INTERVISTA: Tunisi e il Cairo, sintomi di un nuovo attivismo popolare

NEW YORK, 14 febbraio 2011 (IPS) – Più di 200 anni fa, Thomas Jefferson, padre fondatore e terzo presidente degli Stati Uniti, pronunciò la celebre frase: “Ogni generazione ha bisogno della sua rivoluzione”. Oggi, le sue parole sono più attuali che mai, mentre i giovani di tutto il mondo stanno trasformando il 2011 nell’anno del cambiamento.

Boaventura de Sousa Santos Gentile concessione di Boaventura de Sousa Santos

Boaventura de Sousa Santos
Gentile concessione di Boaventura de Sousa Santos

A giudicare dalle recenti rivolte in Egitto e Tunisia, e della forte affluenza della settimana scorsa al Forum sociale mondiale di Dakar, Senegal, l’attivismo è vivo e in ottima forma.

Su questi due temi, l’IPS ha parlato con Boaventura de Sousa Santos, autore e professore di sociologia all’Università di Coimbra, Portogallo.

D: Quali sono stati i punti salienti del FSM di quest’anno?

R: Nonostante alcune difficoltà organizzative, è stato un successo per diverse ragioni. Primo, i problemi dell’Africa e il contributo del continente al mondo sono stati al centro del FSM proprio mentre il popolo del Cairo festeggiava la liberazione lasciando emergere le nuove forme di lotta per ottenerla. Questa attenzione sull’Africa è diventata fonte d’ispirazione per l’Anno internazionale delle Nazioni Unite delle persone di origine africana, appena cominciato.

Secondo, è stato dedicato moltissimo tempo a incontri convergenti tra movimenti sociali, per coordinare e pianificare insieme azioni collettive.

Terzo, un nuovo FSM è già stato messo in agenda. L’obiettivo è poter avanzare richieste politiche a livello globale in nome di importanti settori del FSM – senza compromettere la natura inclusiva degli incontri mondiali biennali – e rafforzare l’auto-istruzione e formazione al di là dei confini nazionali.

D: Dal marxismo a La Via Campesina, i movimenti sociali sono cambiati evolvendosi negli anni. Quale pensa che sia l’approccio migliore per portare il vero cambiamento nel mondo?

R: Le rivolte di Tunisi e del Cairo stanno dimostrando che è in atto un cambiamento paradigmatico nell’attivismo d’opposizione. Se finora il punto centrale per le politiche progressiste era come articolare i partiti politici con le le Ong e i movimenti sociali progressisti, la nuova questione centrale è come articolare partiti progressisti e movimenti sociali, da una parte, con i cittadini non organizzati, dall’altra.

Questi ultimi, soprattutto giovani, che la società civile organizzata considera apolitici, vittime del lavaggio del cervello di mass media e consumismo di massa – in sostanza, persi per le cause sociali – stanno mostrando che il vero cambiamento avviene quando si raggiunge una soglia oltre la quale la politica si mette sullo stesso piano della vita e della dignità umana.

Il vero cambiamento ci sarà quando diversi Cairo avverranno nello stesso momento nel mondo, tutti diversi e tutti simili tra loro. I nuovi movimenti sociali punteranno sulla loro relazione con la società non organizzata e sulla traduzione interculturale, che renderà possibile una aggregazione transnazionale insorgente senza omogeneità globale.

: Cosa possiamo imparare dalla recente crisi finanziaria globale?

R: Che il capitalismo sta diventando più distruttivo che mai, spremendo più lavoro dai lavoratori che hanno lavoro e più servilismo da chi non ce l’ha, ricorrendo a salari da fame, distruggendo ogni residuo di contratto sociale, mettendo sotto silenzio, attraverso la crisi finanziaria, tutte le altre crisi che l’umanità si trova davanti: crisi energetica, ambientale, intergenerazionale, crisi della civiltà.

Impariamo anche che finché la crisi viene “risolta” da chi l’ha provocata, la distruzione proseguirà. Almeno, quando molti Cairo emergeranno nel mondo, basati su diverse esigenze ma uniti nella stessa lotta per la giustizia sociale e la responsabilità democratica.

: D: Crede che esista la possibilità per le Nazioni Unite di assumere un nuovo ruolo più forte come parlamento mondiale?

R: Dobbiamo combattere, non per forme inflazionate di democrazia rappresentativa, ma piuttosto per articolazioni sub-nazionali, nazionali e regionali tra democrazia rappresentativa e partecipativa. In alcuni casi, a queste due forme di democrazia deve aggiungersi la democrazia comunitaria, come specificato nella Costituzione della Bolivia del 2009. In altre parole, abbiamo bisogno di demo-diversità tanto quanto di biodiversità.

: D: Le politiche neoliberiste danno priorità al denaro, al profitto e al libero mercato come motori dello sviluppo. Cosa significa per lei “sviluppo”? E a cosa dovrebbe dare priorità la comunità globale?

R: Il concetto di sviluppo è emerso per legittimare il suo opposto: sottosviluppo. Improvvisamente la grande maggioranza dei paesi del mondo sono stati chiamati sottosviluppati, un’etichetta che è andata ben oltre le loro economie. Sottosviluppate erano anche le loro istituzioni, le loro leggi, le loro culture.

L’unica soluzione per loro era seguire il cammino dei pochissimi paesi sviluppati, ossia obbedire alle regole fissate da questi ultimi per ogni relazione internazionale, su tutti i livelli. Allo stesso tempo, la possibilità di molteplici modernità è stata preclusa, e la modernità è diventata, per definizione, la modernità occidentale. L’altro “altro” dello sviluppo non era più il sottosviluppo ma piuttosto la rivoluzione socialista.

Lo sviluppo è alla base del concetto di Guerra fredda. Sapendo questo, è quasi impossibile se non autodistruttivo cercare di concepire concetti alternativi di sviluppo. Ci servono piuttosto alternative allo sviluppo.

Una potrebbe essere il concetto quechua di Sumak kawsay che, secondo la Costituzione dell’Ecuador del 2008, dovrebbe presiedere sulle norme socio-economiche della società. Significa all’incirca “buen vivir” in spagnolo o “living well” in inglese. Il buon vivere, significa l’aspirazione alla prosperità dell’individuo e della collettività che invece di separarci dalla natura – in quanto inerente al concetto di sviluppo – concepisce la natura come parte della società umana, in modo tale che i diritti umani e i diritti della natura sono due lati della stessa lotta per l’emancipazione sociale. Con l’approssimarsi dell’anno di Rio plus 20 (la Conferenza Onu sullo sviluppo sostenibile del 2012), dare credibilità al concetto di Sumak kawsay può essere un buon modo di definire le nostre priorità.

D: Il mondo sta crescendo a un ritmo senza precedenti. Come possiamo gestire questa crescita mantenendo le responsabilità sia dei popoli che dell’ambiente?

R: La sovranità alimentare e ciò che essa implica è la soluzione. © IPS