BIODIVERSITÀ: I sistemi di supporto alla vita sulla Terra danno forfait

UXBRIDGE, Canada, 16 ottobre 2009 (IPS) – Non siamo stati in grado di rallentare la crisi che sta causando l’estinzione sempre più rapida della biodiversità, nonostante 17 anni di tentativi, nazionali e internazionali, avviati dopo il Summit di Rio de Janeiro del 1992 e accompagnati da grandi speranze.

L’ultima grande promessa che si è cercato di tradurre in realtà risale al 2003, anno in cui i presidenti di governo di 123 paesi si sono impegnati a ridurre il tasso di diminuzione della biodiversità entro il 2010.

Gli esperti radunati al summit internazionale in corso questa settimana in Sud Africa, concordano che l’obiettivo del 2010 non sarà raggiunto l’anno prossimo, Anno internazionale della Biodiversità.

“È difficile immaginare una priorità più impellente della protezione dei servizi ecosistemici sostenuti dalla biodiversità,” ha affermato Georgina Mace dell’Imperial College di Londra, e vicepresidente del programma internazionale DIVERSITAS, un’ampia collaborazione a base scientifica.

Mace ha assicurato che è “fuori dubbio che non raggiungeremo l’obiettivo di ridurre il tasso di diminuzione della biodiversità entro il 2010″.

Biodiversità non significa solo animali strani e uccelli meravigliosi. La parola indica la diversità della vita sulla Terra, che include gli ecosistemi fornitori di servizi vitali, compresa la regolazione climatica, fibre, cibo, acqua e aria pulite.

Secondo alcune stime, ogni anno si estinguono 12mila specie, a un ritmo sempre più veloce. Come un cataclisma causato dalla caduta di un asteroide sulla Terra, l’inquinamento, il taglio del legname, lo sfruttamento eccessivo, i consumi, le modifiche nell’uso dei terreni e i progetti ingegneristici hanno causato la sesta maggiore estinzione di specie sul pianeta.

Gli ecosistemi di acque dolci potrebbero essere i primi a minare uno dei sistemi di supporto della Terra negli ultimi 13mila anni. Specie che vivono in laghi e fiumi stanno scomparendo a ritmi dalle quattro alle sei volte più veloci di qualsiasi altra area del pianeta, ha detto Klement Tockner dell’istituto tedesco per l’ecologia dei sistemi di acqua dolce (Leibniz-Institute of Freshwater Ecology and Inland Fisheries).

“Prove scientifiche sempre maggiori e più evidenti dimostrano che siamo sulla soglia di un’enorme crisi della biodiversità d’acqua dolce”, ha aggiunto Tockner.

Secondo alcuni esperti, entro il 2025 neppure un fiume cinese raggiungerà l’oceano, esclusi i casi di inondazioni, con conseguenze devastanti sulle attività peschiere delle coste cinesi. In tutto il mondo, le 25 specie di storione e tutte le specie di delfini lacustri sono già estinti, o a rischio di estinzione. Le rimanenti, che si trovano ancora nei fiumi maggiori, come il Danubio, il Reno, l’Hudson e il Mekong, sostanzialmente non sono specie autoctone – ha specificato Tockner, aggiungendo “è un cambiamento radicale, ma solo pochi sono consapevoli della minaccia che incombe”.

Gli ecosistemi d’acqua dolce coprono solo lo 0,8 per cento della superficie terrestre, ma contengono circa il 10 per cento di tutti gli animali, e oltre il 35 per cento dei vertebrati. L’estinzione procede sempre più velocemente, ammonisce Tockner – soprattutto in zone calde attorno al Mediterraneo, all’America centrale, Cina e Sudest asiatico.

“Dobbiamo darci come priorità la conservazione degli ultimi sistemi fluviali liberi…che sono rimasti molto pochi,” ha concluso.

Su molti di essi sorgono nuove dighe, create nell’intento di generare elettricità senza emissioni di CO2. Ironia vuole, però, che gli ecosistemi d’acqua dolce siano più efficaci per tenere la CO2 fuori dall’atmosfera, perché assorbono e coprono circa il 7 per cento dell’anidride carbonica immessa annualmente nell’atmosfera dall’essere umano.

“Gli scienziati sono in allarme per la velocità dei cambiamenti”, ha detto Hal Mooney, biologo ambientale dell’università di Stanford (California) e presidente di DIVERSITAS, che per la seconda edizione dell’Open Science Conference (13 – 16 ottobre), ha radunato 600 esperti da tutto il mondo.

“Noi siamo davvero all’erta. Non lo sono, invece, i decisori politici,” ha dichiarato Mooney la scorsa settimana a Nairobi, Kenya.

Mooney, ed altri con lui, era a Nairobi per un meeting organizzato insieme ai funzionari governativi di 95 nazioni, con l’intento di creare una Piattaforma Intergovernativa sulla Biodiversità e i servizi dell’ecosistema, tra scienza e politica. Non dissimile dal Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici (IPCC, dall’acronimo inglese). L’ idea è di ridurre l’enorme distanza tra la scienza della biodiversità e la politica, fornendo linee guida di carattere scientifico ai decisori politici.

Molte decisioni politiche, anche ambientaliste, vengono prese senza tener conto del loro impatto sulla biodiversità, ha affermato Anne Larigauderie, direttore esecutivo dell’agenzia parigina di DIVERSITAS.

Ad esempio, le politiche governative che incoraggiano e finanziano gli ecoincentivi per i biocarburanti e l’energia a biomassa per ridurre le emissioni di CO2 spesso vengono varate senza accurate indagini sul loro potenziale impatto sugli ecosistemi.

“Sono politiche da cui si evince una visione frammentaria del mondo,” ci ha detto Larigauderie in un’intervista da Ginevra lo scorso agosto.

E ha aggiunto: “Sebbene il prossimo dicembre a Copenhagen saranno prese importanti decisioni sulle sorti del clima durante le trattative sul trattato per l’ambiente, le parti coinvolte sanno ben poco di biodiversità. Alcuni programmi per la riduzione della CO2, se condotti in maniera superficiale, come il REDD (Reducing Emissions from Deforestation and Forest Degradation), cioè il piano per ridurre la deforestazione e il degrado boschivo, potrebbero avere effetti disastrosi sulla biodiversità e perfino aggravare i cambiamenti climatici”.

La Larigauderie ha anche affermato che “i cambiamenti climatici incidono sulla biodiversità, e viceversa”.

I governi però non sono ancora pronti ad integrare o focalizzare i problemi relativi alla biodiversità nelle questioni politiche quotidiane. Dopo quattro anni e mezzo di discussioni su un’organizzazione analoga all’IPCC dedicata alla biodiversità, a Nairobi non sono stati in grado di raggiungere un accordo, ha puntualizzato Mooney.

“Ci vorrà almeno un altro anno… C’è una distonia tra la rapidità della crisi ecosistemica e i tempi della politica”, ha poi aggiunto.

Ma senza un’organizzazione di questo genere, le probabilità di rallentare il declino delle specie sono molto esigue. Come hanno fatto per il clima, i governi devono fissare degli obiettivi e impegnarsi a raggiungerli; tuttavia, prevediamo che ancora per alcuni anni verranno fissati obiettivi specifici di tutela della biodiversità.

“Se avessimo già creato l’IPBES (Piattaforma Intergovernativa Scienza-Politica per la Biodiversità e i Servizi Ecosistemici), oggi il mondo intero disporrebbe di nuovi obiettivi con fondamento scientifico”, ha detto Mooney. “Speriamo che il mancato raggiungimento dell’obiettivo del 2010 per frenare la perdita di biodiversità crei le condizioni affinché i governi si impegnino a creare l’IPBES”. ©IPS