YEMEN: La rivoluzione non decolla

SANAA, 15 febbraio 2011 (IPS) – Ci sono molte perplessità sul fatto che le proteste antigovernative in Yemen non siano riuscite finora a portare ad un rivoluzionario cambio di regime. Ma un contesto complesso richiede un diverso tipo di dialogo politico con il potere.

I manifestanti a Sanaa mostrano le foto di giovani arrestati Yazeed Kamaldien

I manifestanti a Sanaa mostrano le foto di giovani arrestati
Yazeed Kamaldien

Gli yemeniti sono scesi in piazza incoraggiati dalla rivoluzione del gelsomino in Tunisia che il 14 gennaio ha costretto alle dimissioni il presidente in carica da vent’anni Zine El Abidine Ben Ali. Due giorni dopo gli studenti dell’università di Sanaa hanno chiesto le dimissioni del loro presidente Ali Abdullah Saleh, al potere dal 1978.

Un’altra rivolta nel mondo arabo stava raggiungendo il suo apice. Il 25 gennaio, gli egiziani hanno invaso le principali città del paese, dove l’azione della società civile è riuscita a spodestare Hosni Mubarak.

L’11 febbraio – la notte della caduta di Mubarak – almeno duemila manifestanti hanno festeggiato nella capitale. Ma la loro rivoluzione rimandata aveva la stessa luce fioca delle candele che i dimostranti portavano quella sera. Un lumicino che non si è mai infiammato come in Tunisia ed Egitto, dove le proteste hanno ottenuto il cambiamento di regime.

Uno dei primi ostacoli alla riforma politica è che cittadini e partiti dell’opposizione sono divisi. Migliaia di yemeniti chiedono un nuovo regime, ma non si intravedono alternative possibili.

La proposta di dialogo nazionale di Saleh tra il suo partito al potere, il Congresso generale del popolo (GPC), e la coalizione dei partiti all’opposizione (JMP) non ha avuto molto successo, anche se non è stata abbandonata.

Intanto il dibattito si è spostato sulle piazze dello Yemen, dove migliaia di manifestanti contro il governo e sostenitori di Saleh hanno cantato slogan.

Tutti vogliono cibo e lavoro, ma sono divisi sulla strada politica da intraprendere per raggiungere questi obiettivi.

Il risentimento contro la coalizione all’opposizione è sempre più forte. I manifestanti antigovernativi erano stati inizialmente spronati dagli studenti dell’università di Sanaa e incoraggiati dai politici dell’opposizione. I cancelli dell’università della capitale sono stati un punto d’incontro, ma quando i JMP hanno occupato il centro della scena la partecipazione nelle proteste ha oscillato.

Gli studenti vogliono tenere separata la battaglia generale dall’opposizione. Nella loro “rivoluzione dei giovani indipendenti” dicono di “accusare di corruzione sia il GPC che il JMP”. Questo gruppo di giovani vuole che le proteste antigovernative rimangano “una marcia del popolo senza né leader né intermediari di gruppi al potere o all’opposizione”.

Rana J., una giovane yemenita che ha scelto di rimanere anonima, era tra la folla che ha celebrato il “sacrificio [dell’Egitto] per una bella causa”, l’11 febbraio a Sanaa.

“Ero una grande sostenitrice dell’opposizione, fino a quando non ho partecipato alle loro proteste. Non sono riusciti a prendere contatto con la strada. Prima hanno chiesto alla gente di riunirsi e poi hanno gridato dai microfoni qualsiasi cosa gli passasse per la testa. Poi hanno chiesto a tutti di andarsene”.

“Non riescono a contattare la base. I partiti politici dello Yemen stanno facendo il loro gioco, manipolando le masse illetterate. Partiti politici e elite hanno sempre una visione dall’alto verso il basso. Usano la popolazione per i loro interessi politici”.

Per Abdulaziz Al-Sakkaf, uno studente presente alla marcia verso l’ambasciata egiziana, i partiti di opposizione “sono incompetenti quanto il partito al potere”.

“La gente era entusiasta delle proteste ma quando ha capito che erano coinvolti i partiti di opposizione, hanno perso motivazione. Non crediamo nei partiti di opposizione. Se avessero voluto fare qualcosa di buono lo avrebbero già fatto”.

La repressione degli apparati di sicurezza ha ostacolato ancora di più le proteste. I dimostranti anti-governativi sono stati fermati e arrestati sin dall’inizio delle loro manifestazioni pubbliche di dissenso, a metà gennaio.

Da un picco di circa 20mila persone che si erano riunite nella “giornata della collera” dello Yemen, il 3 febbraio, il giorno dopo all’Università di Sanaa c’erano meno di 100 persone. In questa occasione, quattro studenti sono stati arrestati, e da qui è nata una seconda protesta davanti alla stazione di polizia dove i giovani venivano trattenuti.

Khaled Al-Anesi, avvocato e attivista dei diritti umani di Sanaa, ha detto che la polizia voleva usare la paura per fermare le proteste, ma temeva anche in quel modo di incoraggiare nuovi raduni.

Una giovane donna yemenita, che ha chiesto di rimanere anonima, ha detto che gli yemeniti non sono abituati a ribellarsi.

“Non sappiamo davvero cosa significhi dire no al governo. L’Egitto in particolare ha avuto un effetto positivo, incoraggiando il popolo a scendere in piazza per dire quello che pensava. Ma siamo abituati che uomini dal podio ci dicano cosa fare”, dice.

“Siamo felici di quello che è successo in Egitto e speriamo che succederà anche qui. Ma la strada per gli studenti è dura. Non hanno sostegno e c’è un forte giro di vite contro di loro”. © IPS