AIDS: La scienza ignora l’Aids nelle donne, secondo la candidata al Premio Nobel

BUENOS AIRES, 10 luglio 2007 (IPS) – La scienza deve ancora fornire studi rigorosi su come l’Hiv/Aids o l’impatto dei farmaci antiretrovirali colpiscano in particolare il corpo femminile, ha spiegato a Tierramérica l’attivista argentina Patricia Pérez, candidata al Premio Nobel per la pace 2007.

Patricia Pérez Clarín newspaper

Patricia Pérez
Clarín newspaper

Questa scarsa conoscenza è dovuta al fatto che le donne restano invisibili nei sistemi di assistenza sanitaria, secondo Pérez, alla quale era stato diagnosticato l’Hiv all’età di 24 anni, e le erano stati dati due anni di vita.

Questo, vent’anni fa. Nel mondo cominciava appena a diffondersi una coscienza sull’Aids. Pérez era scoppiata in lacrime, perché non sapeva cosa fare. Separata e con un figlio, dopo essersi ripresa cominciò a entrare in contatto con altre persone con gli stessi problemi e paure, creando un gruppo di volontari nell’ospedale Muñiz di Buenos Aires, per rispondere ai loro bisogni.

Cinque anni dopo, Pérez partecipò ad una manifestazione a Londra con altre 10.000 persone affette da Hiv, e per la prima volta si rese davvero conto che non era sola. “Non potevo pianificare niente per gli anni a venire, ma cominciai a pensare ai mesi successivi”, ricorda.

A 30 anni, contribuì a fondare ad Amsterdam la International Community of Women Living with HIV/AIDS (ICW), che ha 8.000 membri in 57 paesi. Oggi, è coordinatrice del ramo dell’America Latina, ICW Latina.

Nel 2003, fu chiamata dall’allora segretario generale dell’Onu Kofi Annan per seguire i progressi negli accordi della Sessione speciale dell’Onu 2001 sull’Hiv/Aids, insieme ad altre 15 persone nel mondo con la maggiore esperienza in materia.

Quest’anno è stata nominata per il Premio Nobel per la pace dalla First Lady dell’Honduras, Xiomara Castro, per dare visibilità a un problema che colpisce 19 milioni di donne in tutto il globo. Il governo argentino sostiene la sua candidatura.

Pérez ha parlato con la corrispondente di Tierramérica/IPS Marcela Valente.

TIERRAMÉRICA: Com’era la sua vita prima che le diagnosticassero l’Hiv?

PATRICIA PÉREZ: Ero insegnante di ginnastica, e lavoravo per il comune Buenos Aires.

TA: Come ha scoperto di avere il virus?

PP: Il mio ragazzo di allora fece il test, che risultò positivo. Temporeggiai per sei mesi prima di farlo anch’io. A quel tempo non si distingueva tra il virus e l’Aids, e si parlava della “peste rosa”, associando la malattia soprattutto ai gay. Pensavo che il risultato del test fosse sbagliato, perché io mi sentivo bene.

TA: Come è cambiata la sua vita da allora?

PP: Ritrovarsi in bilico in quel modo ti cambia la vita. Ma poi vai oltre l’agitazione e la paralisi, e cerchi di vivere nel modo migliore possibile. Prima ho cominciato a lavorare da sola. Ho deciso che non sarei rimasta seduta ad aspettare la morte. Volevo capire cosa mi stava succedendo e parlare con altre persone che erano come me, per vedere quali problemi avremmo dovuto affrontare.

Gli operatori sanitari, per esempio, non erano preparati. Eri in ospedale in attesa di una visita, e arrivava l’infermiera che annunciava: “La donna con l’Aids, per favore da questa parte”, e ti si gelava il sangue nelle vene. Mi ero sentita talmente aggredita, che cercai di darmi da fare per cambiare quella realtà.

TA: Quali sono i problemi per le donne con l’Hiv?

PP: Le politiche sanitarie non hanno una prospettiva di genere. Non ci sono studi specifici su come il virus e le terapie colpiscono i nostri corpi in particolare. Abbiamo delle differenze ormonali, delle differenze nel sistema riproduttivo, una maggiore predisposizione verso alcuni tipi di tumore, e tutto questo comincia appena ad emergere, grazie alle nostre pressioni.

Fino a poco tempo fa, ci chiedevano di non fare altri figli. Se rimanevi incinta, eri una criminale. Questi problemi hanno a che vedere con una questione culturale, che l’Aids rende più evidente. In America Latina, noi donne siamo sempre un passo indietro, e l’Aids mostra questa disparità in modo crudele.

TA: Quali sono le sfide con cui ICW Latina si confronta?

PP: Accompagniamo le donne dalla diagnosi in poi, rispettando i loro tempi, e le aiutiamo a prepararsi. E questo non vuole dire soltanto come usare un preservativo, ma soprattutto negoziare con il medico per una terapia migliore, chiedendo che il governo fornisca farmaci di alta qualità, e fare ricorso alla giustizia. Ci sono paesi in questa regione in cui una donna può vedersi rifiutare una richiesta di adozione, o può essere discriminata per i diritti di custodia in una causa di divorzio (perché è affetta dall’Hiv).

TA: Come è venuta l’idea di organizzare le ragazze?

PP: Molti dei miei colleghi hanno figlie affette dal virus che stanno entrando nell’adolescenza, e hanno bisogni diversi. L’Aids pediatrico in pratica non è previsto come programma. Esistono pochissime formule per le cure ed è difficile ottenere l’adesione ai programmi terapeutici. Ma non vogliamo parlare per loro, per questo anche loro partecipano facendo sentire la loro voce.

TA: Cosa pensa della candidatura al Nobel?

PP: Che aiuterà a far sentire le nostre voci e contribuirà ad inserirci nelle agende politiche, al di là della comunità dell’Aids.