MEDIORIENTE: Le frontiere ‘aperte’ non migliorano l’economia

RAMALLAH, 25 maggio 2011 (IPS) – Nonostante la rivoluzione egiziana, che ha portato l'alleato di Israele ed ex presidente egiziano Hosni Mubarak a dimettersi, e nonostante le dichiarazioni di Israele di aver allentato il blocco su Gaza in seguito ai sanguinosi scontri dello scorso anno sulla sfortunata flottiglia Mavi Marmara, l'economia del territorio costiero rimane paralizzata.

L'attenzione internazionale si concentrerà ancora una volta sull'assedio di Gaza, quando la Mavi Marmara farà un secondo tentativo, alla fine di giugno, per bypassare il blocco navale israeliano sulle coste di Gaza.

Lo scorso maggio, dieci attivisti per la pace di origine turca sono stati uccisi, alcuni a bruciapelo, da un commando israeliano, mentre la nave tentava di consegnare disperatamente aiuti umanitari nella zona assediata.

Ma dopo la rivoluzione egiziana di febbraio, il nuovo governo militare provvisorio ha promesso di aprire il valico di Rafah tra l'Egitto e Gaza.

Il ministro degli Esteri egiziano, Nabil al-Arabi, ha detto ad Al-Jazeera alla fine del mese di aprile, che il valico di Rafah sarebbe stato aperto per “porre fine alle sofferenze dei palestinesi”. Questo però deve ancora accadere, e quando accadrà è improbabile che porterà a un apertura di esportazioni e importazioni vitali per l'economia di Gaza.

Nel 2005, l'Accordo sulla circolazione e l'accesso sottoscritto da Israele e Autorità Palestinese (AP), e appoggiato da Egitto, Unione europea (Ue) e Stati Uniti, stabiliva che il valico di Rafah avrebbe potuto ospitare solo pedoni e veicoli. In un secondo momento doveva includere anche le merci, ma dopo la guerra civile tra Hamas e Fatah del 2007 è stato sospeso.

“Nulla è cambiato, e oggi in realtà la situazione è peggiore che mai”, dice Wadi El Masri, direttore generale della Palestine Industrial Development Limited (PIEDCO).

“L'economia di Gaza è al collasso. È sotto del 90 percento. L' economia di ogni paese dipende dalla libera circolazione delle merci e delle persone, e qui è congelata. La maggior parte delle aziende di Gaza ha chiuso. Niente può essere esportato o importato. Le poco aziende rimaste aperte dipendono dai consumi locali, ma molte persone qui stanno vivendo al di sotto della soglia di povertà”, racconta El Masri.

Israele e Cisgiordania sono soliti essere i più grandi consumatori e acquirenti delle esportazioni di Gaza. Molti produttori di Gaza hanno lavorato in produzioni congiunte con aziende israeliane che non solo hanno rafforzato l'economia di Gaza, ma hanno anche dato occupazione.

“Con solo tre dei sei varchi aperti a Gaza, la maggior parte dei 1,5 milioni di palestinesi di Gaza sono intrappolati in un blocco che condiziona l'accesso dei materiali e vieta tutte le esportazioni, tranne alcuni articoli per i quali è consentita la spedizione nei Paesi Bassi “, dice Karl Schembri, di Oxfam Gaza.

“Gaza, Israele e Cisgiordania sono parte di un unico pacchetto doganale che prevede il libero mercato e regolamenti doganali uniformi. Qualunque sia l'accordo che consente alle merci di attraversare il varco di Rafah, dovrebbe contemplare la necessità di mantenere l'unità dell'economia palestinese a Gaza e in Cisgiordania”, sostiene Schembri.

Yoni Eshpar dell'organizzazione israeliana per i diritti umani Gisha ha spiegato che non c'è mai stato nessun caso di inedia a Gaza.

“C'è cibo nei negozi. Il problema è che da quando Israele ha imposto il blocco, l'economia locale è stata completamente devastata. Gli abitanti di Gaza non hanno potere d'acquisto, opportunità di lavoro, e circa l'80 per cento della popolazione dipende dagli aiuti”, dice Eshpar.

Israele ha anche impedito l'importazione di materiale da costruzione a Gaza, di vitale importanza per la ricostruzione delle infrastrutture distrutte durante l'Operazione Piombo Fuso, l’attacco militare israeliano contro Gaza durato dal dicembre 2008 al gennaio 2009.

Da luglio a dicembre 2010 è stato consentito l'accesso a Gaza ad appena 744 camion con materiale da costruzione, circa 149 al mese, per progetti internazionali. Prima del giugno 2007 gli abitanti di Gaza acquistavano ogni mese più di 5mila camion carichi di cemento, ghiaia e acciaio.

L'anno scorso, a seguito di un'azione legale, Gisha ha costretto lo Stato di Israele a comunicare il contenuto dei documenti relativi all'assedio di Gaza, incluso un elenco di beni vietati. Inizialmente il ministero della difesa israeliano ha rifiutato di consegnarli: secondo il ministero, finché la politica in questione era in vigore, il rilascio dei documenti “avrebbe costituito un danno alla sicurezza nazionale di Israele e alle sue relazioni con l'estero”.

Alla fine si è appreso che i prodotti vietati erano il cemento e altri materiali necessari per la costruzione, nonostante non avessero un uso militare e non fossero mai stati inseriti in nessuna lista israeliana o internazionale, e servissero invece per ricostruire le infrastrutture e le abitazioni dei civili danneggiate.

I tunnel tra Gaza e la penisola egiziana del Sinai resteranno un punto di entrata e di uscita delle merci, dal cemento ai casalinghi. Ma questa forma d'importazione è pericolosa e inaffidabile, e i prodotti sono di scarsa qualità e molto costosi, per gli alti margini di profitto aggiunti dai trafficanti.

“Le merci, soprattutto cinesi, che entrano attraverso Rafah sono di bassa qualità. I contrabbandieri non pagano tasse previste né altre tariffe. Non si può competere con loro”, dice El Masri.

L’Egitto potrebbe cambiare completamente le cose. “Se l'Egitto volesse essere più generoso, potrebbe tornare alla situazione nel 2005-2006″, ha detto Sari Bashi, direttore esecutivo di Gisha. “In quegli anni, tutti i palestinesi con un documento di identità valido per Israele potevano entrare e uscire attraverso Rafah. Non sappiamo cosa abbiano in mente gli egiziani”, dice Bashi.

“In pratica, il blocco resterà in vigore finché tutti i valichi non verranno aperti per consentire la libera circolazione delle persone e delle merci, secondo l'Accordo del 2005”. © IPS