SOMALIA: Pirati, più difficile processarli che catturarli

NAZIONI UNITE, 27 agosto 2010 (IPS) – Al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite questa settimana, gli Stati membri e le organizzazioni regionali hanno affrontato il delicato tema dei processi contro i pirati della Somalia, dopo la diffusione di un recente rapporto del Segretario generale Ban Ki-moon che illustrava le diverse opzioni legali possibili.

Nel dossier si analizzano i vantaggi e gli svantaggi di ciascuna opzione, che comprendono il supporto ai tribunali nazionali, la creazione di una nuova camera all'interno dei tribunali nazionali, o l’istituzione di nuovi tribunali, regionali o internazionali, per il processo agli individui accusati di pirateria.

Durante l’incontro , il Segretario generale ha anche annunciato la creazione di un nuovo Consulente speciale per gli affari legali legati alla pirateria al largo delle coste somale. L'ambasciatore americano Susan Rice si è congratulata con Jack Lang, ex inviato speciale francese in Corea del Nord e docente di diritto internazionale, nominato per l’incarico.

La pirateria è cresciuta fino a diventare una serio pericolo, oltre che una minaccia per la vita stessa della gente di mare, per l’aumento dei costi dell’industria marittima globale e per i gravi ostacoli causati nelle consegne degli aiuti umanitari. E il fenomeno si sta diffondendo anche al di fuori del Golfo di Aden e dell'Oceano Indiano.

“Il costo umano della pirateria al largo della costa della Somalia è incalcolabile, con omicidi e sequestri di marinai, che già devono affrontare un lavoro pieno di rischi. Il consulente legale di Ban Ki-moon, Patricia O'Brien, ha parlato degli “alti costi commerciali”.

Negli ultimi tre anni, diversi paesi hanno inviato navi militari nella zona, coordinando e rafforzando la comunicazione tra loro. Ma la questione delle eventuali azioni penali è rimasta in sospeso, mentre le persone sospette sono in attesa di processo in Francia, Germania, Kenya, Spagna, Seychelles e Stati Uniti.

Il comandante James Kraska, professore di diritto internazionale presso la Naval War College, ha pubblicato diversi scritti sul tema della pirateria.

“Il principale problema delle potenze marittime non è la mancanza di risorse operative per contrastare la minaccia, ma cosa fare con gli arrestati”, ha scritto nell’Armed Forces Journal lo scorso anno. ” La soluzione a lungo termine per la pirateria non è la forza armata ma la collaborazione regionale”.

Accrescere le potenzialità dei tribunali nazionali esistenti è anche possibile, in particolare in Kenya e Seychelles. Negli ultimi 18 mesi, sono stati processati 600 pirati in 11 paesi, riferisce il Segretario generale dell’Onu.

Di recente, il Kenya ha intensificato gli arresti per il reato di pirateria, con circa 100 indagati detenuti e 18 condanne solo nel mese di giugno. Nel corso del dibattito, il rappresentante permanente del Kenya presso l'Onu ha espresso preoccupazione sulla gestione della situazione al momento attuale.

“Gli accordi attuali, che vedono i pirati consegnati e processati in Kenya e nei paesi limitrofi, rappresentano un peso insostenibile per questi paesi nel lungo periodo”, afferma l'ambasciatore keniano Zachary Muburi-Muita.

Il Giappone ritiene però che la strada migliore sia migliorare le strutture giuridiche attuali, ed esprime riserve sulla creazione di nuovi tribunali.

“Per il Giappone, gli stati costieri dovrebbero perseguire i pirati, e bisognerebbe rafforzare la capacità di questi paesi di giudicare gli atti di pirateria”, ha detto l'ambasciatore giapponese Tsuneo Nishidia alla sua prima apparizione al Consiglio di Sicurezza come nuovo rappresentante permanente del suo paese. “Il Giappone sta pensando di creare un nuovo tribunale, considerando i tempi e le risorse necessarie per istituirlo”.

Le altre possibilità discusse nel dibattito prevedono la creazione di strutture legali totalmente nuove, che secondo O'Brien richiederebbero una forte volontà politica e finanziaria, visto l’alto numero di sospettati, i tempi previsti, e il fatto che i tribunali si limiterebbero a eliminare le conseguenze del problema ma non le cause.

Anche la necessità di trovare uno stato ospite e la questione del rimpatrio e della capacità delle carceri sono stati elementi chiave nel dibattito.

“Dato il gran numero di indagati detenuti in mare da parte delle forze navali, è chiaro che trovare luoghi di detenzione adeguati è altrettanto importante che istituire i procedimenti legali”, ha detto O'Brien.

Si è poi convenuto che la stabilità della Somalia, dilaniata dalla guerra, da tre anni consecutivi al primo posto nell’Indice “Foreign Policy's Failed State”, è la chiave per risolvere il problema della pirateria.

“La pirateria somala è direttamente legata al fallimento delle istituzioni di governance dello stato somalo”, ha affermato Muburi-Muita.”Nel cercare di risolvere il problema, è importante puntare ad una soluzione duratura alla situazione politica in Somalia, anche affrontando gli imperativi socio-economici che hanno fatto della pirateria un mezzo di sussistenza per la gioventù somala”.

Il quaranta per cento della popolazione somala ha bisogno di assistenza umanitaria, e la popolazione guadagna in media meno di due dollari al giorno. Appena al largo della costa di uno stato devastato dalla guerra, degradato e fallito – dove secondo l'Onu è in corso una delle peggiori crisi umanitarie al mondo – piccole bande di pirati armati di fucili AK-47 guadagnano da uno a due milioni di dollari per il riscatto.

Dall'inizio dell'anno, sono stati 139 gli incidenti legati alla pirateria, 30 le navi dirottate e 450 i sequestri, sottolinea Ban Ki-moon. Secondo Kraska, circa un terzo delle azioni di pirateria viene portata a termine con successo.

“Ricordiamoci sempre che ridurre e limitare la pirateria nella regione significa reagire non solo in mare ma anche sulla terra, dove la pirateria ha origine”.© IPS