DIRITTI: Una vittoria politica storica per i popoli indigeni

NAZIONI UNITE, 17 settembre 2007 (IPS) – Dopo 22 anni di lunghi e faticosi negoziati, i capi dei 370 milioni di indigeni nel mondo hanno ottenuto un’importante vittoria simbolica nella lotta per il riconoscimento del diritto all’autodeterminazione e al controllo delle loro terre e risorse.

Apertura del Forum Permanente sulle questioni indigene al Palazzo di Vetro di New York UN Photo/Ryan Brown

Apertura del Forum Permanente sulle questioni indigene al Palazzo di Vetro di New York
UN Photo/Ryan Brown

Martedì scorso, una schiacciante maggioranza dei 192 membri dell’Assemblea generale dell’Onu ha detto sì alla risoluzione che chiede l’adozione della Dichiarazione Universale dei diritti dei popoli indigeni.

”È un trionfo per le popolazioni indigene di tutto il mondo”, ha detto il Segretario generale dell’Onu Ban Ki-Moon dopo il voto dell’Assemblea. “Questo segna un momento storico, in cui gli stati membri e i popoli indigeni si sono riconciliati con le loro storie dolorose”.

La Presidente dell’Assemblea generale Haya Al Khalifa ha definito l’esito del voto “un grosso passo avanti” verso la promozione e la tutela dei diritti umani e delle libertà fondamentali “per tutti”.

Seppure soddisfatti della decisione dell’Assemblea, i leader indigeni hanno detto all’IPS di aver sperato che la dichiarazione venisse adottata per consenso, ma visto che alcuni paesi non hanno voluto riconoscere fino all’ultimo i loro diritti, un voto di maggioranza era l’unica possibilità. ”Se pochi stati non accettano la dichiarazione, questo si ripercuoterà su loro stessi, e non sul documento”, ha osservato Les Malezer, leader aborigeno dell’Australia, prima che la risoluzione fosse presentata all’Assemblea generale.

Come previsto, Stati Uniti, Canada, Australia e Nuova Zelanda si sono rifiutati di accettare la dichiarazione, sostenuta da ben 143 paesi.

Tra le nazioni né favorevoli né contrarie alla dichiarazione, Azerbaijan, Bangladesh, Bhutan, Burundi, Colombia, Georgia, Kenya, Nigeria, Russia, Samoa e Ucraina.

Prima del voto, molti leader indigeni hanno accusato Usa e Canada di aver fatto pressioni su nazioni economicamente deboli e vulnerabili perché respingessero gli appelli ad adottare la Dichiarazione. In un primo momento, anche alcuni paesi africani erano reticenti a votare a favore, ma hanno poi cambiato posizione, dopo che la leadership indigena ha accettato la loro richiesta di introdurre alcuni emendamenti nel testo.

La dichiarazione sottolinea i diritti dei popoli indigeni a mantenere e a rafforzare le loro istituzioni, culture e tradizioni, e a perseguire il loro sviluppo coltivando i loro bisogni e le loro aspirazioni.

Si chiede poi il riconoscimento del diritto dei popoli nativi all’autodeterminazione, un principio ampiamente riconosciuto dal Consiglio per i diritti umani di Ginevra, ma ritenuto controverso dagli Stati Uniti e da alcuni dei suoi alleati, che temono possa minare la sovranità degli stati.

In cambio del loro sostegno, i paesi africani hanno voluto che nella dichiarazione si specificasse di non incoraggiare nessuna azione che possa compromettere “l’integrità territoriale” o “l’unità politica” degli stati sovrani.

Anche se il punto di vista africano è stato incorporato alla nuova versione, la bozza di dichiarazione afferma esplicitamente il diritto dei popoli indigeni all’autodeterminazione e al controllo delle loro terre e risorse.

”È soggetta ad interpretazioni, ma ci possiamo lavorare”, ha detto all’IPS la scorsa settimana Les Malezer, a capo del Global Indigenous Caucus. Come molti altri leader indigeni, Malezer, a lungo attivista per i diritti degli aborigeni, inizialmente non aveva approvato le rettifiche alla bozza.

”Non avremmo voluto appoggiare gli emendamenti”, ha spiegato. “Ma presentati con la nuova dichiarazione, presentati con gli accordi conclusi tra circa 130 stati, si può dire che abbiamo ottenuto un ottimo risultato”.

Martedì scorso, Malezer e i suoi colleghi del Forum permanente dell’Onu sui temi indigeni, hanno definito la decisione dell’organismo una “vittoria importante”.

”Il 13 settembre 2007 verrà ricordato come la giornata mondiale dei diritti umani per i popoli indigeni di tutto il mondo”, ha commentato con gioia ed emozione Vicky Tauli-Corpus, presidentessa del Forum permanente.

”È un’impresa magnifica che vi ha portato a sedere insieme a noi per ascoltare le nostre proteste e le nostre lotte, e aver trovato le parole per rispondervi è senza precedenti”, ha detto ai diplomatici dell’Onu dopo il voto.

Ma allo stesso tempo, Tauli-Corpus ha anche sollevato la questione della “effettiva attuazione della Dichiarazione”, sostenendo che sarà “una prova dell’impegno degli stati e dell’intera comunità internazionale” proteggere, rispettare e rispondere ai diritti umani collettivi e individuali dei popoli indigeni.

”Mi appello ai governi, al sistema dell’Onu, ai popoli indigeni e alla società civile nel suo insieme perché si mostrino all’altezza del compito storico che abbiamo di fronte, rendendo la Dichiarazione Onu sui diritti dei popoli indigeni un documento vitale per il futuro comune dell’umanità”, ha dichiarato.

Anche i gruppi della società civile internazionale che si battono per i diritti dei popoli indigeni si sono detti entusiasti.

”Siamo davvero molto felici ed elettrizzati di apprendere che la dichiarazione è stata adottata”, ha detto Botswana Bushman Jumanda Cakelebone, dell’organizzazione First People of Kalahari (popoli indigeni del Kalahari), che lavora con un gruppo di lobby chiamato Survival International.

”Essa riconosce che i governi non possono più trattarci come cittadini di seconda categoria, e tutela le popolazioni tribali così che non potranno più essere cacciate dalle loro terre come lo siamo stati noi”, ha aggiunto Cakelebone.

Stephen Corry, direttore di Survival, si augura che la dichiarazione porterà ad innalzare gli standard internazionali così come è avvenuto con la dichiarazione universale dei diritti umani quasi 60 anni fa.

”Definisce parametri specifici in base ai quali valutare il trattamento dei popoli tribali e indigeni, e speriamo che ci introduca in una nuova era, in cui gli abusi dei loro diritti non saranno più tollerati”, ha aggiunto.

Benché soddisfatti della decisione dell’Assemblea generale, alcuni leader indigeni si sono detti scontenti del fatto che Usa, Canada, Australia e Nuova Zelanda non abbiano aderito alla Dichiarazione.

”Il Canada ha mostrato la sua vera natura sul tema dei nostri diritti umani”, ha detto all’IPS Arthur Manuel, un leader dei popoli indigeni del Canada. “Ha mostrato di contraddirsi, non osservando le raccomandazioni di tutti gli organismi per i diritti umani dell’Onu, che gli hanno raccomandato di fondare la sua politica verso gli indigeni sul riconoscimento e la coesistenza”.

Chi si oppone alla Dichiarazione la definisce “difettosa”, soprattutto per il suo forte accento sul diritto all’autodeterminazione e al pieno controllo delle terre e risorse. Secondo alcuni, questo ostacolerebbe gli sforzi per lo sviluppo economico e minerebbe le cosiddette norme democratiche stabilite.

Nel frattempo, proseguono le minacce alle terre e alle risorse indigene, attraverso l’industria mineraria, la contaminazione tossica, la privatizzazione, e i progetti di sviluppo su larga scala, così come con l’uso di sementi geneticamente modificate.

“L’intera ricchezza di Stati Uniti, Canada, e di altri stati cosiddetti moderni è stata costruita sulla povertà e sulle violazioni dei diritti umani dei loro popoli indigeni”, ha osservato Manuel. “La comunità internazionale deve capire quanto siano ipocriti il Canada, l’Australia, la Nuova Zelanda e gli Stati Uniti”.

Recenti studi scientifici hanno ripetutamente avvertito delle conseguenze devastanti che minacciano le comunità indigene legate ai cambiamenti climatici e all’intensificarsi di alluvioni, uragani, terremoti e scioglimento dei ghiacciai in tutto il mondo.