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AFGHANISTAN: Talebani pronti a negoziare

KABUL, 21 settembre 2007 (IPS) – Il portavoce Qari Yusof Ahmadi ha confermato alla stampa che i talebani sono pronti a negoziare direttamente con il governo afgano.

Diversamente dalle sue precedenti dichiarazioni, Ahmadi ha dichiarato la settimana scorsa che i talebani non hanno mai rifiutato i negoziati con il governo. Precedentemente aveva insistito perché le trattative iniziassero solo a condizione del ritiro delle truppe straniere dall’Afghanistan.

I talebani si sarebbero convinti a negoziare un giorno dopo l’invito del Presidente Hamid Karzai, il 9 settembre. Malgrado la risposta positiva dei talebani sia stata ben accolta, è importante valutare l’agenda del dibattito, e chiedersi se i negoziati avranno l’impatto che tutti si aspettano.

I negoziati affronteranno le più ampie questioni relative all’Afghanistan, o si ridurranno a qualche accordo locale nel sud? Queste consultazioni porteranno al paese una pace reale, o faranno semplicemente guadagnare tempo ai belligeranti?

Gli afgani si pongono molti interrogativi; sono ottimisti, ma sanno anche che la situazione è estremamente complessa, e richiede intuizione, pazienza e vera leadership da entrambe le parti.

Ugualmente importanti sono gli interessi della comunità internazionale, in particolare degli Stati Uniti che hanno invaso questo paese con un obiettivo molto specifico: fare giustizia sui responsabili degli attacchi dell’11 settembre, e su coloro che hanno ospitato i terroristi, ovvero i talebani. È interessante osservare che, malgrado l’invito a negoziare, entrambe le parti sono attivamente coinvolte nei combattimenti. È strano che nessuna delle fazioni in guerra abbia lontanamente suggerito un cessate il fuoco come pre-condizione per i negoziati.

Malgrado il rovesciamento del regime talebano e l’allontanamento di al-Qaeda già alla fine del 2001 fossero stati accolti positivamente dagli afgani, le successive operazioni militari contro i talebani e altri insorti, con le derivanti perdite inflitte alla popolazione civile stretta nella morsa del fuoco, hanno inasprito la popolazione e le autorità afgane.

Le circostanze hanno minato la credibilità del governo e dei suoi alleati internazionali, impegnati in Afghanistan a perseguire la loro “guerra al terrore”. Si pensa che il governo stia valutando attentamente la risposta affermativa dei talebani all’offerta di Karzai sui negoziati. Il governo ha anche accolto la decisione dei talebani di rinunciare alle precedenti richieste di ritiro delle truppe straniere dall’Afghanistan, come pre-condizione per i negoziati.

Parlare con i talebani e raggiungere con loro un qualsiasi accordo cambierà senza dubbio il volto della politica afgana, tuttavia, tale circostanza potrebbe ulteriormente danneggiare le relazioni con i seguaci dell’Alleanza del Nord, che, aiutati dal denaro Usa, dalle Forze Speciali e dalla potenza aerea, avevano destituito i talebani dal potere. Nei circoli politici e dell’informazione, è molto acceso il dibattito sulla questione dei negoziati. Alcuni membri della Mushrano Jirga (Camera alta del Parlamento) hanno già accettato l’idea di trattare con i talebani e sostengono che il potenziamento della sicurezza in Afghanistan sia direttamente connesso al coinvolgimento dei talebani nella politica nazionale.

Altro punto da valutare attentamente è capire chi – nelle linee talebane – prenderà parte ai negoziati. Al tavolo siederà la maggioranza della leadership talebana o ci saranno solo pochi comandanti dissidenti delusi dei legami tra talebani e al-Qaeda?

I cosiddetti talebani moderati, o nuovi talebani, rappresentati dal loro ex ministro degli esteri Maulawi Wakil Ahmad Mutawakil o dall’ex ambasciatore in Pakistan, Mullah Abdul Salam Zaif, hanno già avvisato il governo e la comunità internazionale, invitandoli a trattare per scongiurare il rischio di inasprire la violenza e accettare l’egemonia dei talebani irriducibili, che potrebbero rifiutare del tutto le trattative.

Ma chi rappresentano realmente questi individui nelle linee dei talebani? Hanno davvero influenza sulla leadership talebana che ha intrapreso l’attuale guerra? Possono portarli a un tavolo di negoziati? È giusto prenderli sul serio? Se coinvolgiamo personaggi come Mutawakil e Zaif, la loro partecipazione alla politica nazionale può indebolire i talebani irriducibili? Sarebbe opportuno discutere con loro, oppure è il caso di fare entrambe le cose?

Può essere che la leadership degli irriducibili, fortemente legata ad al-Qaeda, non cederà alle consultazioni con il governo e i suoi alleati internazionali. Sarebbe interessante conoscere la forza numerica di questi elementi, capire quanto sono vicini ad al-Qaeda e valutare la loro influenza sulla politica di guerra dei talebani.

Solo quando queste informazioni saranno disponibili, sarà possibile una strategia di successo che influisca sulle loro scelte. Se verrà dimostrato che i comandanti locali impegnati nella guerra stanno agendo in maniera totalmente indipendente e che il loro programma non ha legami con al-Qaeda, cresceranno le possibilità di avviare dei negoziati che abbiano esito positivo.

È probabile che l’amministrazione Usa abbia compreso il limite di questa strategia in Afghanistan e stia cercando di assicurarsi i propri profitti in vista delle elezioni presidenziali del 2008, orchestrando un accordo tra il governo afgano e i talebani, che potrebbe essere annunciato come un “successo”.

Un tale scenario sembra credibile. Per esempio, gli interessi strategici degli Usa saranno tutelati dalla continuità di un governo afgano amico e della sua “guerra al terrore”, con una leggera modifica che riporta l’obiettivo della guerra dai talebani ad al-Qaeda.

(*Pubblicato in accordo con The Killid Group)