'esercito.

Per un’anomalia, anche se il partito al potere conquistasse un’ampia maggioranza, in realtà potrebbe non arrivare mai a formare un governo, portando a nuove elezioni dopo qualche settimana.

Questo perché il parlamento, appena riunitosi, ha innanzitutto il compito di eleggere un presidente, il quale dovrà a sua volta nominare il primo ministro. Ma l’AKP avrebbe bisogno di 367 seggi per far eleggere un proprio candidato, oppure proporre un candidato “di consenso”. Ma per il momento, nessuna di queste possibilità viene ritenuta probabile, e questo comporterebbe nuove elezioni parlamentari entro due mesi.

Il primo ministro Erdogan ha annunciato che il prossimo presidente verrà dai ranghi del partito, il che darebbe all’AKP la possibilità di rovesciare l’assemblea legislativa, il ramo esecutivo e la presidenza, permettendogli di evitare veti presidenziali paralizzanti.

Ma altri vedono possibili rischi. “Se (l’AKP) ottiene la presidenza, la repubblica sarà nei guai”, ha detto all’IPS Gulsun Zeytinoglu, ex membro della Commissione delle donne imprenditrici. “Non ci sarà equilibrio tra i poteri”.

“L’esercito non accetterà un presidente dell’AKP”, ha detto all’IPS l’autore francese Jerome Bastion, analista della politica turca a Istanbul. “È improbabile un vero e proprio colpo di stato, ma l’esercito ha anche altri mezzi per opporsi a un presidente con idee islamiche”.

I generali lo hanno già fatto il 27 aprile, qualche ora dopo che il ministro degli Esteri Abdullah Gul, ex islamico, è riuscito a essere eletto presidente con meno di 20 voti. In un annuncio divulgato a mezzanotte sul proprio sito web, in una sorta di “colpo di stato elettronico” (e-coup), l’esercito ha fatto sapere che Gul, la cui moglie indossa il velo islamico, era inaccettabile. Nelle successive votazioni, Gul non è riuscito ad ottenere la maggioranza necessaria e il parlamento è stato sciolto in attesa di nuove elezioni.

In Turchia, divisa tra una massa devota e un’élite urbana laica, l’esercito è tenuto in grande considerazione, e lui stesso si ritiene il protettore della repubblica secolare. Ha preparato due colpi di stato e costretto due governi a cadere a “colpi di comunicati”.

Le sue relazioni con l’AKP al governo sono burrascose, anche per la diffusione dell’influenza islamica nella vita pubblica. Il partito al potere ha cercato di ridurre il ruolo dell’esercito, citando le norme Ue sulla democratizzazione che la Turchia dovrebbe adottare, se vuole diventare il primo membro musulmano dell’Unione europea.

Erdogan e Gul provengono da un partito che era stato bandito per le sue idee islamiche, e secondo loro l’AKP, costituito solo cinque anni fa, non sarebbe né islamico né “musulmano democratico”, ma solo conservatore. Nella loro campagna, la religione viene appena menzionata, e l’accento viene posto sui buoni risultati economici del governo, come il calo dell’inflazione da più del 50 per cento ad una sola cifra; la forte privatizzazione, e il raddoppiamento del valore della Borsa valori di Istanbul.

Ciò di cui spesso si parla è il terrorismo; e, ancora una volta, questo crea opposizione tra governo e esercito. Con l’aumento del terrorismo nel Partito dei lavoratori curdi dell’Iraq (PKK), e con i ribelli che si rifugiano in Turchia, l’esercito ha proposto un’incursione nel nord Iraq. Il governo, di fronte alle preoccupazioni di Usa e Ue, non ha dato il via libera.

Secondo Erdogan, la Turchia dovrebbe innanzitutto trattare con i terroristi curdi dentro il paese, prima di avventurarsi nell’oscuro Iraq. In campagna elettorale, l’opposizione ha accusato il primo ministro di essere troppo morbido nei confronti dei ribelli curdi, pensando di poter strappare qualche voto ai partiti d’opposizione favorevoli a una linea più dura.

Un tema prima caldo, mentre adesso appena menzionato, è il cosiddetto “sogno impossibile” della Turchia: la piena cittadinanza europea. Mentre l’Unione europea si raffredda di fronte a un possibile allargamento, in particolare verso un paese musulmano di 72 milioni di abitanti, anche la Turchia sembra raffreddarsi: “Se non ci vogliono, neanche noi vogliamo loro”, ha assicurato Zeytinoglu.